Passata la soddisfazione a caldo per la straripante vittoria del centrodestra in Umbria (ma soprattutto per la sconfitta dello schieramento che assomma tutti quelli che in questi anni hanno accelerato il declino dell’Italia), a freddo mi chiedo perché non riesco ad essere ottimista per l’immediato futuro. No, non si tratta di dare le giuste dimensioni al numericamente esiguo test elettorale: se diamo importanza a sondaggi dove s’interpellano mille persone, non si vede perché dovremmo negarne a consultazioni “vere”, dove si esprimono centinaia di migliaia di elettori.
Nella mia mente si alternano e si sovrappongono riflessioni sull’attuale situazione politica – non solo italiana – e sugli umori, gli orientamenti, gli entusiasmi, le paure dei popoli, in questa contingenza storica. Niente di sistematico, si badi bene; eppure le sensazioni, malgrado l’onda lunga e consolidata del favore popolare verso quella che dovrebbe essere la mia “squadra”, non mi sento di definirle positive.
Intanto, gli effetti della vittoria di oggi – com’era prevedibile – sono pressoché nulli nelle stanze del Quirinale, dove si decide se porre fine o meno alla legislatura. La conseguente crisi dei due principali alleati di governo indebolirà – magari fino a minarne le basi – la leadership degli attuali capi, Di Maio e Zingaretti; forse lo stesso progetto di rendere strutturale quella alleanza, in sede nazionale e anche in vista delle ulteriori elezioni regionali, subirà una profonda revisione, magari fino ad essere accantonata; ma nessuno invocherà le elezioni, da quelle parti: l’obiettivo comune, infatti, resta quello di impedire la vittoria di Salvini e Meloni, che ad oggi appare con tutti i crismi dell’ineluttabilità.
Naturalmente, questa intenzione neppure troppo dissimulata, viene ammantata con i drappi del senso di responsabilità, della conformità alla Costituzione e del rispetto per le regole dell’Unione Europea (senza trascurare l’imminenza di centinaia di nomine di boiardi di Stato e, più in là, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica). Il centrodestra si sta muovendo bene, intendiamoci, e non solo in campagna elettorale (si vedano, per fare un solo esempio, i referendum per l’elezione diretta del Capo dello Stato e l’abolizione dei senatori a vita); ma più volte abbiamo sottolineato come la patente ostilità delle centrali di potere finanziario, burocratico e politico, in Italia e fuori, unita alla miopia di possibili alleati europei, non lasciano ben sperare, in assenza di decisi atti “rivoluzionari”.
Dicevamo degli umori popolari: gli assediati della “fortezza Europa”, dove il tenore di vita è generalmente alto, a dispetto delle sacche di povertà, di disoccupazione, di precarietà che pure esistono a macchia di leopardo, e dove l’inquinamento è tenuto a bada più che in altre plaghe del pianeta, sembrano inquieti, arrivando a volte fino agli scoppi d’ira – si pensi ai gilet gialli – ma le elezioni europee e le ricorrenti consultazioni regionali (da ultima, quella in Turingia), pur facendo registrare successi parziali delle forze del cambiamento, non sfociano in un ribaltamento della situazione. Prevale l’inconfessabile soddisfazione per l’esistente e la paura di un radicale cambiamento, pure di tanto in tanto invocato.
Per l’Italia, quale che sia il governo, lo scenario europeo resta quello di trattative estenuanti con le istituzioni UE, per qualche decimale di “sforamento” dei parametri o per qualche apparente e aleatoria concessione in materia di redistribuzione dei migranti, sempre sotto la spada di Damocle dell’impennata dello spread (specie se al governo dovessero tornare i deplorati populisti). E questo, sempre vigilando per la tutela delle produzioni nostrane e senza poter incidere, ad esempio, nell’ambito della politica internazionale o in vista delle necessarie riforme dei trattati o dell’auspicata omologazione dei regimi fiscali.
Tornando in patria, si aggiunga che in Emilia Romagna l’esito delle prossime votazioni appare meno scontato di quelle appena concluse in Umbria, forse non tanto per un qualche – residuale – radicamento ideologico, ormai in via di liquefazione. Anche quella che fu una roccaforte rossa nella patria di S. Francesco (a proposito: i fraticelli di Assisi sono rimasti gli ultimi a difendere la cittadella dell’accoglienza e a riporre speranze e fiducia nelle schiere di laici dichiarati che albergano sotto le bandiere del PD e simili) ha infatti abdicato agli ideali della lotta di classe e dell’antifascismo, guardando più prosaicamente al vertiginoso calo del pil regionale e alla dilagante corruzione nelle amministrazioni di sinistra.
In Emilia Romagna però potrebbero incidere fattori vari, a partire dalla figura del probabile candidato, quello Stefano Bonaccini che sembra aver bene governato, per andare fino alla rete di interessi consolidati, soprattutto nell’apparato produttivo regionale, ma anche nelle scuole e nel commercio, e a una sorta di “coazione a ripetere” quel voto che è cambiato poco o nulla, dalla fine della guerra; senza contare la persistente fascinazione del folklore antifascista, a base di “Bella ciao” e di tortellini alla festa dell’Unità.
Quanto ai pentastellati, è difficile prevedere quale esito possa avere il disastro umbro: ci limitiamo a notare il paradosso per cui, da contestatori del ceto politico e delle istituzioni parlamentari, si appellano oggi alla sovranità del Parlamento, dove hanno messo insieme una maggioranza disomogenea e litigiosa, che comunque fornisce un alibi a tutti coloro che vogliono scongiurare il ricorso anticipato alle urne. Eppure, dovrebbe essere chiaro quali sono le richieste – e le ripulse – della maggioranza degli italiani.
Al centrodestra però spetta il compito di evidenziare la visione in grande da proporre all’elettorato: non bastano la buona amministrazione in regioni importanti, la sollecitudine mostrata nell’assicurare la sicurezza – interna e quella dei confini – o l’avvio delle pur necessarie riforme (del fisco, della giustizia, della previdenza, e così via). Qui si tratta di andare aldilà delle esigenze pre-politiche, nel segno dei grandi cambiamenti che caratterizzano la Politica con la maiuscola, nelle epoche di crisi. Ce lo insegnarono i grandi pensatori della Rivoluzione Conservatrice, i Sombart, gli Junger, i Gehlen, gli Schmitt, ai quali sarebbe bene tornare a guardare. Un compito, temo, superiore alle capacità dei nostri intellettuali e dei “nostri” politici, bravi nel comunicare e nel vincere elezioni, ma fin qui deludenti in fase di governo. E’ da qui che nasce il mio scetticismo.
Del Ninno dovrebbe scrivere i testi per qualche comico di quart’ordine o in subordine collaborare con Libero o la Verità.l’on.Salvini e l’on.Meloni hanno un unico indiscutibile talento cioè quello di gozzovigliare da decenni senza far nulla e senza saper far nulla, naturalmente a spese dell’erario e dei cittadini che loro difendono.Il buongoverno non so a quale pianeta si riferisca visto che il centrodestra ha decine di amministratori in galera o sotto processo per fatti gravissimi,sulla sicurezza bisognerebbe chiedere ai vari Dell’Utri, Cosentino, Alemanno , Scajola, Scopelliti , Matacena (ah no lui è latitante a Dubai).Del Ninno si legga l’ultimo saggio di Ricolfi e cerchi di imparare qualcosa.
Gallarò se è Ricolfi ciò che dovrebbe leggere Del Ninno allora può anche evitare, direi che rimanere su Schmitt e Sombart è più che sufficiente…
p.s. Concordo con l’articolo ed anche con le sue preoccupazioni, però penso che in ogni partito o movimento politico ci sia bisogno sia di quelli che vincono le elezioni che di quelli che leggono Schmitt, difficilmente un leader ha entrambe queste qualità(almeno in epoca post-moderna), quindi è chiaro che un Bagnai non prenderebbe mai un 38% e che Salvini non sarà mai un Bagnai, ma infatti la capacità di un leader sta anche nello scegliere persone migliori di lui e soprattutto di dargli la possibilità di lavorare ed esprimere le proprie competenze, e questo solo grazie al leader che sa vincere le elezioni è possibile, altrimenti puoi leggere tutto quello che vuoi e non ti servirà a molto…
Beh se la politica culturale di un centro destra ” governativo” è quella di organizzare corsi di formazione con il tema ” Da Cavour a Marchionne” mi sembra che la cultura di riferimento o è stata dimenticata o si sta esplicitando chiaramente. E questo per una scuola di partito, come si diceva una volta. Figuriamoci come si può rapportare con la complessità della realtà chiamato a governare. Viene da ridere caro Stefano
Qualcuno credo il grande Staiti definì la politica ,culturale e non ,del Msi, la pesca delle occasioni;la falsariga è la stessa. Si fa il convegno su Cavour poi dopo si va al ristorante a festeggiare il 28 ottobre , poi si bombarda la Libia poi si accusa Napolitano di aver voluto bombardare la Libia , l’importante è stare sempre al caldo.
Valter per carità hai ragione, ma infatti coloro che hanno organizzato quel convegno di cui parli non mi riguardano come entità politica… Però non c’è solo quello, se vogliamo fare una narrazione non parziale dobbiamo dire tutto, quando quest’estate i giovani della Lega facevano corsi di formazione con Dugin nessuno l’ha detto come mai? Allora se vogliamo continuare solo a piangerci addosso a me sta bene, ho da anni imparato a “fare in modo che ciò su cui non posso nulla , nulla possa su di me”, però se si parla in un ottica comunitaria e quindi per forza di cose politica cerchiamo perlomeno di essere costruttivi, che nella pars destruens siamo tutti molto bravi e capaci ed io potrei sottoscrivere ogni critica qui mossa, ma poi di propositivo vedo poco e i buoni convegni culturali che tanto ci piacciono servono a poco senza un azione politica efficace che è chiaro non debba prescindere dalla formazione e da una chiara e solida base culturale,ma sono cose che vanno di pari passo e crescono con la consapevolezza generale, altrimenti si continua come si è fatto in tutti questi anni a fare tanti bei discorsi culturali che poi hanno risvolti ed efficacia pari a 0… Ci vogliono i Del Ninno, i Bagnai etc così come ci vogliono i Salvini al 38%, altrimenti quei discorsi non servono a nulla se non a scopi onanisti, non si può paragonare la situazione odierna a quella del 94 che aveva completamente altri connotati fin dall’inizio chiaramente liberal-conservatori, quindi mettiamo da parte ogni tanto questo disfattismo da bordighismo trotskista e cerchiamo di riempire di contenuti questi nuovi contenitori, altrimenti ritiriamoci a vita privata senza lamentarci. p.s. Del resto poi sento fare discorsi simili dai novelli “duri e puri” del sovranismo come quelle zecche di Vox che hanno come fondatore Francesco MARIA Toscano, massone amico del Movimento Roosvelt e quindi del GOI… Saluti.
Senza contare i grandi “rivoluzionari” magari auto-dichiarati “fascisti” che andavano e vanno dietro a Marco Mori, il grande difensore della magnifica Costituzione del ’48…
Gabriele Adinolfi docet in questo caso…
Stefano
1 Non è un convegno è la scuola di formazione politica di fdi in Piemonte
2 Del Ninno è scettico sulla capacità di governo ed io concordo ( ovviamente) anche perché messi alla scrivania non c’è stato granché ( dove governano)
3 l’impressione ( personale) è che non abbiano vinto ma che siano stati gli altri a perdere
4 il disfattismo fa il paio con il giustificazionismo a tutti i costi
Oltre le opinioni personali legittime ma opinabili rimangono i fatti incontestabili
Saluti
Considerato che ormai Forza Italia é ridotta ai minimi termini nei consensi, e prossima all’estinzione, non si tratta più di centrodestra, ma di destra-centro, perché il primo partito è la Lega, anche se faccio molta fatica a considerarlo di “destra” per molte cose, a partire dal sostegno al modello di Stato federalista. Se é per questo, il vecchio centrosinistra, prima che nascesse il PD, era più una sinistra-centro, visto che il primo partito erano i DS, ovvero l’erede del PCI, mentre la Margherita che era centrista, era il secondo, e spesso la coalizione comprendeva anche i partiti più estremisti come Rifondazione e Comunisti Italia. Lo scrivo perché molti addetti ai lavori sono preoccupati del fatto che la componente “di destra” oggi nel centrodestra è maggioritaria rispetto a quella centrista rappresentata da FI. Ma quando nel centrosinistra vi erano i Bertinotti e i Diliberto, nessuno si preoccupava di queste derive massimaliste, di cui bisogna dirlo, faceva sempre menzione Berlusconi. Anzi l’Italia ha avuto la sciagura di avere questi partiti di estrema sinistra al governo, con Prodi. La cosa che personalmente mi sento di rimproverare alla destra italiana è quella di non aver voluto creare un modello culturale e di società alternativo a quello della sinistra, ma solo di andare al potere. Per quanto riguarda l’Emilia-Romagna in effetti è più difficile un’affermazione del centrodestra alle regionali di gennaio, perché rispetto all’Umbria si tratta di una delle regioni che segnano valori economici superiori alla media nazionale, e poi non solo, il nuovo soggetto politico di Renzi presenterà sicuramente la propria lista, e anziché sottrarre voti al PD, lo farà a FI.
Valter ma certo tutti sono scettici io per primo, ma mi pare che Del Ninno faccia un analisi pacata e con una visione, su cui si può concordare o meno ma è questo il ruolo degli intellettuali, offrire una visione, una narrazione, una strada da battere… Quella in Piemonte era una scuola di formazione? Bene,errore mio, ma se la cultura di riferimento di quel partito è questa non mi riguarda e non mi appartiene, poi bisogna vedere in che modo veniva trattato il tema, non mi sento di giudicare qualcosa di cui so poco come hai visto e verso il quale non ho nessuna relazione politica visto che a me quel tipo di “destra” non interessa più da anni(poi le eccezioni ci sono anche li)… Ma questi sono conti che si faranno dopo, dopo che le emergenze primarie saranno disinnescate allora potremmo tornare a scannarci fra quale sia il modello culturale di riferimento, se già qui ognuno ha il suo background e non siamo daccordo fra un commento e un altro è chiaro che come sempre qui a “destra” ci sono tante anime e bisogna trovare ciò che unisce più che ciò che divide, è questo il mio unico invito, non stare a fare dell’inutile frazionismo e del fuoco amico altrimenti si fa solo il gioco del nemico, sia quello evidente che quello che siede fra le nostre fila… Sul resto lo sai che rimango aperto e che condivido uno scetticismo di fondo che però non vorrei prevalesse perchè se anche ci fosse solo un lumicino sarebbe bene non sforzarsi in tutti i modi per spegnerlo. Poi se non ci si sente rappresentati da nessun movimento politico nulla di male,si fa altro, io di certo non mi illudo di nulla e non mi faccio aspettative, però come diceva il filosofo dello “sciismo rosso” Ali Shariati:”Noi aspettiamo il Mahdi, ma ogni giorno combattiamo per un buon governo”(da M.Foucault,Taccuino persiano).. p.s. Concordo in parte con la tua analisi Werner, però non capisco perchè pensi che il federalismo non abbia nulla a che fare con la destra, per quanto mi riguarda invece alcune idee del federalismo inteso come “piccole patrie” all’interno di una “grande Patria” è molto più vicina ad una destra originaria e imperiale rispetto all’idea di Nazione che è di matrice illuminista… preferisco guardare ad un futuro con un Europa federale o confederale fatta di 1000patrie legate a livello continentale ma autonome e fiere della propria identità peculiare piuttosto che ad un ritorno anacronistico agli stati nazionali che sarebbero indifesi rispetto le grandi “civiltà-stato” come USA, Cina, India, Russia etc
Fierezza? Sì, ma senza armi (tante, efficienti, moderne) non serve a nulla. Come Dugin o de Benoist…
Stefano sono oramai 10 anni che la politica attiva non ha più nessun ruolo nella mia vita ( con gioia dei miei famigliari)
Del resto puoi , anche , comprendere che non puoi togliere di botto la dose ad un ” drogato”. Deve necessariamente seguire un percorso di disintossicazione.
Diciamo che la vacuità ed inanità della nostra politica aiuta il mio percorso.
E la “Rivoluzione Conservatrice” (che è esistita, come l’Operazione Condor o l’Operazione Odessa…) serve ancora meno di Dugin o de Benoist. Ciarpame da buttare nel cesso, se si vuol governare oggi con un minimo di efficacia….
Era più credibile e moderno quello delle tre “i”: inglese, impresa, Internet… Peccato che il medesimo, tra olgettine, barzellette, guitterie varie e cattivi collaboratori, non avesse solvibilità politica…