Il primo numero de Il Giornale nuovo, fondato da Indro Montanelli, uscì martedi 25 giugno 1974. Da qualche parte devo conservare quella copia (arduo ritrovarla, dopo tanti traslochi!). Una settimana dopo, Il Giornale titolava in prima pagina: “Peron è morto: l’Argentina dinanzi a un incerto futuro”. E sotto, in corpo minore: “Ci si chiede quanto durerà Isabelita Perón alla Casa Rosada.
L’editoriale di Mario Cervi del 2 luglio 1974: “L’inutile volata di Juan Perón. La morte è giunta prima al traguardo”, in sintonia con molti osservatori italiani ed europei ricostruiva la straordinaria avventura d’un personaggio già entrato nella storia e nella leggenda, nella cui ombra l’Argentina aveva vissuto gli ultimi decenni, il ‘potere magico’ d’un anziano statista che conservava un’autorità immensa, oltre gli errori, la demagogia, l’ambiguità dei suoi uomini e delle sue ricette. E poi tutta l’incognita contagiosa del domani, le mille incertezze d’una nazione allorché ‘il mago che possiede il fluido magico della popolarità e del potere è stato messo per sempre fuori combattimento’.
A principio di giugno 1974, il Presidente Juan Domingo Perón (per la terza volta, dal 12 ottobre 1973, con la terza moglie María Estela ‘Isabelita’ Martínez come Vicepresidente, nata a La Rioja nel 1931, vivente, residente in Spagna) aveva fatto una visita al Paraguay, contro il consiglio dei suoi medici. Apparve pallido e malato, ma emozionato nel ricordare che su quella cannoniera fluviale ‘Paraguay’ (per ordine del generale Alfredo Stroessner, trovandosi nel porto di Buenos Aires) nel settembre 1955 aveva lasciato l’Argentina salvandosi dai proiettili del golpe della ‘Revolución Libertadora’. Perón quel giorno rimase a lungo sulla coperta della cannoniera, sferzata dalla pioggia e dal vento freddo, per gli interminabili discorsi d’occasione. Tornato a Buenos Aires, l’8 giugno ricevette il leader radicale Ricardo Balbín alla Casa Rosada, per analizzare il ‘Pacto Social’ ed ebbe una fitta agenda d’incontri.
Parallelamente al deterioramento della salute del Presidente avanzava la frustrazione politica. Il 12 giugno, in una riunione del Governo nel Salón Blanco della Casa Rosada, Perón minacciò di rinunciare alla Presidenza per le critiche dei media a causa dell’irreperibilità di prodotti basici e del fiorire del “mercado negro”. Appena si conobbero le parole di Perón, la centrale sindacale peronista (CGT) convocò i lavoratori a confluire alla Plaza de Mayo per confortare il generale e dimostragli la sua lealtà. La Plaza si colmò. Nel pomeriggio Perón uscì per l’ultima volta della sua vita sul balcone della Casa di Governo. Egli, con voce malferna, rivendicò tutte le politiche che aveva immaginato per la terza Presidenza: la liberazione nazionale, il ‘Pacto social’, il progetto nazionale ed il programma di ricostruzione democratica. Allora, nel giugno 1974, a 9 mesi del suo Governo, la democrazia si andava consumando giorno dopo giorno a causa della violenza politica scatenatasi all’interno del peronismo e per la repressione avviata dallo Stato da Perón condotto. Le istituzioni avevano ogni giorno meno peso e le forze politiche meno incidencia nella vita della nazione.
Perón parlò poi alla Rete Nazionale televisiva e denunciò vibratamente gli speculatori, i formatori dei prezzi al consumo, gli ‘oligarchi’ (pensando forse ai Mitre de La Nación) forieri di allarmismi, che sabotavano il ‘Pacto’. Presto ebbe una grave infezione respiratoria, febbre, insufficienza renale, scompensi cardiaci. Si recluse nella residenza di Olivos, non ricevendo più nessuno, solo la moglie Isabel e José López Rega, suo segretario (Penoso leggere ancora che, con l’appoggio della P2 e della CIA, López Rega organizzò la Alianza Anticomunista Argentina o Triple A. Falso! Fu solo una sigla usata dai Servizi d’Intelligenza delle FF. AA). Il 1º maggio precedente Juan Perón aveva dato per conclusa la sua relazione con i montoneros e con le altre formazioni estremiste. Da quando egli tornò a Buenos Aires, il 20 giugno 1973, ed ancor prima che Héctor Cámpora vincesse le elezioni di marzo, aveva vissuto con la organizzazione politico-guerrigliera dei montoneros un processo di crisi, differenziazione politica che sboccò nel traumatico finale. Quando si affacciò al balcone, Perón aveva il volto gonfio, rosso di furia. Sotto, migliaia di montoneros raddoppiarono cantici, slogan, insulti contro lui e la Vicepresidente. Durante nove minuti, prima del discorso, il grido di “el pueblo te lo pide, queremos la cabeza de Villar y Margaride”, assordò la gran Plaza de Mayo. Villar e Margaride erano Capo e Sottocapo della Polizia Federale. Quel 1º maggio la colonna di montoneros offese Isabel per omissione: “Evita hay una sola”. E pure Perón: “¿Qué pasa General, que está lleno de gorilas el gobierno popular?”. Era solo l’inizio. Gli slogan, i cantici offensivi di sfida, di rottura politica, non erano goliardici, di sessantottini beffardi. I montoneros avevano le mani sporche di sangue, per lo più peronista. Riprodotti in varie pubblicazioni e blogs: “¡Conformes general, usted con los traidores, nosotros a luchar!”, “¡Si Evita viviera, sería montonera!”, “¡Vea, vea, vea, qué manga de boludos, votamos una muerta, una puta y un cornudo!”, “Vea, vea, vea, qué flor de pelotudos, votamos una puta, un brujo y un cornudo” (con riferimento a Eva, Isabel, Lopéz Rega),“¡Atención, atención, en el gobierno hay un traidor y se llama Juan Perón!” (cfr. S. Sigal-E. Verón, Perón o muerte, Buenos Aires, 1985, p. 210; https://www.elortiba.org/old/cantitos.html).
Nella sua improvvisata allocuzione, Perón li trattò da ‘utili idioti’ e ‘mercenari al servizio degli stranieri’, come ‘stupidi ed imberbi’; lodò le organizzazioni sindacali (la destra peronista), definì i loro dirigenti ‘savi e prudenti’, rese omaggio ai capi della CGT assassinati dai montoneros, Vandor (1969) e Rucci (1973). I montoneros furono una guerriglia armata, un guevarismo di ideologia rivoluzionaria e marxista, inzuppata nella teologia cattolica della liberazione, nata dal movimento giovanile peronista durante l’esilio a Madrid di Perón, che poco aveva a che vedere con il ‘peronismo storico’ e molto con il castrismo. Egli, che pure li aveva utilizzati per poter tornare, è loro avverso, sempre più, fino alla rottura definitiva del 1º maggio 1974. La sua decisione di terminare con la lotta armata, la guerriglia, con le buone o le cattive, era irrevocable. Era la rottura definitiva tra le diverse anime del justicialismo, il prevalere in Perón e nei suoi seguaci dell’opzione convinta per l’ordine, l’autorità, la disciplina, l’identità, la legalità, per quanto fosse alto il prezzo da pagare.
Un altro fatto politico occorse nella inevitabile percezione della morte imminente. Perón, perplesso circa le capacità politiche della moglie, pensó che a succederlo alla Presidencia sarebbe stato preferibile Ricardo Balbín, capo dell’Unión Cívica Radical, che lui aveva sconfitto nel ’73. Il problema per l’assunzione di Balbín era di ordine legale. Vista presto la sua impraticabilità, dopo aver consultato il segretario legale e tecnico Gustavo Caraballo, Perón chiese a Caraballo di abbandonare l’idea ma, in sua presenza, ricordó caldamente a Isabel: “Nunca tomes ninguna decisión importante sin consultar a Balbín”.
Il 18 giugno Perón soffrì un lieve infarto. Sabato 29 giugno, al mattino, Perón delegó il comando presidenziale alla moglie. Provò a sedersi nella poltrona per vedere gli uccelli dalla finestra, ma ebbe delle vertigini e subito tornò a letto. Nella notte di lunedì 1º luglio, Perón non riusciva a dormire. Alle 3.30, nel monitor del dispositivo medico si evidenziarono extrasistoli ventricolari. Alle 10, come previsto, iniziò la Riunione di Gabinetto presieduta da Isabel. Alle 10:15, apparve nella stanza da letto del Presidente il padre Héctor Ponzio, cappellano del Regimiento dei Granatieri. Diede al moribondo l’Estrema Unzione. Ci furono rumori e la Riunione s’interruppe. I ministri compresero e rimasero come paralizzati. López Rega corse alla stanza di Perón. La cameriera spagnola scrisse nel suo diario: “De golpe, Perón empezó a perder el aire, tenía la boca abierta y una gobernanta empezó a abanicarlo. Estaba con convulsiones en el sillón y dijo ‘me voy, me voy’ y cayó para el suelo de costado”. Era un attacco cardiaco. Tutta la équipe medica iniziò a lavorare freneticamente. A Perón furono sommimistrati massaggi cardiaci energici e ritmici, respirazione artificiale, varie medicine. Il Presidente non aveva più irrigazione cerebrale e riflessi nelle pupille. Il monitor che mostraba le funzioni del suo cuore si stava spegnendo, fino a che scomparve l’ultimo puntino. Cuando la morte clinica era già avvenuta intervenne López Rega, ‘el brujo’, allontanando i medici. Era il suo momento.
– El General ya murió en una ocasión y yo lo resucité – avvisò gli astanti.
Lo prese dalle caviglie, chiuse gli occhi e cominciò a balbettare un mantra, chissà tentando di raggiungere l’armonia con la sfera divina… Fino a che gridò, in una surreale e demenziale invocazione:
– ¡No te vayas, Faraón! – Il padre Ponzio cominciò a recitare un Padre Nostro. Il 1º luglio 1974 il Presidente Teniente General Juan Domingo Perón era morto. (Da Infobae, Marcelo Larraquy,“¡No te vayas, Faraón!”: los dramáticos minutos finales de Perón en la residencia de Olivos, 1º luglio 2019).
La biografia del leader
La biografia di Perón è riportata in molte publicazioni, anche in italiano, e siti web, a partire da Wikipedia. Pure lo scrivente si è cimentato su queste colonne. Ripercorriamone alcuni momenti. Juan Domingo Perón nacque a Lobos, a 98 km. dalla Capitale, l’ 8 ottobre 1895, figlio naturale di Juana Sosa Toledo, di origini native tehuelche e spagnole, e di Mario Tomás Perón, di sangue italiano, spagnolo, scozzese. Dirà molti anni dopo Perón dell’ascendenza materna:
“Ho parte di sangue india: zigomi pronunciati, capelli abbondanti…Posseggo una fisionomia india e mi sento orgoglioso di ciò, perchè credo che la cosa migliore del mondo risiede negli umili”.
Il nonno paterno di Juan Domingo fu Tomás Liberato Perón (1839-1889), un argentino nato a Buenos Aires, que
divenne un medico importante e deputato provinciale, professore di chimica e di medicina legale. La nonna paterna era Dominga Dutey, una uruguaiana di Paysandú, figlia di genitori basco-francesi. I bisnonni paterni furono Tomaso Perón (1803-1856), suddito del re di Sardegna, presumibilmente originario delle Valli Valdesi del Piemonte, che emigrò all’Argentina nel 1831, ed Ana Hughes McKenzie, una scozzese nata a Londra.
La madre ed il padre di Juan Domingo si sposarono a Buenos Aires nel 1901. L’essere ambedue nati figli illegittimi fu un elemento che unirà istintivamente Juan Domingo ed Eva Duarte. Da bambino il futuro presidente visse, come dirà, in una sorta di “effettivo matriarcato”. Tuttavia si distanzió presto dalla madre e non fu neppure al suo funerale, quando morì, essendo egli Presidente e già vedovo per la seconda volta. Il padre si recò nella Patagonia meridionale (dove il piccolo Juan Domingo imparò a cacciare i guanacos), poi nel Chubut, fu amministratore di estancias, impiegato e funzionario pubblico, irrequieto, ma poco ambizioso. Juan Domingo ed il fratello Mario Avelino furono inviati presto alla casa della nonna paterna, a Buenos Aires, onde poter frequentare scuole regolari. Sostengono alcuni che in realtà Perón era nato prima e poi si assunse per data di nascita quella dell’iscrizione nel Registro Civile. Era abbastanza normale al tempo, quando pressoché tutti nascevano in casa e veniva poi ufficializzata la parola, del padre dichiarante o della madre nubile. Con scarsi affetti familiari, Juan Domingo, entrato nel 1911 nel Collegio Militare della Nazione, grazie ad una borsa di studio, si diplomò nel 1913 come sottotenente di Fanteria. L’Esercito divenne la sua vera, unica famiglia. Contrasse un primo matrimonio nel 1929 con Aurelia Tizón che morì giovane, nel 1938, di cancro all’utero, la stessa malattia di Evita. Non ebbero figli e la maggioranza degli storici e cronisti è concorde nel ritenere Perón sterile. La sua carriera militare fu brillante. Appassionato di molti sport, praticava la boxe e la scherma (fu campione di spada dell’Esercito), amava le corse in motocicletta. La sua corporatura era alta (oltre 1,80) e massiccia. Egli ascese piuttosto rapidamente i vari gradi, fu docente di storia alla Scuola Superiore di Guerra, quindi Addetto Militare presso l’Ambasciata d’Argentina in Santiago del Cile nel 1936, con probabili compiti di spionaggio.
Inviato in Italia
A principio del 1939 l’ufficiale venne inviato in Italia per seguire nelle Scuole Militari di Torino, Aosta e Milano corsi di approfondimento in diverse discipline teoriche e pratiche, come economia, politica, alpinismo, sci e persino scalate in alta montagna. Egli era un buon conoscitore della lingua italiana, e visto da vicino, il Fascismo lo impressionò favorevolmente. Racconterà, forse mentendo, di aver conosciuto Mussolini il 3 giugno 1940 e di salutarlo con il braccio teso. Alla vista dell’operosa Italia del Duce, si radicò in Perón l’idea che capitalismo e comunismo erano cosmopoliti, sudditi d’interessi stranieri. La vera novità era il socialismo nazionale. Nel 1941 tornò in Argentina, diede una serie di conferenze sulla situazione bellica in Europa e fu promosso colonnello. Tuttavia, le sue idee furono considerate da alcuni ufficiali conservatori troppo innovatrici e filosocialiste! Ed inviato a comandare una remota unità a Mendoza per tenerlo lontano dal centro del potere… Perón non indietreggiò, integrò il GOU, Grupo de Oficiales Unidos, una loggia segreta di tendenza nazionalista, creata nel seno dell’Esercito nel marzo ’43. E divenne segretario particolare del generale Edelmiro Farrell, Ministro della Guerra dopo la Rivoluzione del 4 giugno 1943: un colpo di Stato militare que abbattè il governo del Presidente Ramón Castillo. In quel periodo l’Argentina stava attraversando un momento di grande trasformazione economica, sociale e politica. Economicamente il Paese stava cambiando radicalmente la sua struttura produttiva: nel ‘43, per la prima volta, la produzione industriale aveva superato la produzione agricola. Socialmente stava realizzandosi una ingente migrazione interna, spinta dallo sviluppo dell’industria, dalle campagne verso le città.
L’urbanizzazione
Un processo di urbanizzazione diretto soprattutto verso la Capitale con una classe operaia che andava aumentando. I cabecitas negras meticci, con i capelli e gli occhi più scuri di quelli degli immigrati europei, invasero Buenos Aires. La migrazione interna si caratterizzò per la presenza di una notevole quantità di donne, le quali cercavano di inserirsi nel nuovo mercato del lavoro. Politicamente la Nazione viveva una crisi dei partiti politici tradizionali, conservatori e radicali soprattutto, i quali avevano instaurato un sistema corrotto, fondato su clientelismo, nepotismo, voto di scambio. La legislazione sociale dell’Argentina era rimasta arretrata, da Terzo Mondo, pur essendo un Paese ricco. Dopo la Rivoluzione del giugno ’43 il movimento operaio, in particolare il sindacato ferroviario della CGT, cercò d’instaurare un dialogo con i militari al potere e subito i colonnelli Perón e Mercante ne divennero protagonisti. Fino ad allora i sindacati avevano svolto un ruolo minore nella vita politica argentina, divisi in quattro correnti: socialista, sindacal–rivoluzionaria, comunista ed anarchica. Il potere e l’influenza crescente di Perón giunsero inizialmente dalle correnti socialista e sindacal–rivoluzionaria.
Il 15 gennaio 1944 la città di San Juan venne distrutta da un terremoto, causando più di diecimila morti. Come Segretario del Ministero del Lavoro, per raccogliere i fondi per la ricostruzione, Perón decise di organizzare un festival affidato a una commissione di artisti, tra i quali anche la giovane attrice Eva Duarte, di 24 anni. Nel febbraio ’45 decisero di andare a vivere insieme nell’appartamento di Evita, alla Recoleta, con scandalo di ufficiali e benpensanti. La carriera artistica della donna si ampliava: nell’arco di quell’anno venne pure nominata presidente del sindacato. Eva e Juan si sposarono il 22 ottobre 1945 a Junín. Divenne presto famosa e aiutò molto il marito, stimolando il sostegno del sindacato.
Nel febbraio ’44 Farrell–Perón rimossero Ramírez dalla presidenza. Farrell fu il nuovo Presidente della Nazione e Perón divenne Ministro della Guerra. Continuò, tuttavia, ad essere Segretario del Lavoro (in pratica ministro), facendo approvare leggi del lavoro che da decenni erano reclamate dal movimento operaio ed imponendo per la prima volta la negoziazione collettiva. Perón, Mercante ed il gruppo iniziale di sindacalisti organizzarono una nuova corrente con una identità nazional–laburista. Parallelamente aumentava la sindacalizzazione dei lavoratori. Questa grande trasformazione socio-economica fu la base del nuovo sindacalismo che si definì tra il ’44 ed il ’45: prenderà il nome di ‘peronismo’.
Nel febbraio 1945 Perón fece un viaggio segreto negli Stati Uniti per concordare la dichiarazione di guerra alla Germania, per l’adesione dell’Argentina alla Conferenza di Chapultepec, condizione per partecipare alla successiva Conferenza di San Francisco, ove si crearono le Nazioni Unite. Contemporaneamente, il Governo argentino convocò libere elezioni per tornare ad una piena legalità istituzionale. Si definì allora la radicalizzazione tra peronismo ed antiperonismo. Da quel momento l’Argentina rimase divisa in due blocchi contrapposti ed in conflitto. I seguaci di Perón, in maggioranza la classe operaia, e gli antiperonisti, dalla classe alta tradizionale alla classe media urbana.
L’antiperonismo adottò subito la bandiera della democrazia, che aveva appena trionfato nella Guerra Mondiale, almeno secondo la propaganda degli Alleati. Come essi avrebbero permesso ad un notorio filo-fascista di vincere in quella grande e prospera Nazione, da sempre un’appendice dell’Europa? Il 19 settembre 1945 l’opposizione riunì in una grande manifestazione oltre 200 mila persone. Gli studenti, di classe medio-alta, manifestavano la contrarietà a quel che bolliva in pentola con lo slogan No a la dictadura de las alpargatas (le alpargatas erano la diffusa calzatura del popolo, di tela e di juta, indossate sia da uomini, sia da donne). Alpargatas sí, libros no, replicavano i lavoratori peronisti.
Il Presidente Edelmiro Farrell, sensibile alle critiche dell’opposizione e dei militari che temevano il potere crescente di Perón, decise che il medesimo avrebbe dovuto lasciare tutti gli incarichi. Perón deteneva tre cariche: Ministro del Lavoro, Ministro della Guerra, Vice Presidente. Il 13 il colonnello Perón venne arrestato e deportato all’Isola di Martín García. Il 16 ottobre la CGT si riunì e proclamò uno sciopero di ventiquattr’ore per il 18. Il 17 ottobre, senza che nessuno avesse dato l’ordine – se non l’impulso frenetico di Eva Duarte, già totalmente identificata con la causa – non ci fu uno sciopero, ci fu una rivoluzione, la chiamata “marcia dei descamisados“. Essi occuparono Plaza de Mayo, esigendo la liberazione di Perón, e gli stessi generali che lo avevano arrestato furono costretti a richiamarlo al Governo. Quel 17 ottobre, “il Giorno della Lealtà”, sotto un sole caldo, gli uomini sudati si erano tolti le camicie; di conseguenza la parola dispregiativa descamisados (gli scamiciati) divenne la parola che da allora in poi avrebbe designato il popolo peronista.
L’ambasciata degli Stati Uniti, diretta da Spruille Braden, promosse l’unificazione dell’opposizione in un Fronte Antiperonista, che comprese i partiti Comunista, Socialista, l’Unione Civica Radicale, i Democratico-Progressisti, i Conservatori, la Sociedad Rural (latifondisti ed allevatori), la Federazione Universitaria Argentina, la Unión Industrial (le grandi imprese), la Bolsa de Comercio ed i pochi sindacati oppositori. Braden si comportò come un leader politico dell’opposizione, in una chiara violazione degli obblighi diplomatici e del principio di non-intervento degli affari interni di uno Stato straniero. Braden pubblicò un rapporto denominato “El Libro Azul”, accusando il governo militare, così come l’anteriore, di aver collaborato con le Potenze dell’Asse. Replicarono i partiti che sostenevano la candidatura presidenziale di Perón con un libretto dal titolo “El Libro Azul y Blanco”, che abilmente, ingegnosamente propose all’elettorato l’alternativa: ‘¡Braden o Perón!’. Il 24 febbraio 1946 Juan Domingo Perón venne eletto Presidente della Repubblica Argentina con il 52% dei consensi; nel 1947 fonderà il Partito Unico della Rivoluzione che venne da tutti chiamato Partito Peronista o Justicialista.
Ascendenze gentiliane e la “terza posizione”
Da Giovanni Gentile, Perón aveva mutuato la concezione dello Stato etico:
“Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica. È contro il liberalismo classico, che sorse dal bisogno di reagire all’assolutismo e ha esaurito la sua funzione storica da quando lo Stato si è trasformato nella stessa coscienza e volontà popolare. Il liberalismo negava lo Stato nell’interesse dell’individuo particolare; il fascismo riafferma lo Stato come la realtà vera dell’individuo. Il fascismo è una concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con una Volontà obiettiva che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale (…) Si può pensare che questo sia il secolo dell’autorità, un secolo di «destra», un secolo fascista” (Enciclopedia Italiana, 1932).
Perón avrebbe desiderato “Il meglio del fascismo italiano, senza i suoi difetti”. Da alcuni il peronismo verrà poi definito “un fascismo con più libertà e meno cultura”. Il nuovo Presidente insisterà molto sulla “Terza Posizione”, tra il socialismo sovietico e l’imperialismo capitalistico statunitense, sull’esempio dell’Italia fascista, che aveva proposto (piuttosto teoricamente) il corporativismo, di matrice cattolica, quale superamento di comunismo e capitalismo. In realtà la “Terza posizione” rimase una formulazione vaga e retorica, non fece adepti, anche se singoli aspetti del peronismo furono imitati, mentre il corporativismo di Mussolini fu sostituito da un forte sindacalismo spesso truce, corrotto, ricattatore. Lo Stato divenne ostaggio del sindacato, scrisse poi qualcuno, al contrario di quanto era successo in Italia. Ciò che contribuì assai alla crisi del peronismo dopo la morte di Evita, quando le grandi riserve auree accumulate dall’Argentina durante il Conflitto Mondiale erano ormai state dilapidate, assieme a parte della vecchia cultura del lavoro, durante gli anni esaltanti e folli, di quando “la Argentina era una fiesta” ed imperava il culto di “¡San Perón, que trabaje el patrón!”, che non incoraggiava certo gli investimenti…oltre a suscitare inevitabili conflitti.