Evola è stato scrittore davvero prolifico. Il filosofo ha affiancato alle opere dottrinarie e di maggior spessore, in cui è andato presentando, in modo organico, la propria visione del mondo, interventi giornalistici sollecitati dal costante confronto, intrattenuto con il tempo in cui ebbe in sorte di vivere. Un secolo, il XX, la cui storia ha assunto tratti tragici, ma durante il quale, a latere del dilagante utopismo perfettista, si sono manifestati contravveleni ideali, utili a fermare la corsa verso il nulla del mondo contemporaneo. Tra essi va sicuramente individuato e posto in una posizione preminente, il pensiero evoliano. L’ambito in cui è stato possibile registrare maggiormente l’accelerazione dei processi di decadenza durante il «secolo breve», e soprattutto nel passaggio cruciale dalla modernità alla post-modernità, è quello relativo ai rapporti uomo-donna e alle relazioni sessuali. Il nostro filosofo se ne era ben accorto, tanto che nel 1958, mentre l’«Italietta» democristiana viveva di falsi moralismi e di pruderie piccolo-borghesi, frequentando, con dissimulata nonchalance, sagrestie e «casini», dette alle stampe una delle sue opere più rilevanti, Metafisica del sesso, che, fin dal titolo, richiamava una concezione dell’eros non riducibile al piano della mera fisicità.
Quest’interesse e la centralità di una concezione ontologica della sessualità, distante tanto dal vieto moralismo, quanto dal riduzionismo francofortese, stante il quale la sessualità andava relegata alla dimensione pulsionale, è confermato dai pezzi giornalistici in tema del filosofo, che sono ora a disposizione del lettore in un solo volume. Si tratta del libro, Julius Evola, Il problema della donna. Scritti sulla femminilità 1921-1971, a cura di Paola De Giorgi, edito da Fondazione Evola-Pagine (per ordini: 06/45468600, pp. 222, euro 17,00). Il volume è impreziosito da un ampio saggio introduttivo della curatrice, giovane ricercatrice che ha dedicato la propria tesi di dottorato al pensiero evoliano, e dall’Introduzione della scrittrice e giornalista Paola Giovetti, noto volto televisivo. Molti degli scritti evoliani qui raccolti, furono sollecitati dalla realtà quotidiana, da casi di cronaca, dalla pubblicazione di studi in tema, che il pensatore discuteva. La problematica femminile, le tematiche ad essa connesse, oltre che essere di grande rilevanza, sono di strettissima attualità: è sotto gli occhi di ognuno, il degrado cui sono giunti i rapporti di coppia: la diminuzione dei matrimoni, la riduzione sensibile della natalità, l’aumento esponenziale di separazioni e divorzi. In casi estremi, l’incomunicabilità tra i sessi, dà luogo al fenomeno dei «femminicidi».
Per questo, come rileva De Giorgi: «Il parlare di donna, oggi, è affar serio, dato che si rischia di venir tacciati di maschilismo e discriminazione» (p. 13). Almeno da quanti, e sono il maggior numero, siano imbevuti del senso comune contemporaneo. Al contrario, Evola fin dai primi anni Venti, aveva contezza che, su questo tema, era in gioco: «la vocazione intima e connaturata all’essenza della donna in quanto persona» (p. 14). Certo, nei primi scritti di Evola, tale aspetto, comunque essenziale, è coperto dal prevalere di boutade «superomistiche», nietzschiane e, soprattutto, weiningeriane. Ciò emerge, in particolare, nel saggio del 1925, La donna come cosa, che nel titolo, evidenzia il debito teorico contratto dal tradizionalista con il pensatore austriaco. Chiosa la curatrice: «Gli articoli giovanili si mostrano il centro di un’accesa polemica “sessista” […] e forse un po’ dichiaratamente misogina» (p. 17). A seguito dell’incontro con il mondo valoriale della Tradizione, Evola mitigò tali prese di posizione, analizzando i rapporti uomo-donna sotto il profilo della «complementarità». Uomo e donna, in tale prospettiva, sono i due poli dell’Androgine originario di cui disse Platone nel Simposio. Essi si cercano vicendevolmente, rappresentando le due parti dell’Unità originaria separata.
La potenza dell’Eros può indurre il recupero di tale Origine. L’errore delle rivendicazioni femministe, è da ravvisarsi nel fatto che il movimento di «liberazione» (presunta), si è battuto per il diritto della donna di farsi uguale all’uomo, di tradire se stessa. Nel mondo della Tradizione, data la complementarietà dei due sessi, erano previste Vie realizzative diverse per essi. L’uomo, infatti, quando sia davvero tale, è presente a se stesso. Pertanto, avrebbe potuto realizzare al meglio la propria natura, nell’azione e nella contemplazione. Al contrario la donna, la vera Donna, avrebbe potuto trovare se stessa, rispettando la propria essenza profonda, nell’Amore, divenendo «Amante» o «Madre». Alla luce di queste idee, Evola ritiene che nella modernità, la donna, oltre che dalle «conquiste» del femminismo, che hanno riproposto, nel migliore dei casi, le resurrezione delle virago dell’Antichità, sia stata traviata anche dall’uomo contemporaneo, che ha abdicato al proprio ruolo. Ecco perché, anche laddove si esca dalla morale cristianeggiante e piccolo-borghese, nei rapporti tra i sessi, si rimane, come accadeva negli anni Cinquanta e Sessanta nei paesi anglosassoni, imbrigliati in una pratica erotica, puramente catagogica, incapace di aperture verso l’alto. In ogni caso, Evola stigmatizza i comportamenti ipocriti ed ambigui del moralismo puritano, che come contropartita, hanno prodotto l’«istintuale» rivoluzione sessuale del Sessantotto. Nello stesso senso, egli si fece aspro censore tanto dell’etica matrimoniale e falsamente virginea di tante ragazze italiane, il cui comportamento a dir poco ambiguo in tema di sessualità, contrappose a quello chiaro e «cameratesco», delle ragazze nord-europee.
Molti degli articoli della raccolta presentano come regressivi, fenomeni che sarebbero dilagati nella società di massa, dal «naturismo nudista», alla pansessualismo delle giovani generazioni. In ciò il filosofo si mostra profeta: comprese, anzitempo, cosa sarebbe avvenuto nella nostra epoca, che conosce il diffondersi del gender. Solo lasciandosi alle spalle, suggerisce Evola, il primitivismo e il darwinismo, ideologie strutturali della modernità, e guardando alla Tradizione, l’Europa avrebbe potuto riprendere il proprio cammino. Lungo tale strada, si sarebbe dovuta ricostruire la stessa famiglia: «istituzione [..] erosa dall’individualismo dell’ultima civiltà cosmopolita […] dal femminismo, dall’americanismo, dal sovietismo». Essa avrebbe dovuto nuovamente assumere il tratto «eroico» che la caratterizzò nel mondo romano, avrebbe dovuto tornare a custodire il sacro fuoco della gens e della Tradizione.
@barbadilloit
Evola come Freud e tanti altri capivano ben poco delle donne…e della loro sessualità…
Prova a leggere Metafisica del sesso.
Dice bene Rosen, Metafisica del sesso è sicuramente uno degli scritti più importanti di Evola, ma ricordo anche i simpatici articoli degli anni 50/60 sulla differenza fra le ragazze “mediterranee” e “nordiche” che pur non trovandomi daccordo nel giudizio(io al contrario ho sempre preferito il tipo “mediterraneo” di ragazza) manifestano un Evola assolutamente all’opposto da qualunque bigottismo di sorta ed eccezionale analista sociologico di certe tendenze e tratti tipici femminili… Qui un esempio divertente: https://www.centrostudilaruna.it/evolaragazze.html
P.S. Importante anche il suo punto di vista che condivido in pieno sul calo della libido provocato dalla cosiddetta liberazione sessuale, dal femminismo etc ed in generale la distinzione che egli compie fra “Libertà del sesso e libertà dal sesso”…
Rosen. L’ho letto, l’ho letto…
Il comportamento “cameratesco” delle ragazze del nord era in buona parte dovuto ai nuovi ruoli, nella fabbrica, nei servizi ecc. che le donne furono chiamate a svolgere nella WWI, per non parlare della WWII. Non nel ‘600….C’è un film del 1949, un musical famosissimo, On the Town, ambientato a New York, con Frank Sinatra, Gene Kelly ecc., dove una giovane donna taxista dice ai marinai: Ragazzi, la guerra è finita ma noi in casa non ci torneremo più! Altro che Kinder, Küche, Kirche … Non facciamola tanto lunga, la liberazione femminile, capitanata dalle aristocratiche britanniche d’inizio ‘900 giunse al popolo poco dopo attraverso…la guerra! Non rimpiango personalmente quell’era prefemminista, dove il potere era in gran parte già in mano femminile, ma ipocritamente dissimulato…
Esatto Stefano, aggiungo la definizione ontologica dell’amore, l’ a-mors il senza morte, l’androgine primordiale.
Ma in toto un libro che lascia il segno dopo averlo letto, la delicatezza e la dignità con cui viene trattata la figura della Donna, qualcosa che il peggio dell emancipazione e del femminismo di oggi ,ma già dell epoca ,non riusciranno mai ad intuire.
Mi sembra di capire, Guidobono, che lei invece ha capito tutto delle donne…
No, ma non ci scrivo saggi…
Articolo interessante. Complimenti a Sessa. “Metafisica del sesso” lo lessi molto tempo fa e in fretta, per cui non mi permetto di esprimere giudizi, mi riprometto di tornarci sopra (prima voglio leggere “Il campo dei santi” di Raspail).