Barbadillo ha intervistato il filosofo e scrittore Luca Siniscalco, curatore de “Il regno dei demoni”, opera essenziale per conoscere il pensiero dell’intellettuale nazionalbolscevico Ernst Niekisch.
Luca Siniscalco, la casa editrice NovaEuropa ha ristampato dopo quasi sessant’anni il denso saggio di Ernst Niekisch Il regno dei demoni (pubblicato nel 1953 ma incominciato negli anni ’30), in un solo volume con Una fatalità tedesca (1932), nella sua prima versione italiana. Come si inquadra la presenza di Niekisch nel panorama culturale europeo di inizio Novecento?
“Ernst Niekisch è fondamentalmente un eccentrico, per usare un termine caro a Geminello Alvi, della cultura europea novecentesca. Lucido sismografo dell’interregno (Zwischenreich) vissuto dalla patria europea, in transito nichilistico verso gli esiti modernisti e postmoderni di cui oggi scorgiamo le propaggini estreme, Niekisch rimane un autore difficilmente inquadrabile secondo schemi rigidamente ideologici. Gli ostracismi da lui subiti in vita sono un segno tangibile di una radicale predisposizione interiore da Anarca – à la Jünger: perseguitato e incarcerato, nel 1937, dai nazionalsocialisti, in lotta con la DDR, dopo la repressione dei moti operai da parte del governo Ulbricht, nel 1953, ignorato criminalmente, infine, nella “liberale” Germania occidentale, dove morì nel 1967.
L’opera di Niekisch rimane un unicum nella storia del pensiero politico novecentesco, offrendo al contempo spunti essenziali – ben segnalati nell’edizione NovaEuropa – per l’elaborazione di una teoria comunitarista di rango, all’altezza del nuovo millennio”.
Che rapporto ebbe con la Rivoluzione Conservatrice?
“Sebbene Niekisch non sia integralmente assimilabile ad alcun orientamento ideologico univoco, la Konservative Revolution è indubbiamente la sua “famiglia” di appartenenza. Questo legame, riconosciuto dalla gran parte degli studiosi, può esser chiarito con le lenti interpretative offerte da Armin Mohler. La sua celebre definizione distingue all’interno della Rivoluzione Conservatrice cinque principali orientamenti compresenti: la corrente völkisch (Otto Sigfrid Reuter, Ludwig Ferdinand Clauss), quella jungkonservative (Arthur Moeller van den Bruck, Oswald Spengler, Wilhelm Stapel), la linea bündisch (erede del movimento Wandervögel), la Landvolkbewegung (orientamento contadino dello Schleswig-Holstein), la prospettiva nazional-rivoluzionaria (Ernst Jünger, Ernst von Salomon, Hugo Fischer).
Niekisch rientra in quest’ultima prospettiva, il suo nazionalbolscevico rappresenterebbe persino «la punta esacerbata, parossistica, della corrente nazional-rivoluzionaria» (Alain de Benoist). Della Rivoluzione Conservatrice, l’ideologia di Niekisch condivide alcuni riferimenti culturali – il pensiero di Nietzsche, ad esempio –, nonché l’antimodernismo, il rifiuto del materialismo borghese e capitalista, il perseguimento di una progettualità politica aperta all’avvenire e alla manifestazione di elementi conservatori e tradizionali all’interno di forme storiche e sociali nuove. Diversamente da altre espressioni rivoluzionario-conservatrici, tuttavia, la posizione di Niekisch è più radicalmente rivoluzionaria, e prende le distanze dall’immaginario estetico e valoriale tanto della tradizione aristocratica europea quanto del mondo rurale germanico”.
Come si declinava l’alternativa all’utopia comunista in Niekisch?
“In estrema sintesi, possiamo definire la proposta politica di Niekisch una forma di comunismo patriottico – nazional-bolscevico, appunto –, alternativo al comunismo internazionalista d’impianto marxista. Intuizioni di critica sociale e decostruzione politica, di schietta provenienza marxista, sono nella sua opera sintetizzate a istanze patriottiche, alla tradizione prussiana e a una forma mentis intrisa di protestantesimo, rigore morale, stile marziale e “realismo eroico”. Un «romanticismo dell’abisso», per citare una lirica espressione di August Winnig – in verità critica nei riguardi di Niekisch”.
È nota l’amicizia intellettuale con Jünger: cosa li univa? Quanto rischiò Jünger per difendere il sodalizio intellettuale?
“Il rapporto fra i due è complesso e indubbiamente affascinante. Niekisch e Jünger collaborarono attivamente in gioventù, quando l’autore di Nelle tempeste d’acciaio era vicino alle posizioni politiche nazionalrivoluzionarie espresse da «Widerstand», la rivista diretta dallo stesso Niekisch fra il 1926 e il 1934. Quest’ultimo, a sua volta, fu uno dei pochi a comprendere, grazie a una straordinaria sensibilità filosofica, il significato profondo del Lavoratore teorizzato da Jünger. Ed è significativo che ancora nel 1964-1965, sulla rivista «Antaios», diretta da Jünger insieme allo storico delle religioni Mircea Eliade, sia stato pubblicato il breve ma denso saggio di Niekisch Die Gestalt des Arbeiters (La forma del Lavoratore), lucida introduzione alle tesi fondamentali del capolavoro jüngeriano.
I due autori presero strade diverse, che nel tragico cuore di tenebra del Novecento non poterono sempre trovare pacifica e serena mediazione. Niekisch, ad esempio, è certamente ingeneroso – e teoreticamente scorretto – a sovrapporre ne Il regno dei demoni l’indiscutibile «istinto nichilista» di Jünger e la Mobilitazione Totale da lui tematizzata all’avanzata nazionalsocialista – «il bagordo più sfrenato in cui si butta il nichilismo, quando gli è diventato già quasi inevitabile dover finalmente fissare il proprio volto». Tanto più che in occasione dell’arresto di Niekisch Ernst Jünger scrisse al fratello, mostrando grande coraggio ed empatia per l’amico: «Se mi schierassi per la libertà d’opinione, dato che sono coinvolto nella cosa, non potrei farlo al modo di una dichiarazione di solidarietà e simpatia, ma in una forma davvero più concreta. Ho anche scritto a lei [ad Anna, moglie di Niekisch] che può disporre liberamente di me». L’incendio del carteggio Niekisch-Jünger da parte del secondo, per timore delle perquisizioni, può essere così letto come un atto di prudenza più che di viltà, come ben illustrato da Alessio Mulas nella sua postfazione al Regno dei demoni.
D’altra parte nel suo Diario, negli anni ’80, Jünger parlerà di un tradimento delle proprie speranze ad opera di Ernst Niekisch e dell’orientamento nazionalbolscevico, efficace nella teoria ma incapace di incidere nella prassi politica.
Alain de Benoist, nella prefazione all’edizione francese di Una fatalità tedesca, ricorda come Jünger fosse presente alla cremazione dei resti dell’amico. Simbolo di un sodalizio che ci piace pensare sopravvisse alle violenza della Seconda Guerra Mondiale, perlomeno in interiore homine”.
Come si manifesta la progressiva ostilità di Niekisch rispetto all’evoluzione del nazionalsocialismo?
“Proprio il volume pubblicato da NovaEuropa testimonia in molte centinaia di pagine, dense tanto su un piano retorico quanto contenutistico, l’avversione di Niekisch per il nazionalsocialismo, cui egli fu da sempre apertamente ostile – in questo diversamente da tanti altri esponenti della Rivoluzione Conservatrice. Dell’“hitlerismo” Niekisch offre una lettura non sempre condivisibile, a nostro avviso, soprattutto per alcuni limiti dell’impianto marxista che emerge variamente nella sua prosa, ma la sua prospettiva rimane senza dubbio originale e acuta rispetto a certi speficici aspetti del fenomeno. Ne rifiuta l’attitudine volgare e piccolo borghese, nonché la subordinazione agli interessi del Capitale (in questo senso la sua critica è “classicamente” bolscevica) e l’incarnazione, sul suolo tedesco, del polo culturale-religioso romano-cattolico, bayrisch (“baverese”), rurale, a cui egli contrappone un’identità tedesca protestante, prussiana e operaia. Del nazismo Niekisch sottolinea anche la componente “tanatopolitica”: l’«ebbrezza del massacro» e l’«odio per la vita» che ne pervadono a suo dire l’azione.
Nazionalsocialismo e nazionalbolscevismo: due prospettive che, nell’interpretare i medesimi poli concettuali (“nazione” e “socialismo”), ebbero, stando a Niekisch, orizzonti totalmente antitetici. Un dibattito ovviamente ancora aperto”.
Quanto è importante lo studio di Niekisch per conoscere i fondamenti della corrente nazionalbolscevica?
“Fondamentale, direi, considerando che Niekisch ne è probabilmente il “padre nobile” par excellence. E ancora più urgente nella contemporaneità, se si considera quanto diffusamente le espressioni “nazbol” e “rossobruno” siano penetrate nel linguaggio giornalistico e divulgativo, andando spesso a fungere da “titoli” dispregiativi sotto cui derubricare tutti i fenomeni genericamente patriottici, socialisti e comunitaristi, non liberal-democratici insomma. Una reductio ad hitlerum, per dirla con Costanzo Preve, di chi in origine fu anti-hitleriano?”.
Che sguardo aveva sulla Russia e sull’orizzonte eurasiatico?
“Uno sguardo che potremmo definire duplice, rapportandosi Niekisch alla Russia tanto su un piano ideologico, come patria del bolscevismo, quanto su un piano geopolitico, come civiltà, «istinto slavo-asiatico», cristallizzazione spirituale affine a quella tedesca.
Stando al primo livello interpretativo, Niekisch aveva individuato un destino eurasiatico per il popolo tedesco, immaginando un’alleanza strategica e culturale fra il mondo prussiano e quello bolscevico. «La svolta staliniana in URSS, con il rafforzamento dello Stato e la valorizzazione della dimensione nazionale, avvicina ulteriormente Niekisch alla realtà della Russia sovietica, indicata fin dal ’17 come il luogo dell’effettivo capovolgimento del capitalismo e della democrazia borghese, forme dell’essere sociale e politico che egli vede ormai penetrate in profondità nella Germania imbavagliata dal riformismo weimariano. Lo spirito di Potsdam può risorgere, afferma Niekisch, solo se si è “capaci di comunismo”. Non è comunque, va sottolineato, un’apertura di credito al marxismo. Il comunismo in questa prima fase – prima cioè del 1945 e dell’adesione alla DDR – non ha alcun tratto internazionalista ma è la traduzione politica del comunitarismo spirituale della nazione che deve trovare nello Stato il punto della sua più elevata sintesi e oggettivazione» (Franco Milanesi).
Questa vicinanza ha anche, tuttavia, una ragione di carattere geopolitico e culturale. Tramontato il mondo sovietico, è oggi questo secondo sguardo quello che appare più interessante e, a tratti, profetico nell’opera di Niekisch – una sensibilità peraltro condivisa, seppur con sfumature diverse, con giganti del calibro di Oswald Spengler, Emil Cioran e Rudolf Steiner. La Ostorientierung (“orientamento a Est”) assurge così a progetto fondativo di un blocco eurasiatico fondato sui princìpi di identità, patriottismo, sensibilità spirituale, valorizzazione dell’orizzonte sociale e rifiuto dell’universalismo moderno e capitalistico, ossia della visione del mondo “occidentalista”. Temi che oggi si ritrovano variamente formulati nell’opera del politologo eurasiatista Aleksandr Dugin, che di Niekisch è aperto estimatore. Una nuova patria, quella eurasiatica, destinata a un “tipo” umano non individualista, bensì comunitario, rivoluzionario, devoto a un progetto storico-metafisico originario, con tratti indubbiamente affini rispetto al già citato Arbeiter jüngeriano”.
*Ernst Niekisch, Una fatalità tedesca. Il regno dei demoni, con illustrazioni di Andreas Paul Weber, prefazione di Franco Milanesi, postfazione di Alessio Mulas, a cura di Luca Siniscalco, NovaEuropa, Milano 2018, pp. 761, € 32
Ottima analisi come sempre da parte di Siniscalco di uno dei pensatori più originali del 900 e che potremmo dire lo rappresenta in tutte le sue focose contraddizioni, un personaggio Niekisch che emblematicamente incarna la temperie ideologica e spirituale di tutta un epoca, quella che va dagli inizi del secolo scorso fino alla battaglia di Stalingrado, quella data ancora prima della fine della guerra forse può essere identificata come il collasso della civiltà europea, lo scontro fratricida che segna la definitiva fine di quello che Schmitt chiamava Jus Publicum Europaeum(già incrinato dalla Revolution in poi), fine avvenuta con una devastante guerra civile europea e con l’ingresso della forza barbara statunitense nell’egemonia continentale… Probabilmente rileggendo oggi certe dinamiche, si potrebbe dire che tutto quanto è avvenuto è stato come un miraggio incorporeo, miraggio che è stato usato proprio al fine di stabilire il dominio atlantico sul continente, Niekisch da questo punto di vista ci aveva visto palesemente giusto nella sua critica all’hitlerismo inteso come devianza da un nazional-socialismo che se adeguatamente sviluppato avrebbe potuto portare a quel kontinental bloc eurasiatico che solo un intesa fra Germania e Russia avrebbe potuto garantire , ieri come oggi in fondo a questo si riduce il più grande incubo delle talassocrazie atlantiche, evitare che ciò possa mai accadere… Complimenti a Siniscalco ed al lavoro della casa editrice NovaEuropa di cui sono affezionato cliente per la qualità delle opere che propone, nei contenuti come nella cura estetica.
Un’alleanza tra Germania e la URSS comunista era impossibile anche nel 1930 (per il bene di tutti). Solo una Russia depotenziata (come?) potrebbe essere organicamente alleata dell’Europa Occidentale. Ciò dal 1800…
Compito dell’Europa Occidentale è quello di legare sempre più la Germania ad essa, altro che il contrario!!!!
Stefano. Stalingrado fu solo il culmine di una politica estera tedesca sbagliata. Nel ‘Mein Kampf’ Hitler teorizzò l’impossibilità per la Germania di essere contemporaneamente in guerra ad Est ed Ovest. Solo che poi tragicamente per tutti si smentì nel 1941…
Felice è chiaro che la Germania debba essere il pivot dell’area europea occidentale, ma non si può negare che anche l’Europa orientale graviti intorno alla Russia e che quindi il continente abbia bisogno di entrambi i poli per poter essere unito, Hitler fu mosso da una chiara slavofobia e sicuramente da una componente irrazionale che portò a fondo tutta la politica estera tedesca e non solo, ma Stalingrado prima di essere un tragico errore strategico fu un errore proprio di visione secondo me così come successe allo stesso Napoleone,il legame fra le due vicende è ancora più profondo di quello che sembra ed entrambi sono stati alla fine deleteri per l’Europa, come ho detto due miraggi incorporei che non hanno fatto che favorire il terzo incomodo…
Mussolini stesso aveva supplicato Hitler a non attaccare la Russia, perché sarebbe stato un grave errore, e così fu. La violazione del patto Moltov-Ribbentropp fatta da Hitler fu una grande min***ata, anche perché ha permesso al Comunismo di espandersi al di fuori dei confini sovietici.
Stefano. Lascia perdere vetuste categorie ultracentenarie della geopolitica (talassocrazie ecc). La WWII fu una serie di errori di tutti (o quasi, perchè anche USA ed URSS alla lunga ne uscirono pregiudicate). Stalin, Hitler, Roosevelt, Churchill non consideravano nulla i trattati, gli accordi, la parola data. Solo il teorico interesse nazionale. Con l’URSS la Germania (slavofobia a parte, razzismo bizzarro a parte) doveva giocare una partita delicatissima (che poi perse), perchè Stalin (come ora Putin in fondo) cercava di ricostituire territorialmente l’Impero Russo precedente la Rivoluzione e Brest-Litovsk. Soprattutto voleva riannettersi Carelia, Repubbliche baltiche, Bessarabia, una parte dei territori strappati dalla Polonia nel 1920 ecc. Per di più si stava riarmando poderosamente nelle fabbriche al di là degli Urali, inattaccabili dall’aviazione del tempo. Lo si vide chiaramente con le migliaia di tanks messi in campo, che sbalordirono i tedeschi. A Kursk, nel 1943, dopo che i tedeschi con molta fatica trasferirono meno di 200 Tiger si trovarono di fronte 1500 carri armati sovietici d’ultima generazione! In tal senso non aveva tutti i torti di parlava di “guerra preventiva”. Certo che i tedeschi diplomaticamente sono sempre stati un disastro, soprattutto dopo Bismarck …
Senza lo stupido razzismo, peraltro condiviso al tempo da tutte le potenze occidentali (basti pensare a come vennero trattati i giapponesi alla Conferenza di Versailles), ma letalmente peggiorato dall’antisemitismo aggressivo,la Germania avrebbe potuto rimanere in discrete relazioni con USA e GB e dedicarsi a riannettere i territori storicamente e/o culturalmente tedeschi (Austria, Sudeti, Danzica ecc.) e, forse, mantenere uno status quo con l’URSS, indispensabile per i rifornimenti alimentari. Il pregiudizio ideologico fu letale.