Piazze gremite. Folate di entusiasmo. Spontaneismo. Antipolitica che si aggruma nel “partito dell’astensione”. Paradossi (soltanto italiani?): da noi, nel nome del “nuovo”, si rispolverano antichi principi (la Costituzione) e bandiere (Bella Ciao) e si accolgono reduci (l’ANPI e gli anziani protagonisti dei “girotondi”). Risposte a un malessere diffuso?
Da sempre e dovunque, le piazze si riempiono per protestare o – più raramente – per sostenere qualcuno o qualcosa che si teme di perdere (accadde per De Gaulle, accadde per i 40.000 della FIAT). Oggi le piazze “per” si mobilitano quasi esclusivamente per invocare la salvaguardia dell’ambiente (si vedano i “friday for future”); quanto alla protesta, snoccioliamo, così, alla rinfusa, Tienanmen e le “primavere arabe”, i “gilets gialli”, gli “indignati” e i meet up grillini, le adunate CGIL (celebre anche per efficacia, quella di Cofferati contro il governo Berlusconi) e quelle del centrodestra, dal “family day” a quella recente, marca “Salvini-Meloni”. Per tacere delle numerose piazze delle più diversificate proteste nelle ultime settimane, da Santiago del Cile a Barcellona, da Beirut a Hong Kong.
Le piazze contro il Palazzo, si dice, specie quando la mobilitazione parte dal basso e appare spontanea, oggi soprattutto sull’onda del tam tam virtuale eppure così reale. Non è fuor di luogo, a proposito di valutazione delle quantità, ricordare che le decine o centinaia di migliaia di partecipanti rappresentano in ogni caso esigue cifre, rispetto ai milioni di elettori, senza dimenticare la lezione di Gustave Le Bon, che ne “La psicologia delle folle” sottolineava il carattere emotivo e dunque transeunte di tali mobilitazioni.
Pur divisi sulle valutazioni nel merito delle adunate sardiniste, gli osservatori sembrano tutti d’accordo nel giudicare positivamente l’impegno pacifico di questi piazzaioli che hanno scelto per sé la metafora e il nome di un pesce umile e destinato alle fauci dei più grossi. I più vedono in queste piazze non solo l’antidoto per l’indifferenza o la delusione che sfociano nell’astensionismo, ma anche il contravveleno idoneo a depotenziare il populismo ritenuto tossico. Altri da un lato contestano la novità – che novità sarebbe il mondo di “Bella ciao”? – dall’altro rilevano la vacuità e genericità delle istanze avanzate (ma non mancano i rilievi e le accuse di scarsa “democraticità”, come quello che punta il dito contro la pretesa di negare al nemico politico il diritto ad essere ascoltato).
Sotto un altro profilo, queste piazze ripropongono il discrimine “destra/sinistra”: da un lato elogio della Resistenza, dell’uguaglianza, dell’accoglienza; dall’altro, esigenza di rivisitare la storia recente sulla base di una memoria condivisa; valorizzazione delle specificità di ogni genere; tutela delle identità e, dunque, dei confini. Naturalmente, non mancano le eccezioni: c’è chi, proclamandosi “di destra”, leva un (immotivato) peana pro-sardine e chi, come Barbara Spinelli sul “Fatto Quotidiano”, da sinistra nota l’astrattezza delle parole d’ordine sardinesche e ne lamenta la lontananza dai problemi reali del paese: “Le sardine non conoscono le bassezze della disperazione, della rivolta contro disuguaglianze sociali e povertà. Si sentono di sinistra perché si preoccupano del clima, ma i precursori in questo campo sono Grillo e 5Stelle”.
Noi ci sentiamo più vicini alle analisi formulate da Alessandro Campi sul “Messaggero” e da Marco Tarchi, in un’intervista rilasciata al “Giornale”, e a queste rimandiamo. Qui vorremmo limitarci a un paio di considerazioni: raramente, questi moti spontanei sono riusciti nell’intento di cambiare le cose, aldilà di sporadici successi apparenti. La Cina non è cambiata, nella sua struttura autocratica, dopo Tienanmen; le “primavere arabe” non hanno portato non diremo il benessere, ma una parvenza di democrazia in quei disgraziati paesi; i catalani stanno ancora sognando la loro indipendenza da Madrid; perfino i “gilets gialli” hanno dovuto rinunciare alle dimissioni di Macron e alle sostanziali modifiche delle leggi contestate. Di più: le masse mobilitate dalla CGIL a difesa dell’articolo 18 e dell’intoccabilità delle norme pensionistiche, sono rimaste inerti di fronte all’abolizione del primo e alle penalizzanti riforme delle seconde.
E allora? Il fatto è che, malgrado “la ribellione delle masse”, protagoniste della storia continuano ad essere le personalità “forti” e le élites: per restare alla nostra storia, il Risorgimento e la stessa Resistenza furono opera di pochi, di fronte all’inerzia di molti. Piuttosto, queste piazze colme di sardine – “in genere, le sardine stanno amichevolmente strette quando sono inscatolate”, ricorda la già citata Barbara Spinelli – rappresentano un ulteriore segnale di sofferenza della democrazia rappresentativa e del sistema dei Partiti, non a caso oscillanti tra una sorridente e forse preoccupata afasia e un ipocrita e altrettanto preoccupato giudizio di rigetto pseudo-simpatizzante.
La prepolitica – e le sardine ne sono una pura espressione – non può sostituirsi alla politica: al massimo, le sue ragioni possono essere temporaneamente inglobate in slogan elettorali, ma la realtà del governo è altra cosa. E’ bene che i nostri politici se ne ricordino.
I simboli che si scelgono non son mai neutri. Che cosa rappresenta la “sardina”? Un pesce che si muove in fitti banchi, segue la corrente, non esprime alcuna personalità. Dunque, politicamente e sociologicamente le sardine sono l’uomo massa di cui parlava Ortega y Gasset, sono e pensano “come tutto il mondo”, seguono l’opinione dominante e pretendono pure che che sia l’unica. Per dirla con Veneziani, la sardina è “l’imbecille globale”!
Solo il solito sinistrume casinaro che ha cambiato un’altra volta i panni…
Un volta c’era la dura classe operaia con i giubbotti di cuoio… Adesso i loro nipotini Neet… fancazzisi… Tutto logico…
fancazzisti…
Lo strano è che a molti piace essere considerato “sardina”, zero individualità, zero cervello, zero originalità, zero personalità…
Secondo me già parlarne è praticamente inutile,parole sprecate e pubblicità “aggratis”, basterebbe un muro di silenzio in risposta alla forzata visibilità mediatica che stanno avendo(tattica che proprio la sinistra insegna), tanto non hanno nessun contenuto e tutti hanno già capito chi e cosa sono, insomma non servono tante dotte quanto sprecate analisi di un fenomeno così artificiale, costruito ed effimero e che alla fine non è che abbia portato chissà quante mila persone in piazza(molto meno di quelle portate da Salvini e Meloni a Roma per dire, ma li nessuno ne parlava)… Per il resto concordo ampiamente con i commenti di chi mi precede e con l’articolo, sono il nulla che propone il nulla e che nel nulla ritornerà.
Definitiva stroncatura da parte di Barbara Spinelli sul Fatto Quotidiano.
Vale , da sola, più di quelle degli “avversari”
Valter sicuramente, però le stroncature dell’intellighenzia progressista valgono più in un discorso fra addetti ai lavori e “classe pensante” perchè in realtà a livello nazional-popolare contano ben poco, e qui entra in gioco invece quello che dicevo sopra, per questo affermavo che è inutile per gli intellettuali “di destra” parlarne tanto la risonanza è poca e anche inutile visto che verrebbe in certo qual modo squalificata a livello mainstream dalle solite strumentalizzazioni buone per ogni occasione… Per il resto è chiaro che non tutta la “sinistra” vede di buon occhio il “sardinismo”, anzi credo che abbiano capito che potrebbe rivelarsi un boomerang per certi versi, e se anche un Mentana durante la maratona sul voto in GB ha messo in ridicolo alcune sardine(8 in totale) incontrate li in Inghilterra allora vuol dire che già la cosa va indirizzandosi verso l’ennesimo fuoco di paglia che affiancherà quella sinistra del PD che in realtà ha pochissimo peso politico nello stesso partito…
Stefano hai in parte ragione. Non convengo sulla necessità per gli ” intellettuali di destra” di non abboccare e fare da gran cassa al coro.
Sulle nostre pagine perché non si dovrebbe analizzare un fenomeno?
In TV il monopolio degli argomenti e’in mano altrui, pertanto unica alternativa sarebbe non partecipare a nessuna discussione.L’assenza non mi sembra una buona strategia. La TV è nazionale popolare per antonomasia e quindi rinunciare al dibattito è fare come Taffazzi.
Poi possiamo discutere sulla qualità di certe trasmissioni e sulla capacità di influenza della TV.
Per fortuna non mi sembra eccessiva , perché altrimenti i sondaggi direbbero l’esatto contrario
Le sardine sono l’ennesima trovata della politica marketing dal Berlusca in poi.Un giorno si è secessionisti contro l’euro dopo qualche tempo nazionalisti e si vuole Draghi premier.Le sardine sono l nulla come il nulla è politica italian di oggi.