Alain de Benoist, in materia di pensioni, Emmanuel Macron vuole venderci uno “schema universale” che incontra una forte opposizione, ma che non capiamo molto. Tra il “bonus” e il “malus”,”l’età fondamentale” e la “clausola del nonno”, che cosa è in ballo esattamente?
“Il dossier pensionistico è davvero complicato. Quindi proviamo ad arrivare all’essenziale. Come sapete, due categorie principali devono già essere distinte: il sistema capitalistico, che è essenzialmente individualistico (ciascuno per sé), e l’attuale sistema pernsionistico, che si basa sul principio di solidarietà tra le generazioni. Per giustificare la necessità di riformare quest’ultimo, invochiamo l’aumento dell’aspettativa di vita e la riduzione regolare del numero di lavoratori rispetto a quella dei pensionati. Per quanto riguarda l’aumento dell’aspettativa di vita, dimentichiamo tre cose: in primo luogo, se la durata della vita aumenta, la durata della vita in buona salute non aumenta necessariamente allo stesso ritmo; secondo, che per definizione, l’attuale durata della vita non ci dice nulla su quale sarà la durata della prossima generazione; infine, l’aspettativa di vita non è uguale per tutti, poiché varia a seconda del sesso (le donne vivono più a lungo degli uomini, ma nessuno ha intenzione di chiedere loro di lavorare più a lungo) e secondo classe sociale (l’aspettativa di vita di un lavoratore è inferiore di sei anni a quella di un dirigente). Per quanto riguarda la diminuzione del numero di persone che lavorano, non dovremmo dimenticare che la produttività di una persona che lavora è oggi molto più elevata rispetto al passato, poiché produciamo sempre più beni e servizi con sempre meno uomini.
Il regime “universale” di Macron? Ogni volta che parliamo di fare qualcosa di “universale”, dobbiamo stare attenti. Voler rimuovere tutti i regimi pensonistici speciali è, ad esempio, perfettamente stupido e, inoltre, probabilmente impossibile da raggiungere. Esistono regimi speciali che non hanno (o non più) ragion d’essere e dovrebbero essere eliminati, ma non c’è motivo di toccare quelli che sono perfettamente giustificati.
Per ridurre la quota delle pensioni nel PIL (oggi 13,8%, ma la Commissione europea vorrebbe ridurla a meno del 12%) ed evitare l’incombente deficit (che, in realtà, è principalmente dovuto al mancato risarcimento delle esenzioni dai contributi previdenziali da parte dello Stato e alla diminuzione base salariata nel servizio pubblico), il governo ha scelto di imporre il modello della pensione a punti, richiesto in coro dai datori di lavoro e dalla Commissione europea, senza dimenticare Laurent Berger e Thomas Piketty. È il peggio che esiste. In questo sistema, non è più lo stipendio di riferimento ma il numero di punti accumulati che funge da base per il calcolo della pensione. Invece di lavorare per un certo numero di anni per ottenere un pensionamento completo, si contribuisce ad acquistare un certo numero di punti, il valore del servizio del punto è noto solo al momento del pensionamento. Inoltre, nel calcolo delle pensioni viene presa in considerazione l’intera carriera e non solo gli ultimi quindici anni di attività, che penalizzano le carriere frammentate, in particolare quelle femminili.
Pur dando per certo che il valore del punto non cadrà, ma questa promessa non ha alcun fondamento in quanto questo valore dipende dall’evoluzione della congiuntura, che è in gran parte imprevedibile, in caso di crisi finanziaria generale, il valore del punto diminuirà automaticamente. In effetti, tutti i paesi che hanno adottato il sistema a punti hanno visto peggiorare la situazione dei pensionati. In Svezia, un paese citato come esempio da Macron, l’ammontare delle pensioni rappresenta oggi il 53,4% dello stipendio di fine carriera, contro il 60% venti anni fa e il tasso di povertà di oltre 65 anni gli anni hanno raggiunto il 15,8% nel 2018 (rispetto al 7,3% per i francesi). Questo tasso di povertà per gli anziani raggiunge il 18,7% in Germania e persino il 21,6% nel Regno Unito! In Francia, l’adozione di questo sistema dovrebbe comportare, praticamente per tutte le categorie di popolazione, con poche rare eccezioni, una riduzione media del 20% delle pensioni rispetto ai salari dei lavoratori, il che ovviamente li incoraggerà a lavorare sempre di più per molto tempo (per acquisire un numero maggiore di punti) o per passare alla capitalizzazione.
Questo, inoltre, è senza dubbio il vero obiettivo della riforma: incoraggiare i dipendenti salariati a giocare la pensione sul mercato azionario e vendere il mercato pensionistico alle compagnie assicurative, ai fondi pensione e ai mercati finanziari. Il 10 marzo 2016, parlando di fronte a un pubblico di organizzazioni dei datori di lavoro, François Fillon ha vuotato il sacco: “Il sistema pensionistico per punti, in realtà, consente qualcosa che nessun politico ammette: consente di abbassare ogni anno il valore dei punti e quindi diminuire il livello dei costi delle pensioni”.
Ostile al sistema pensionistico a punti, sta sostenendo lo sciopero n corso in Francia?
“Lo sostengo pienamente, ovviamente. Non solo lo sostengo, ma vorrei vederlo portare a uno sciopero generale! Ma, devo ammettere, ciò che mi colpisce di più è l’atteggiamento piccolo borghese della destra che non perde l’occasione di ripetere il ritornello dei cattivi scioperanti che “prendono in ostaggio gli utenti” e vogliono “rovinare il paese”. Queste sono le stesse persone che hanno anche condannato i giubbotti gialli. Queste persone, che immaginano che i lavoratori in sciopero siano privati del salario di due mesi per il semplice piacere di infastidire il mondo, non hanno ancora capito che la causa principale dei nostri problemi proviene dalle nostre vite in un mondo capitalista, in un sistema di mercato e in una società di individui. Hanno votato per Fillon, che voleva privatizzare la previdenza sociale (o istituire un sistema sanitario a due livelli da cui gli assicuratori privati avrebbero beneficiato), voteranno Macron domani perché nell’ambito della giustizia sociale, preferiranno sempre il disordine stabilito. Se potessero, sopprimerebbero il diritto di sciopero e l’intero modello sociale francese. Ciò che vogliono soprattutto evitare sono le barricate e la violenza di strada. Se c’è una rivoluzione, spero che prevarrà”.
Dopo mesi di proteste contro i giubbotti gialli, Macron ora affronta i sindacati che sono tanto più esigenti quando vengono spinti dalla loro base. Cosa ci dice questo sullo stato attuale del paese?
“Questo dice tutto. Uno sciopero di cinquanta giorni: senza precedenti. Gilet gialli che sono alla loro 62a settimana di rivendicazioni: mai visti prima. Gli avvocati gettano le loro tighe pubblicamente, i capi dei reparti ospedalieri si dimettono a centinaia, i contadini si suicidano, anche la polizia, i pompieri sono in strada, così come gli infermieri e gli insegnanti. Esiste oggi una singola categoria sociale che non si ribella con furia o disperazione? Non è un caso che la maggioranza dei francesi sostenga gli scioperanti, così come hanno sostenuto (e continuano a sostenere) i giubbotti gialli, nonostante l’imbarazzo causato dal movimento. Ad eccezione degli azionisti del CAC 40, i principali beneficiari della finanziarizzazione dell’economia (che sono stati pagati, per il 2019, l’importo record di 49,2 miliardi di euro di dividendi), il potere d’acquisto ristagna e la precarietà si estende ovunque. La quota di manodopera di valore aggiunto è aumentata in Europa dal 68% nel 1980 al 60% oggi. Emmanuel Macron, che è stato posto in quella carica che occupa per adattare la Francia alle esigenze del capitalismo globalizzato e di un liberalismo che intende eliminare le protezioni sociali e i servizi pubblici in nome della concorrenza globale e dell’apertura delle frontiere, ha fatto di tutto per opporre un blocco sociale nel processo di “gilegiallizzazione”. La scelta del sistema pensionistico dipende, infatti, dal modello sociale che si desidera. Il modello Macron, le persone non lo vogliono”. (traduzione G.B)
Almeno i francesi talora protestano. Da noi le piazze si riempiono per ascoltare le scempiaggini ‘gretine’ o sardinesche…