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Cultura. “Donizetti” di Dal Bello: il ritratto di un grande italiano

by Riccardo Rosati
5 Settembre 2019
in Cultura
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Gaetano Donizetti
Gaetano Donizetti

Qualche tempo fa, il celebre Direttore d’Orchestra Riccardo Muti, in una pausa di un concerto, si è rivolto alla Platea, parlando di quanto sia insopportabile che nelle chiese si sentano le immancabili “schitarrate”, invece delle musiche di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca. – 1594), forse il maggior compositore europeo del Rinascimento; un italiano di cui dovremmo vantarci e che purtroppo oggi praticamente nessuno conosce. Sempre di più, infatti, si vanno dimenticando le radici della nostra cultura, la quale ha sterminate declinazioni, sontuosi “rivoli” che confluiscono tutti in una unica e impareggiabile storia nazionale. Eppure, ci sono alcuni ambiti che andrebbero considerati essenziali. Tra questi, senza dubbio, la musica, che vede precipuamente nel nostro Paese la sua incontestabile Patria. Ciononostante, la intellighenzia internazionale ignora sistematicamente tale dato, e si riempie la bocca con i soliti nomi, in sostanza due poi: Bach e Mozart; come se un Vivaldi avesse qualcosa da invidiargli. 

Il contributo italiano alla musica trova comunque maggior rispetto quando si tratta del melodramma, il quale è pero oramai frequentato da pochi affezionati appassionati, quando, per converso, esso è stato per lungo tempo un genere “popolare”. Mario Dal Bello da tempo tenta giustamente di ricollegare questa forma artistica alla gente comune, grazie alle sue monografie di eccezionali protagonisti come Rossini, Bellini e Verdi. Ragion per cui, così da comporre un quadro sui quattro grandi del teatro musicale italiano dell’Ottocento, non poteva mancarne una su Gaetano Donizetti (1797 – 1848). Il musicista bergamasco, uomo cordiale e sincero, un passionale a suo modo umile, benché autentica star europea all’epoca, fu autore di numerosissimi melodrammi tra il serio e il comico. Pensiamo, ad esempio, a Lucia di Lammermoor, a Elisir d’amore, al Don Pasquale, opere che probabilmente, e sciaguratamente aggiungiamo noi, poco o nulla diranno al lettore, malgrado non siano mai uscite dal più classico e canonico repertorio operistico. 

Ricomporre la figura di un grande Italiano

Scritti come quello di cui andremo a parlare stanno fortunatamente rigenerando la figura artistica di Donizetti, e tramite i quali si sono svelati capolavori come: Anna Bolena, Lucrezia Borgia, Maria Stuarda, Roberto Devereux, acclarando sempre di più quella che è la inclinazione dell’opus donizettiano per un teatro dalla chiara vocazione storicistica. Tali composizioni, se analizzate con la dovizia presente anche in questo volume, suggeriscono che la peculiarità del musicista bergamasco era quella di un romanticismo quasi ossessivamente “umano”. Invero, in Donizetti prevalgono l’ansia dello sperimentatore di nuove forme drammatiche, la qualità del sorriso bonario, la bellezza melodica del canto, ma soprattutto la comprensione profonda del cuore umano, poiché Donizetti piange, ride, ama con tutti. Questo testo vuol essere un invito a scoprire un genio unico a cui molti, Verdi per primo, sono debitori. Parliamo di un uomo dall’animo grande, comprensivo di ogni lato della vicenda esistenziale, lieta o triste che sia, dalla quale egli si lasciò coinvolgere con autentico trasporto. 

Dal Bello spiega con estrema chiarezza il perché del titolo di questo volume: “La poetica di Donizetti si può riassumere in una parola: romanticismo. Ossia, la tematica del sentimento, vissuto, talora in modo esasperato, nella storia” (20). Il lavoro di questo esperto musicologo si qualifica come una continua “guida all’ascolto”, propedeutica per le opere affrontate nei suoi libri. Mai manca però il racconto, non compiacendosi, quindi, del solo lato “tecnico” della analisi. Lo stesso accade nel caso di Donizetti, che l’autore descrive come un: “Artista a tutto tondo”, sottolineando come egli fosse capace di spaziare: “ […] dalla comicità della commedia alla farsa, dal semiserio al tragico al furioso, dal dramma sacro a quello storico senza difficoltà, in una produzione inesausta, anzi febbrile, [….]” (19). 

Possiamo considerare il testo di Dal Bello come l’ultimo tassello del mosaico che costui ha dedicato agli operisti italiani. Nel volume vengono ripercorse ben settanta opere, alcune delle quali quasi sconosciute, nel segno della grande varietà dei temi “donizettiani”. Il tutto connotato da quel romanticismo dal volto umano che è l’anima stessa del Donizetti compositore, primo operista che intese trasmettere lo spirito romantico nel teatro comico o “Opera Buffa” che dir si voglia. Parliamo di un artista assai prolifico; difatti, Donizetti compose in tutto, rifacimenti compresi, 70 melodrammi, 34 Cantate e Inni, 116 opere di Musica Sacra, oltre 200 liriche per canto e pianoforte, escludendo da questo poderoso elenco la sua produzione strettamente giovanile. 

Nonostante l’indiscusso talento, Donizetti venne tacciato di essere un superficiale “mestierante”, quando in lui, al contrario, qualità e quantità andarono perlopiù in armoniosa sintonia. Una produzione, come detto, imponente, sempre e comunque orientata alle passioni, poiché: “Donizetti parla dell’umanità. Ma la sua non è la visione amara di un Verdi, ‘ideale’ di Bellini o solare di Rossini, anche se questi toni non gli sono ignoti. Egli sa miscelare il sorriso e la malinconia, la comprensione e il lamento, il dramma e l’incanto” (8). Pertanto, come spiega l’autore con un linguaggio asciutto, ma non certo scarno, del compositore bergamasco è cruciale accorgersi, al fine di comprenderne appieno la poetica, che abbiamo a che fare col sentimento “romantico” per eccellenza; ossia, il dolore delle passioni, sovente causato dal rimorso di amori incompiuti, talvolta persino disperati. Non sorprende, allora, ricorda Dal Bello, che nel suo opus ricorra la pazzia, resa finanche “archetipica” nella Lucia di Lammermoor (1835): la protagonista rifiuta la parola, ed emette solo dei suoni, unendo così naturalezza e bellezza, per mezzo dell’incontenibile dramma che è in atto nel suo animo. La scena della “follia di Lucia” è da annoverarsi tra le pietre miliari di ogni tempo in ambito operistico. 

Dentro l’animo delle passioni

Del resto, una delle caratteristiche principali di Donizetti era quella di penetrare nel profondo delle vicende narrate, stimolando il pubblico a diventarne partecipe, considerato che egli stesso: “[…] è ‘dentro’ i personaggi nel connubio arte-vita: vive soffre gode con loro, li comprende, li giustifica. Li salva sempre, e tutti. Si eleva con loro, pur continuando a guardare la terra in un sottile equilibrio tra ragione e sentimento che si realizza nella melodia vocale e orchestrale. È il romanticismo dal volto umano” (23). La incessante personificazione, mutuando un termine caro alla francesistica, trova nella Lucrezia Borgia (1833) una sua concretizzazione nella tecnica di composizione, visto che Dal Bello evidenzia la importanza del coro in questa pièce: “È da rilevare ancora come Donizetti conferisca un valore di personaggio al coro, un’altra novità nel compositore che in quest’opera fatica a rimanere nei consueti schemi teatrali” (48). Perciò, quel “calore” vitale, più volte indicato nel volume come “umano”, nel corpus donizettiano è presente sia nei concetti, che nella forma, giacché addirittura un elemento solitamente fuori dalla azione scenica come è il coro si ritrova a essere un personaggio partecipe delle emozioni che vanno montando sul palco.

Antiche, insanabili rivalità

Scorrendo tra le pagine, abbiamo poi avuto conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, di come il Primato Italiano sia sempre stato temuto in Europa, segnatamente in Francia. Ci riferiamo alle calunnie di Hector Louis Berlioz (1803 – 1869), coraggiosamente e onestamente qui riportate, il quale alimentò Oltralpe una feroce campagna di stampa contro Donizetti. L’assai sleale, e ancor di più invidioso, collega transalpino arrivò a scrivere, nella primavera del 1840, sul Journal des Débats, che il drammaturgo bergamasco voleva trattare la Francia: “[…] da paese colonizzato… Non potremo più parlare dei teatri lirici di Parigi, ma dei teatri lirici di Donizetti” (13). Ecco, fa piacere che, nell’affrontare un tema aulico qual è l’Opera, vengano ricordati anche episodi meschini come questo, che, tuttavia, servono non solo a fornire una veritiera contestualizzazione storica al lettore, ma pure, se letti con acume politico, a ben capire che di determinati bassi antagonismi l’Europa non si libererà probabilmente mai.  

Donizetti e Verdi a confronto

Dal punto di vista strettamente musicologico, suscita un certo interesse quel ricorrere nella analisi di un elemento quasi “contrastivo”, nel continuo confronto che viene fatto tra la produzione di Donizetti e quella di Verdi, quest’ultimo considerato più “cinico” e presente nei fatti del reale; d’altronde, è risaputo come egli sia ritenuto la “Voce” del Risorgimento. Per converso, il percorrere temi legati alla storia da parte di Donizetti lo allontana dal contingente, per concentrarsi su passionalità dal carattere eterno e dedite al sacrificio, ammantando il suo lavoro di un potente tono spirituale: “Le opere sono cosparse di invocazioni, preghiere, cori ‘religiosi’, ma non si tratta solo di espedienti narrativi, tipici della sensibilità dell’epoca. In Donizetti diventano voci di un sentimento religioso sincero e profondo, con tocchi personali” (31). Questi due titani dell’Opera non potrebbero essere per l’autore più diversi, la forza del messaggio politico in uno; il timore devozionale nell’altro, esorcizzato dalle passioni: “Donizetti, a differenza di Verdi, non vuole mostrare l’orrore della morte” (43).

Quel “dolce” dolore che connota la vita

Concludendo, il senso dello studio di Dal Bello sta tutto nel farci comprendere che il teatro di Donizetti si distingue per un “romanticismo dal volto umano” (8). Può sembrare ridondante il ripetere tale concetto, ma se si legge con attenzione il suo testo, è facile accorgersi che il significato profondo delle composizioni di Donizetti lo si ritrova proprio qui, e non si può essere veramente coinvolti dalla sua musica senza tenerlo sempre a mente. Il bergamasco fu sì un “uomo di spettacolo”, ovviamente non nel senso volgare che si intende oggi, ma anche un artista capace di umanizzare il dramma, coniugato frequentemente in chiave storica. I suoi personaggi pulsano di una vitalità coinvolgente. Una triste coerenza volle Donizetti vivere di persona la sofferenza della perdita prima, e quella del disfacimento del corpo poi. Forse è per questo che quel suo “lamento musicato”, che si nasconde anche dietro le sue strofe più allegre, ce lo rende così vicino e attuale. 

*Donizetti  – Romanticismo di Mario Dal Bello (Chieti, Solfanelli, 2018)

@barbadilloit

Riccardo Rosati

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