
L’Argentina ha voltato pagina, come del resto era ampiamente previsto. Il presidente della destra neoliberista Maurico Macri torna a casa dopo un solo mandato, travolto da una crisi economica senza precedenti, e cede lo scettro al peronista Alberto Fernandez, che governerà in coppia con la vicepresidente Cristina Fernandez Kirchner, già a capo della nazione sudamericana dal 2007 al 2015. Era invece meno previsto che lo scarto tra i due sfidanti si riducesse a poco più del 7%, infatti sondaggi e risultati delle elezioni primarie dello scorso luglio indicavano un solco di almeno il 15% a favore di Fernandez.
Dettagli, visto che la legge elettorale prevede che si diventi comunque presidenti al primo turno con il 45% dei voti? Non del tutto. La sconfitta onorevole di Macri permette al presidente uscente di salvare non solo la faccia, ma anche un ruolo importante come leader dell’opposizione (con una considerevole forza parlamentare); ma paradossalmente può star bene anche a Fernandez, che in qualche modo “tampona” il trionfo dell’ala più progressista legata a Cristina Kirchner, che sarebbe stata in grado di condizionarlo. Molti esponenti del peronismo di sinistra, infatti, sono restati fuori da Congreso e Senado, rafforzando la componente moderata alla quale fa riferimento il neo-presidente. Al punto da denunciare apertamente l’ipotesi di una frode elettorale per “alleggerire” la sconfitta di Macri.
La vittoria “mutilata” del Frente de Todos (così si chiama la coalizione neoperonista) frena inoltre un certo spirito di vendetta che aleggiava tra i kirchneristi, che vorrebbero chiudere i conti con Macri a suon di inchieste giudiziarie. Un po’ come nei quattro anni passati è successo proprio a Cristina, presa di mira dalla magistratura con svariate accuse (tutto il mondo è Paese) e finora salvata solo dall’immunità parlamentare. Invece anche in questo caso le prime mosse di Alberto Fernandez sono state distensive: poiché entrerà alla Casa Rosada solo all’inizio di dicembre, il nuovo presidente sta cercando di mediare con Macri una transizione morbida, soprattutto per non allarmare i mercati e peggiorare la già complicata situazione economica e aumentare l’inflazione del peso argentino in questo mese e mezzo di interregno. La prima mossa, il giorno dopo le elezioni, è stata ad esempio una visita di cortesia a Macri.
Il gesto non a tutti è piaciuto. Del resto Alberto Fernandez, peronista moderato anche in campo economico, era stato scelto come candidato presidenziale proprio per convincere i settori meno estremisti del neoperonismo, che invece quattro anni fa andarono alle elezioni in ordine sparso, agevolando l’affermazione di Macri. Ma se la Kirchner pensava di aver trovato una testa di legno, pare si sia sbagliata. L’astuto Alberto, che nei primi anni 2000 fu capo di gabinetto di Nestor Kirchner, marito di Cristina, e che poi sul finire del decennio se ne andò sbattendo la porta proprio per contrasti con la “presidenta”, ora sembra avere l’intenzione di giocare la sua partita.
Intanto Cambiemos, la coalizione di destra liberista sconfitta, si lecca le ferite e prepara la resa dei conti al proprio interno. C’è chi vorrebbe far fuori Macri, che nei quattro anni passati non ha mai dato l’impressione di essere all’altezza del ruolo, e spingere per il 2023 la candidatura di Horacio Larreta, rieletto a furor di popolo governatore della città di Buenos Aires (la provincia, che con i suoi 16 milioni di abitanti è l’ago della bilancia nelle elezioni nazionali, è andata invece al peronista Axel Kiciloff). E c’è chi, non solo come boutade post-elettorale, suggerisce di risolvere il problema dell’eterno ritorno del peronismo con una bizzarra soluzione “alla catalana”. Cioè dichiarando la secessione di una parte dell’Argentina.
In questi giorni sui social sta circolando la proposta, appoggiata anche da parlamentari, di dichiarare l’indipendenza delle province di Santa Fe, Cordoba, Mendoza, Entre Rios e della capitale federale (vale a dire le cinque aree nelle quali ha prevalso Macri), per fondare l’Argentina del Centro. Qui, secondo i promotori della strampalata iniziativa politica, troverebbe spazio un modello «capitalista, produttivo, votato all’export, di libero mercato, repubblicano e rispettoso delle istituzioni», in grado di prendere le distanze dall’altra Argentina, cioè «le province che malgrado siano in condizioni di povertà continuano a votare per il caudillismo peronista». Sembra uno scherzetto di Halloween, ma nelle file di Cambiemos c’è chi crede a questa specie di Repubblica dei Ricchi da opporre ai descamisados di Peròn; mentre tra i vincitori delle elezioni qualcun altro sottolinea con apprensione che vent’anni fa anche le richieste indipendentiste catalane sembravano strampalate, e poi…
Torna al governo il peggior peronismo da tanti anni a questa parte, confermando che il ‘potere reale’ (il sindacato ed il popolo abituato a tariffe sovvenzionate, tipiche del peggior populismo) è ancora in buona misura nelle sue mani. Infatti i presidenti non peronisti, da Frondizi a Macri, se va bene finiscono il proprio periodo. CHE GLI DEI ABBIANO PIETÀ DELL’ARGENTINA, ANCHE SE SI MERITA POCO…
Felice ma cosa dici Macri stava mandando il paese in fallimento totale sotto ogni punto di vista, adesso va bene tutto ma negare l’evidenza per proprie convinzioni ideologiche mi sembra puerile… Tra l’altro questo Fernandez non è un peronista di quelli più oltranzisti, è fondamentalmente un moderato, e rimane il fatto che i migliori momenti per l’Argentina sono stati proprio grazie al peronismo (quello vero ed originario che non era di sinistra ma nemmeno liberale ma era “terza via” come il nostro fascismo) non di certo grazie a questi fantocci neo-liberisti formati nei laboratori made in USA(e con i soldi in conti off-shore a Panama)…
Stefano. Non posso parlare dell’Argentina con un ‘teorico’: ci son vissuto 8 anni in tre diversi periodi, da Alfonsin a Kirchner… Auguri!
I peronisti hanno rovinato l’Argentina , come questi populisti da Berlusca in giù hanno dato il colpo finale all’Italia. Peron tornò in Argentina con Isabelita accompagnato da licio Gelli e Giancarlo Elia Valori.Nessuno difende i neoliberisti , ma quello che a metà secolo era uno dei paesi più prosperi del mondo è diventato un ammasso di rovine.
Gallarò. È vero.
Il peronismo dei Kirchner è stato un monumento alla corruzione, all’impunità, all’illegalità. Per coprire le proprie conosciute, ingenti ruberie, il ‘sistema K’ ha concesso al popolo calcio argentino in diretta gratis e tariffe sovvenzionate, creando un buco enorme nei conti pubblici. Macri (figlio di un muratore calabrese, Franco, da poco deceduto, emigrato e divenuto ricco in Argentina) come Presidente avrà pure commesso degli errori, ma ha dovuto porre fine a quello che si profilava come l’ennesimo default di Buenos Aires. Il primo è del 1896! Con il ‘sistema K’ addirittura l’Argentina ha dovuto importare petrolio e gas naturale dei quali è un gran produttore! I precedenti governi di Cristina K, indagata in decine di processi (per questo ha lasciato la presidenza ad Alberto Fernandez, e giovandosi dell’immunità parlamentare), hanno avuto a favore il fortissimo aumento dei prezzi agricoli internazionali, ma l’onda espansiva si è arrestata…
Macri è stato così bravo nel suo ruolo che nemmeno quelli del suo partito lo sostengono più da tempo… Sul resto evito di commentare, dico solo che mentre la posizione di Felice è coerente quella di Gallarò fa venire il torcicollo per quante contraddizioni ci sono.
L’ Italia sta diventando purtroppo sempre più simile alò Sudamerica dove un popolo abbruttito segue ciarlatani senza dignità. Peggio del neoliberismo c’è solo la cialtroneria di certi personaggi . il Pci negli anni 70 quando aveva il controllo pressochè totale della classe operaia aveva come stella polare i sacrifici e l’austerità mentre i gruppuscoli di babbei alla sua sinistra invitavano all’assenteismo, a non pagare gli affitti ,i trasporti e le bollette e altre amenità.Risultato? la distruzione di una parte consistente dell’industria italiana esempio l’Alfa romeo.Mussolini imponeva al popolo sacrifici quando li riteneva giusti (vedi quota 90 o i k’attivo di bilancio nel 1924).Tra due o tre anni l’Argentina sarà alla rovina definitiva con un altro default.
Io non ho parlato dei peronisti al caviale di oggi, io parlavo di Juan Domingo Peron, quel signore che realizzò il terzo stato fascista della storia dopo quello italiano e tedesco, quel Juan Domingo Peron che nazionalizzò il capitale straniero,che introdusse la giornata lavorativa d 8 ore, le ferie retribuite, che alfabetizzò le classi povere e che diede dignità ad una nazione grazie anche alla preziosa collaborazione di Giuseppe Spinelli, già ministro del Lavoro della Repubblica Sociale Italiana. Perchè la “tercera position” nasce qui in Italia, dove Peron rimase affascinato dall’esperimento fascista:nel 1973 così descriveva l’Italia in camicia nera: “Lì si stava facendo un esperimento. Era il primo socialismo nazionale che appariva nel mondo. Non voglio esaminare i mezzi di esecuzione che potevano essere difettosi. Ma l’importante era questo: un mondo già diviso in imperialismi e un terzo dissidente che dice: No, né con gli uni né con gli altri, siamo socialisti, ma socialisti nazionali. Era una terza posizione tra il socialismo sovietico e il capitalismo yankee”.L’Italia fascista, dunque, come avanguardia per la realizzazione della sintesi tra capitale-lavoro. Gli epigoni non sono all’altezza? Capita e noi ne sappiamo qualcosa, soprattutto quando il binomio capo-popolo non c’è più, il neo-peronismo non ha praticamente nulla più a che vedere col peronismo se non qualche residua aspirazione sociale… Nel 1968 Jean Thiriart su “La Nation Européenne” intervistava J.D.Peron esule a Madrid, lui che era un affezionato lettore della rivista, ecco oggi sentire certe cose mi fa capire che non si è avanzati di un millimetro nella capacità di cogliere sintesi e sviluppare nuovi paradigmi rivoluzionari, ma soprattutto ancora non si rilegge a dovere la Storia,in contro-luce, e senza questo pre-requisito allora devo dare regione al buon Valter Ameglio su quello che diceva ieri. Mi devo disintossicare anch’io evidentemente.
Stefano: dimenticati delle buone intenzioni, o degli ideali, di Perón del 1945. Oggi il peronismo ha lasciato un sindacalismo vorace, autoreferenziale, corrotto, ed una dilagante cleptocrazia che condivide (come i narcos colombiani o messicani o venezuelani ecc.) le ‘entrate’ con alcuni settori popolari…
Comunque, al netto degli errori e della sfiducia che in Argentina subito dilaga appena le cose diventano difficili, Macri ha pur sempre preso più del 40%… Con un popolo ampiamente peronista per forma mentis (¡Puto o Cagón, Queremos a Perón!) era una scritta dipinta sui muri, diffusasi dopo il golpe del 1955, quando gli ottusi militari che avevano preso il potere cercavano d’infangare la figura del deposto generale presidente…
C’era una seconda versione: “¡Puto o Ladrón, Queremos a Perón!”. Inutile tradurre…
In verità l’Argentina non è più quella potenza economica di inizio XX secolo, a causa delle politiche ultraliberiste attuate nel decennio della presidenza Menem. La grande crisi del 2001, è farina del suo sacco. In quel decennio si sono compiute le cose peggiori, ovvero privatizzazioni selvagge con svendita ai privati dei maggiori asset nazionali, molte imprese chiusero i battenti perché affossate dalle importazioni massicce di prodotti cinesi. Sinceramente, demonizzare Perón e attribuirgli i disastri dell’Argentina odierna, mi pare inopportuno e ingiusto.
Non intravedo nulla di buono per l’Argentina. Prima o poi dovranno farla una politica di “lacrime e sangue”, pena l’aumento ulteriore del debito e conseguente passaggio della patata bollente alle (povere) generazioni future.
Peron grande amico di Licio Gelli …
Menem è stato per un decennio la cosa migliore dell’Argentina, pur con errori. Ha dato stabilità e speranza (simboleggiati dall’1.1). Ma il peronismo “duro e puro”, le debolezze psicologiche e strutturali, la sfiducia nello Stato, han purtroppo mandato tutto in vacca. Altro che neoliberalismo! Quelle sono cialtronate che può dire don Lasagna Pampero…
Io non demonizzo Perón, non demonizzo Menem, mi fan schifo quelli che applaudono in Parlamento l’intenzione di non pagare i debiti (2002), poi persone e prassi del ‘sistema K’… Quel peronismo non solo corrotto, ma populista, sinistrorso, montonero, inaffidabile, causa del golpe del ’76, dal quale l’ultimo Perón prese nette le distanze prima di morire nel ’74….
Il socialismo nazionale nella realtà non esiste. È un sogno, una tentazione, una illusione, forse un miraggio. Ma non è mai esistito storicamente (la Germania dal ’33 al ’39 non significa molto, l’economia rimase capitalistica e di mercato). La ‘Terza Posizione’ è solo una formula propagandistica.