In un’Europa interconnessa, costretta a fare i conti con gli scenari del futuro, delle nuove tecnologie e dei nuovi assetti produttivi, anche una sentenza, emanata da un tribunale spagnolo, può fare scuola e soprattutto invitare alla riflessione.
La materia del contendere è oggettivamente “innovativa”. Di fronte una lavoratrice ed una macchina: con la prima che si è appellata allo Juzgado de lo Social número 10 de Las Palmas de Gran Canaria, contestando il licenziamento da parte della multinazionale Lopesan Hotel Management S.L. che l’aveva sostituita con un software in grado di svolgere le sue stesse mansioni.
La multinazionale si era appellata nel giustificare il licenziamento della ricorrente e di altri lavoratori dell’impresa, semplicemente allegando un rapporto circa le previsioni sul futuro del settore nelle Isole Canarie. Nel caso in analisi, tuttavia, ha osservato il giudice, “ci si trova innanzi ad un fenomeno che supera il concetto di tecnico se non anche quello di libertà di impresa, riguardando piuttosto la stabilità del lavoro nel suo complesso”.
Le cause oggettive di natura tecnica addotte dall’impresa non sono state per questo motivo ritenute valide dall’organo giudicante, il quale ha valutato che il licenziamento sia stato piuttosto dettato da ragioni meramente connesse all’aumento della competitività e alla riduzione dei costi.
È inammissibile, infatti, come ha argomentato il giudice, che “il miglioramento della competitività si eriga ad elemento unico in grado di giustificare un licenziamento, mediante l’introduzione di bots che automatizzino il lavoro al punto da rendere non necessario il lavoro umano”.
La conclusione a cui è giunta la sentenza è che sebbene si riconosca che in alcuni casi l’innovazione tecnologica possa comportare la riduzione del lavoro manuale e ripetitivo – e viene citato l’esempio del passaggio da una macchina fotografica analogica ad una digitale – nel caso oggetto di analisi non si tratterebbe tuttavia di riduzione, ma di completa sostituzione del lavoro di una persona con quello di un software, il che, sostiene il giudice, “sarebbe come considerare il lavoratore alla stregua di uno strumento”, se non anche “favorire, con il pretesto della competitività, la sottovalutazione e lo svilimento del diritto al lavoro”.
Le conclusioni del tribunale spagnolo, al di là dell’ambito meramente giuridico, possono essere valutate da diversi punti di vista. Intanto che il lavoratore non può essere considerato alla stregua di un qualunque software. Non è insomma una “merce” fungibile. Non è mera “forza lavoro”, come affermava – nella sostanza – il primo Capitalismo di stampo ottocentesco.
Secondo aspetto che il puro e semplice richiamo alla competitività non giustifica un licenziamento. La competitività – aggiungiamo noi – non è un fine, ma un mezzo, uno dei tanti mezzi che possono garantire la vita produttiva dell’azienda. Nel giusto ordine dei valori – come afferma la Dottrina Sociale – prima c’è l’uomo, in secondo piano i beni materiali, in una posizione intermedia il lavoro quale tramite attraverso il quale l’uomo si appropria dei mezzi materiali.
Ulteriore elemento di valutazione è che nella lotta tra l’uomo e la macchina, una lotta che si sta radicalizzando, non è accettabile considerare la partita già vinta dalla macchina, nel segno di una malintesa concezione del “progresso”. Nella misura in cui la tecnologia non è moralmente neutra, anche su questo versante si impone e si imporrà sempre di più una valutazione etica del rapporto tra sistema produttivo e tecnologia, considerando i costi/benefici sociali delle nuove tecnologie ed individuando le possibili azioni compensative a favore dei lavoratori.
La tecnologia è – in definitiva – un modo di guardare lo sviluppo del mondo. Nel bene e nel male. Se ne prenda atto, rompendo con ogni meccanicismo materialista. In Spagna il principio che il lavoro non è merce ha trovato un giusto riconoscimento. L’auspicio è che la sentenza spagnola faccia veramente scuola.
L’automazione nelle fabbriche è benvenuta se, oltre ad aumentare la produttività di un’azienda, serve a ridurre la fatica degli operai che vi lavorano, altrimenti se deve comportare la sostituzione integrale del lavoro umano, va rigettata con forza.
Caxxate degne di chi a Manchester nel ‘700 distruggeva i primi telai mossi dai motori a vapore. Per difendere il lavoro!!! Inguaribili cavernicoli, dietrologi, passatisti, mentalmente pigri, allergici a qualsiasi idea di progresso, bruti con l’anello al naso…
Se una cosa la puoi fare meglio, non solo è giusto ma è persino ineluttabile il venire in essere della migliorìa stessa (intendendo con “meglio” sia la maggiore rapidità, sia il minor costo). Tra l’altro non si capisce chi sarebbe legittimato ad impedirmi di usare la modifica migliorativa. Con tutto il rispetto per l’articolista, non trovo corretto prefigurare una dicotomia uomo vs. macchina: sono categorie generiche, che risultano fuorvianti.
Concordo con paleolibertario: deliri passatisti e basta.
Io lavoro nei trasporti :presto arriveranno camion con la guida automatica gestita da remoto, tu puoi fare tutte le leggi che vuoi ma il progresso non lo puoi fermare purtroppo.Abbiamo una classe politica di cialtroni ( e un popolo ahimè di mantenuti e nullafacenti ) che pensa soltanto ai sondaggi, tra dieci o quindici anni saremo al livello dell’Argentina.
I camion a guida autonoma arriveranno, ma non prestissimo. Ma chi di noi vorrebbe viaggiare da Roma a NeW York in un jet senza pilota, cioè in un drone?