“Dare il potere di censura ad una corporation semi-monopolistisca senza alcun controllo di un ente terzo solleva potenziali dubbi su come esso possa diventare in futuro (in realtà già nel presente) un problema per il pluralismo online”.
Lo hanno scritto gli amministratori di Socialisti Gaudenti, pagina social seguitissima che, di sicuro, non può essere tacciata di vicinanza agli ambienti della destra di CasaPound e Forza Nuova. Eppure è finita nel tritacarne di Facebook che, nei giorni scorsi, ha avviato un vero e proprio repulisti di pagine e profili ritenuti in violazione al regolamento che s’è data la multinazionale social di Facebook.
Non solo Socialisti Gaudenti, anche altre realtà online vicine alla sinistra hanno subito ban e divieti. Adesso la pagina, che era stata “nascosta” dagli algortimi della (poco) intelligenza artificiale, è tornata online. E in un post, gli amministratori raccontano di essere stati bannati per le prese in giro a CasaPound e per aver riportato – criticandola – una dichiarazione di Tajani sul fascismo. “Il ban per una dichiarazione del Presidente del Parlamento è abbastastanza surreale pure per una commedia di Ionesco”, la chiosa.
La vicenda rivela, una volta ancora, i rischi relativi alla libertà d’espressione e di opinione sui social. Esistono le leggi ma ad applicarle non può essere un’impresa privata. Questo è un fatto che deve andare al di là delle “tifoserie” politiche. Perché chi ha esultato alla censura di ieri potrà essere il censurato di domani. E che a decidere cosa si possa o non possa dire sia un algoritmo, un privato (per quanto miliardario sia) è fatto intollerabile in uno Stato che voglia dirsi democratico. E investe, direttamente, una classe politica che, al di là di destra e sinistra, è chiamata alla prova della vita: riprendersi il primato sull’economia o, quantomeno, difendere il proprio ruolo costituzionale.