Nel 1937 Trotsky è in esilio in Messico, legge “Il tallone di ferro” di Jack London e ne è entusiasta. London ha previsto trent’anni prima, il libro è del 1908, la sconfitta della rivoluzione operaia, l’ineluttabile avvento di una forma di governo totalitario e non solo. I suoi occhi hanno visto la guerra mondiale, che ci sarà, i burocrati a danno delle masse dei diseredati…
Goffredo Fofi: “London ha distrutto la dolciastra letteratura popolare che lo precedeva.” Il racconto è affidato a una ragazza borghese, Avis, che si innamora del maniscalco Ernest Everhard che la educherà agli ideali di giustizia sociale e a combattere il Tallone che tutto schiaccia. La plutocrazia!
L’originalità del libro, più profetico che distopico, consiste nello scontro tra il proletariato e il sottoproletariato. Nel capitolo “La bestia ruggente nell’abisso” gli schiavi lavorano nei campi e nelle miniere, nel contempo le grandi caste operaie sono soddisfatte e non si preoccupano del popolo caduto nell’abisso. I Mercenari hanno sostituito l’esercito, regolano i rapporti, i contrasti tra gli oligarchi e le élites operaie. Nel capitolo “La Comune di Chicago” c’è la rivolta dei compagni che sbucano dai rifugi dove si erano asserragliati. Le esplosioni, le bombe, gli incendi. I Mercenari prendono il sopravvento, la Causa è perduta. Tre giorni di carnaio: i feriti vengono giustiziati, massacri di schiavi. Nei tempi successivi ci sarà una proliferazione di organizzazioni terroriste: le crudeli Valchirie, le Vedove di Guerra, Cuori Sanguinanti, i Vendicatori… Il manoscritto si interrompe bruscamente, a metà frase. La mano che scrive è di Avis, la moglie di Ernest. C’è stata una spiata e irrompono i Mercenari? Avviene il suo arresto? Non si saprà mai.
Il protagonista eroe, il cavaliere errante puro e pertanto immaginario, stonatura nel libro tetro e realista, si chiama Ernest. Al Che Guevara verrà dato questo nome in onore al personaggio. Simpatica leggenda, forse!
A London è rimproverato il suo passare dagli oppressori e oppressi ai forti e deboli, a cercare nella natura quello che non ha trovato negli uomini. Il dissidio con il Socialist Labor Party (SLP) sorto a Filadelfia, poi American, del quale è membro: espulso o dimissionario? London accusa il partito di non essere radicale e troppo riformista. Il partito lo giudica un ricco, un filantropo che si inquieta più per i cani da slitta che per i lavoratori. Ancora e peggio: un visionario che vuol trasformare il proletario di Marx nel superuomo di Nietzsche.
“La porta della cella si chiuse con un colpo secco alle spalle di Rubasciov.” Nicolaj Rubasciov è un dispotico commissario politico dei tempi di Stalin caduto a sua volta nel tritacarne del Grande Terrore, delle purghe degli anni trenta. Si trova nella scomoda situazione di dover sottostare agli interrogatori che imponeva, a dover meditare sulla frase: “il Partito non può sbagliare, è l’incarnazione dell’idea rivoluzionaria nella Storia.”
Rubasciov conosce bene la trafila che lo attende. Il grido di dolore e poi quelli più lievi, infine i gemiti, l’ansimare che spezza il pauroso silenzio. Dallo spioncino vede i segni delle percosse sugli altri reclusi. Sa i trucchi degli inquirenti, dopo notti insonni pur di dormire si racconta qualsiasi corbelleria. Ivanov, suo compagno di università, trascina una gamba artificiale, è l’incaricato messo a convincerlo dei suoi errori, ad accettare l’espiazione. Non è un compito difficile perché ha già nelle mani un signor X che doveva fare un attentato su istruzioni di Rubasciov. Il gioco astuto e meticoloso, persino pignolo, tra la vittima e il carnefice si srotola nelle pagine. Una partita a scacchi.
Incomprensibile l’etica, l’agire del carnefice nella realtà sovietica. Come non può non comprendere la possibile inversione dei ruoli, ricevendo le crudeltà che dispensa? Accade. Nikolaj Ezov, capo della NKVD, detto “il nano sanguinario” responsabile di migliaia di omicidi di presupposti “nemici del popolo” viene deposto, accusato di tradimento, spionaggio e fucilato. Jagoda prima di lui, Berija dopo di lui, subiranno la stessa sorte.
Rubasciov è la controfigura di Bucharin, definito da Lenin il figlio prediletto del partito, fucilato nel 1938. Stalin lo ha usato come alleato per abbattere altri componenti delle vecchia guardia rivoluzionaria, fagocitato, e poi il consueto processo e la pena capitale.
È il “Buio a mezzogiorno” pubblicato nel 1940, nel quale Arthur Koestler ammette che il buio ha oscurato la sua utopia. Nella prigionia Rubasciov si sdoppia ed emerge l’io, l’uomo prende il posto dell’umanità vagheggiata, del noi retorico e si pone innumerevoli interrogativi. Si chiede: “Quanti ne ho fatti fucilare?” Non ricorda. I colpi nel muro trasmettono i messaggi. Un altro carcerato, cella 402, recrimina: “I lupi si divorano tra loro.” Rubasciov voleva la Terra Promessa. Dov’è la Terra Promessa? Neppure Mosè l’ha avuta, cosa pretende Rubasciov?
I processi farsa falcidiano i rivoluzionari come se questi dovessero pagare un prezzo per quanto compiuto. La loro uccisione un risarcimento alle vittime di un assalto al cielo fallito. L’oggetto propagandato e venduto, la dittatura del proletariato, non funziona. Come ridar loro la vita sottratta, rubata, ai clienti delusi? I loro sogni sono divenuti incubi e assassini! Nella recita del tribunale si esige la confessione di colpe inverosimili che puntualmente avviene, con lo stupore degli stranieri intervenuti.
Perché confessano? Diverse le ipotesi. Per evitare ritorsioni ai familiari, oppure gli dicono che avranno salva la vita, promessa mai mantenuta. O con torture fisiche, droghe. Lo stesso Bucharin al processo si dichiara colpevole citando persino Hegel ma alla moglie ha fatto studiare a memoria una lettera nella quale si dichiara innocente.
Koestler al suo Rubasciov assegna una confessione suffragata dall’ideologia. Il vecchio funzionario crede talmente nel valore del sistema costruito che gli rende l’ultimo servizio, diventa il carnefice di se stesso. Siamo all’immolazione, al simulacro per una tragica fede.
A conferma della potenza mediatica della dittatura stalinista l’ambasciatore americano Davies scriverà che i processi politici in Urss avevano rivelato una vasta cospirazione. Persino Winston Churchill ne è convinto ed evitiamo la vergognosa sudditanza al riguardo dei partiti comunisti europei. I fedeli megafoni delle menzogne della Pravda.
Ecco il commiato, la chiusura del cerchio. C’era soltanto l’appello a quell’oracolo beffardo che è la Storia, purtroppo la sentenza sarebbe arrivata troppo tardi. Rubasciov non si spiega le ragioni della sua prossima morte. “Navighiamo senza zavorra etica,” cerca di argomentare. Una bussola difettosa ha impedito l’approdo, si inventa. Due colpi di rivoltella sistemano tutto. Cella 402, il detenuto divenuto amico lo saluta: “Vi invidio. Addio!”
Koestler: “Ho servito per sette anni il Partito Comunista. Io stesso tempo di Giacobbe per ottenere Rachele, la figlia di Labano. La sposa fu condotta nel buio della sua tenda. E solo al mattino si accorse d’aver profuso il suo ardore non sulla bella Rachele ma sulla brutta Lia… “ Nel 1983, gravemente malato, lo scrittore si suicida con la moglie.
Negli anni cinquanta In Spagna i minatori del regime di Franco sono in sciopero. Stalin manda il carbone, con buona pace a Lenin e ai dettami della fratellanza comunista. I maiali della fattoria di Orwell hanno fatto l’accordo con i padroni. Capitalismo di stato ma pur sempre capitalismo. È il ritorno occulto al capitalismo, lamentava Bucharin. Trotsky a Joan London: “la prospettiva funesta dell’unione del capitale finanziario con l’aristocrazia operaia è avvenuta.” Un matrimonio di interesse che sancisce la vittoria del vituperato ma efficace capitalismo sul marxismo, aggiungo a concludere. E di questo capitalismo noi siamo i figli compiaciuti e capricciosi, ingozzati e scontenti ma sempre i figli. E quanti figlioli pentiti e prodighi, tutti a mangiare il vitello grasso!!