I Mercati di Traiano, dal 2007 sede del Museo dei Fori Imperiali, ospitano fino al 18 ottobre prossimo la mostra: Mortali Immortali, tesori del Sichuan nell’antica Cina. Diciamo subito che questa esposizione si attesta quale una delle migliori degli ultimi anni sulla Cina che abbia avuto luogo in Italia. In essa si presentano numerosi reperti in bronzo, oro, giada e terracotta, databili dall’Età del Bronzo (2300 – 700 a. C.) al termine dell’Epoca Han (prima metà II secolo d. C.), provenienti da importanti istituzioni cinesi. Infatti, la esposizione è realizzata sotto la guida dell’Ufficio Provinciale della Cultura del Sichuan e patrocinata dall’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia. L’intento è di far conoscere i tratti evocativi della cultura del Popolo Shu (蜀, 1600 – 316 a. C.), raccontati attraverso i suoi manufatti più significativi, come le misteriose maschere in bronzo ritrovate durante gli scavi archeologici nel sito di Sanxingdui. Non si è utilizzato il termine “manufatto” casualmente, poiché la maestria raggiunta secoli fa in Cina nella lavorazione dei materiali è tutt’oggi sorprendente. Ragion per cui, questa mostra, ancor più che una occasione di approfondimento scientifico per gli specialisti, offre la possibilità al visitatore “comune” di capire la grandezza dei Popoli – il plurale è d’obbligo – che hanno segnato la storia di quello che ancora sogliamo chiamare Celeste Impero. Già, poiché se la forza dell’eterno rivale giapponese sta nella sua uniformità etnico-culturale, dal canto suo, la molteplicità cinese ha permesso la nascita e lo sviluppo di quella identità asiatica sempre viva in Estremo Oriente. Trattasi di un percorso straordinario nella vita sociale e nel mondo spirituale degli antichi Shu, che proprio in quella terra nel Sud-Ovest della Cina hanno creato una civiltà a suo modo unica.
Roma come sede perfetta
Non è affatto accidentale che una mostra di così alto valore storico e archeologico si tenga a Roma. Difatti, come le origini dell’Urbe sono state legate al Tevere – corso d’acqua persino divinizzato in Epoca Romana – così la nascita del Popolo di Shu è stata segnata dallo scorrere dello Yangtze (扬子), conosciuto anche come: Fiume Azzurro. Quest’ultimo costituisce il filo conduttore della intera rassegna e ciò è significativamente sottolineato dalla installazione dorata ispirata a un dragone cinese, il cui corpo allungato allude al fluire dell’acqua, che “invade” lo spazio centrale della Grande Aula, accogliendo in modo assai scenico i visitatori. Insomma, una esposizione così estesa in Europa su questi temi non si era mai vista. Per dovere di precisione, una sua prima “puntata” si è svolta dal 14 dicembre 2018 al 11 marzo 2019, presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Ciononostante, quella romana è addirittura più completa, essendo stata arricchita di ulteriori pezzi inviati dalla Cina.
Innanzi alla varietà di oggetti di uso comune, ai raffinati recipienti in legno laccato, ai particolari ritratti su mattone, si avrà modo di percepire la elevatissima qualità raggiunta dalla produzione artigianale durante la Dinastia Han – quella che gli specialisti riconoscono come fondante dell’Impero Cinese – nonché comprendere la visione degli Shu riguardo alla vita e alla morte. A tal proposito, segnatamente in virtù del collegamento suggerito dalla mostra stessa con i Popoli della Penisola Italica, vogliamo qui ripetere un parallelismo da noi accennato in alcuni scritti passati. Sarebbe a dire, che nell’arte degli Han si celebra essenzialmente la vita nell’aldilà, e lo si fa in maniera talmente persistente da ricordare in qualche misura i costumi degli etruschi, per i quali i corredi funerari erano la parte principale della produzione artistica. Tutto questo, anche per reiterare come Cina e Italia siano da considerarsi culle di civiltà, rispettivamente dell’Asia e dell’Occidente.
Cosa racconta la mostra
Il percorso espositivo si articola in due sezioni. La prima parte, dedicata alla cultura religiosa dello Stato di Shu, si concentra sul mondo spirituale di questa arcaica e sofisticata Popolazione, raccontandone i riti, in particolare quelli rivolti al culto del Sole. Qui si trovano tra i pezzi non solo più preziosi della intera mostra, ma anche quelli maggiormente curiosi: quelle maschere in bronzo, recuperate durante gli scavi nel sito di Sanxingdui. La seconda parte, invece, si concentra sulla vita quotidiana degli Shu, ricostruendo le trame commerciali sviluppate nell’area del Sichuan per mezzo di rari bassorilievi su mattone risalenti alla Dinastia Han, su cui sono raffigurate figure umane e di animali. Da questa iniziale descrizione, è possibile accorgersi come le opere qui presenti siano ben diverse da quelle che siamo soliti trovare nei musei occidentali che posseggono anche raccolte cinesi; benché, come andiamo ripetendo da anni, in Italia abbiamo, malgrado colpevolmente non sapendolo, a causa di depositi pieni e di una certa esterofilia di alcuni addetti ai lavori, le più preziose collezioni asiatiche al di fuori di questo affascinante Continente. Pertanto, se lo si vuole, è possibile vedere nei nostri musei svariati pezzi di eccezionale importanza. Sia come sia, il materiale esposto nei Mercati di Traiano è un documento storico-artistico di alto valore per gli specialisti, essendo il risultato della nuova, e decisamente avveduta, politica culturale della Cina, grazie alla quale, dopo gli scempi del Maoismo, seguiti dalla più totale indifferenza verso la propria storia nei decenni successivi alla nefanda Rivoluzione Culturale (1965 – 1969), negli ultimi tempi si sta non solo abbozzando una idea di Tutela, ma parimenti la promozione di campagne di scavo in varie zone della Nazione. Come detto, alle opere (130) già esposte a Napoli, per questa occasione sono stati eccezionalmente aggiunti 15 nuovi prestiti, tra i quali risaltano due maschere e una testa di bronzo da Sanxingdui, oggetti fortemente caratterizzanti della produzione artistica della Civiltà Shu. In particolare, una si differenzia da tutte le maschere finora rinvenute nel sito per la resa del viso più delicata, e sul quale è rappresentato un velato sorriso, elementi, questi, che hanno fatto pensare agli studiosi che possa riferirsi a una divinità del Pantheon Religioso di questa antica cultura. Invero, gli Shu erano pervasi da un marcato senso per il trascendente – aspetto condiviso con altri Popoli della Cina arcaica – al punto da farli oggi considerare una teocrazia.
I ritrovamenti dai siti di Sanxingdui e di Jinsha sono bellissimi e testimoniano il ruolo di primo piano rivestito dalle attività sacrificali nella vita sociale e politica degli Shu. Parallelamente, da questi reperti, col loro suggestivo “carattere primitivo”, si può evincere come tra queste genti spiritualità e magia fossero sovente intese quale una unitaria forma di espressione di Fede, che poteva anche avvalersi di pratiche di stregoneria, usate per stabilire il contatto tra le divinità e gli uomini. La relazione tra l’elemento sacrale e quello umano doveva essere mediata proprio dalle misteriose teste bronzee qui in esposizione. Va da sé, parlando di antica Cina, che pure la giada – pietra silicata che in questa cultura ha un ruolo che oltrepassa lo stretto ambito artistico – venisse considerata un mezzo di comunicazione con poteri divini. Tale materiale veniva spesso scelto per creare squisiti oggetti di culto. In mostra si trovano diversi bei pezzi in giada, tra cui segnaliamo uno stupendo vaso Cong (琮式瓶, “cóngshìpíng”, fine Periodo Shang – Zhou Occidentali, 1200 – 770 a. C.), che ha a sua volta un valore trascendente, anzi quasi astrologico, poiché in esso si incarna la primigenia visione cinese del mondo: il cielo (la bocca del vaso) è rotondo, la terra (il corpo) è quadrata, mentre il “piede” simboleggia la connessione tra questi due mondi.
Il significato di questo evento
Orbene, crediamo che adesso sia possibile comprendere il senso del titolo: Mortali Immortali, che rimanda chiaramente al rapporto cruciale che gli Shu avevano con la sfera religiosa. La caducità dell’essere umano era costantemente in relazione con la eternità delle divinità. Come dimostrano i vari reperti, la profonda devozione di questo Popolo si rivolgeva specialmente all’adorazione del Sole e della Luna, ma pure al culto degli animali e degli alberi. Questo è altamente significativo, trattandosi di una propensione marcatamente “animista”, la quale è possibile individuare in molte civiltà arcaiche sia in Asia che in Africa e in Europa.
Inoltre, i numerosi oggetti di Epoca Han ritrovati nel sito di Sanxingdui confermano la continuità nel tempo di questi culti, nonostante il sopraggiungere del Buddhismo in Cina dall’India già in era assai remota (probabilmente verso la metà del I secolo d. C.). Tra essi, si distingue l’Albero di bronzo (con la base in ceramica), che costituiva l’oggetto funerario maggiormente diffuso nel Sichuan e che veniva denominato anche: “Albero dei Soldi”, poiché ai suoi rami si appendevano monete di bronzo; del resto, le monete nella cultura cinese arcaica avevano spesso valore rituale.
Parlando della organizzazione sociale degli Shu sviluppatasi nell’area di Chengdu (成都), durante le Dinastie Qin (221 – 206 a. C.) e Han, essa si caratterizzò per una solida stabilità politica – in particolare all’epoca degli Han – e per una fiorente economia; condizioni che generarono il mito della “Terra dell’Abbondanza” per la zona dell’odierno Sichuan, favorendo nel contempo un atteggiamento ottimista nel Popolo, che si esprime nel “sorriso arcaico” che ritroviamo riflesso sui volti delle statuine in argilla provenienti dal Museo di Chengdu del periodo degli Han Orientali (25 – 220 d. C.).
Ferma convinzione degli Shu era quella della immortalità dell’anima – sincreticamente parlando, appare palese l’essere questo un concetto anche cristiano – e quindi venivano deposti nelle tombe oggetti di uso quotidiano e statuine a forma di animali affinché i defunti se ne servissero nell’aldilà; pure qui, come non ravvisare una somiglianza con la civiltà egizia? D’altronde, la cultura cinese in antichità, vuoi per la sua naturale predisposizione alla apertura mentale, vuoi per le tante carovane che attraversarono il Paese nel Medioevo, portando con loro non solo merci, ma anche idee e costumi, si connotava per la grande pluralità di riti e stili di vita. Altri importanti oggetti esposti, sempre ritrovati nelle tombe, sono dei mattoni con scene del vivere quotidiano, raffiguranti banchetti di nobili, giochi acrobatici, danze popolari e momenti di lavoro.
La storia del Popolo Shu e della sua trasformazione dopo la conquista e la conseguente unificazione del Paese da parte del “Monarca Pazzo” Qín Shǐ Huángdì (221 – 206 a. C.) è in fase di ricostruzione negli ultimi anni dagli archeologi cinesi come risultato dei recenti interventi di scavo nel Sichuan. Tali eccezionali ritrovamenti sono ora proposti al pubblico romano in questa mostra, la quale può, nel contempo, deliziare sia il sinologo che il semplice curioso, per mezzo di oggetti profondamente simbolici. Oltre a quelli già menzionati, vale la pena segnalare un Uccello in bronzo (Periodo degli Stati Combattenti, 453 – 221 a. C.), che dimostra nuovamente la maestria raggiunta in antichità nella lavorazione di questa lega metallica da parte dei cinesi, e come gli esperti sanno, è durante la Dinastia Shang (商朝, “Shāngcháo”, ca. 1600 – ca. 1046 a. C.) che venne forse toccato l’apice artistico-tecnico nel lavorare il bronzo. Ritornando alle maschere presenti nella mostra, con i loro volti enigmatici, esse avrebbero magari stimolato la fantasia del nostro Peter Kolosimo: fondatore della fanta-archeologia. Ma queste sono solo semplici divagazioni, mentre è cruciale ricordare il costante rapporto con l’aldilà degli Shu, magnificamente rappresentato da una delle opere a chiusura della mostra: un Grande cavallo di bronzo con stalliere (Epoca Han Orientale), che conferma quanto la rappresentazione della vita reale nei corredi funerari costituisse la parte essenziale della produzione artistica durante il lungo periodo della Cina Arcaica.
Terminiamo con una piccola “glossa museografica”, riguardante l’apertura di una nuova area del Museo situata al Piano Terra. Ci riferiamo alla stupenda Sala delle Anfore, dove viene proposta con un allestimento di forte efficacia ed eleganza tutta la storia dei commerci nel Mediterraneo all’intero dell’Impero Romano.
Ancora il Sacro
Forse da noi solo di recente si inizia a conoscere la provincia del Sichuan per la sua squisita cucina, caratterizzata da una intensa piccantezza, ma di sicuro più in là non si va purtroppo. In effetti, sino a qualche tempo addietro, simile era la situazione in Cina. Fortuna vuole, che il suddetto graduale cambiamento nelle politiche culturali di Pechino stia dando esiti benefici, come nel caso delle campagne di scavo avviate in numerose aree del Paese, rivelando così al mondo intero meraviglie per secoli nascoste sottoterra. L’arte degli Shu, però, se da un lato si inserisce perfettamente in quella cinese dei tempi remoti, con sontuosi oggetti pensati per arredare tombe di notabili e aristocratici; dall’altro, ci regala opere che suscitano curiosità quasi “ancestrali” nell’essere umano: da dove veniamo? Chi siamo veramente? Ovvio che le seppur stuzzicanti teorie extraterrestri del suddetto Kolosimo non possono essere ricevute da una mente scientifica quale risposta a tali quesiti. Comunque, non dobbiamo cedere a quel pensiero deteriore di stampo prettamente positivista che ha contaminato la cultura occidentale negli ultimi duecento anni. Di conseguenza, riteniamo che i tesori degli Shu in mostra a Roma non potrebbero trovare sede migliore fuori della Cina stessa. La Città Eterna, popolata di mortali, per via della sua Storia, è in totale sintonia con quegli immortali raccontati in questa esposizione, giacché, si tratti del Pantheon Greco-romano o di quello arcaico estremo orientale, sempre col Sacro abbiamo a che fare, ed esso è inevitabilmente permanente!