Comunque andrà la crisi del governo Conte, c’è un solo termine che può riassumere questa esperienza ed è il fallimento. Ma non inteso alla maniera di Zingaretti, perché sarebbe difficile parlare di un tracollo sotto il profilo della prassi di governo o dei consensi. Il dato anomalo (tra i tanti di questa crisi ferragostana) è che Salvini ha deciso di aprire la crisi più calda della storia repubblicana sulla scorta dei risultati raggiunti in ultimo sul Tav e sul decreto sicurezza. Iniziative – come ha ricordato Luigi Di Maio – che vanno a braccetto con Quota 100, reddito di cittadinanza, immigrazione, tagli dei vitalizi ed estensione del regime dei minimi. Risultati che gli italiani hanno già dimostrato di apprezzare.
Il leader leghista ha staccato la spina perché voleva tornare al voto alla guida del centrodestra, capitalizzando i risultati delle Europee e le percentuali rilevate dagli istituti demoscopici. Salvini ha con molta probabilità sbagliato i tempi dello strappo e sottovalutato il risveglio dell’ala renziana del Partito democratico. Un abbaglio non da poco per chi si candida ad essere l’uomo solo al comando dotato dei “pieni poteri” (dicitura che porta tutt’altro che bene ai politici nostrani).
Il governo gialloverde collassa nella prospettiva culturale. Ecco il punto. E la colpa è di entrambi i contraenti del #governodelcambiamento (nome ambizioso). Perché le condizioni di portare avanti una sostanziale e radicale riforma del Paese c’erano tutte. Dalla ancora possibile sforbiciata al numero dei parlamentari, all’attribuzione di una più ampia autonomia alle regioni del Nord, per finire alla riforma della Giustizia. Nel merito ogni provvedimento sarebbe stato comunque discutibile, ma sul tabellone della Storia, quei risultati erano comunque destinati a dare lustro ad una maggioranza litigiosa. Ma non del tutto anomala – va detto – che tuttavia ha trovato nutrimento in quel brodo di coltura che sta stravolgendo la politica globale, il populismo (prima ancora del sovranismo).
In questi mesi è mancata la volontà di costruire una narrazione che potesse dare una giustificazione a tale intesa. Un momento di confronto intellettuale utile a dare continuità culturale all’esperienza romana. Tutto ciò è successo, probabilmente, perché sono davvero pochi (o poco attrezzati di risorse) gli intellettuali che avrebbero potuto dare spessore a questa fase e indicare dei percorsi utile a cestinare definitivamente le parole destra/sinistra in favore della nuova polarizzazione popolo/élite o della dialettica tra i vincenti e gli sconfitti della globalizzazione.
È successa invece un’altra cosa – come spiega il politologo Marco Tarchi – che il M5s si è convinto di essere il braccio sinistro della compagine e la Lega quello tutto ordine, schei e sicurezza. Le due forze del contratto, cioè, sono rimaste ferme al palo del Novecento, senza interpretare in maniera sensata il dato che la crisi attuale passa soprattutto dal fatto che le grandi compagini internazionali (Ue, Onu, Chiesa etc) hanno rivelato di non avere gli strumenti utili a contrastare le turbolenze di questo momento storico: la crisi finanziaria ancora in corso, la gestione dei flussi migratori, i cambiamenti climatici, la ridistribuzione delle ricchezze e lo spettro del terrorismo fondamentalista.
Ciò detto, un nuovo esecutivo gialloverde (forse a guida Di Maio) o giallorosso o magari un centrodestra con dentro ancora Berlusconi, saprebbero dirci qualcosa di più rispetto al tempo attuale? Fare qualcosa che vada oltre le dirette Facebook (strumenti, per carità, utilissimi a ridurre le distanza tra leader ed elettori)? La risposta non può che essere aperta. Ma di giganti all’orizzonte non se ne vedono.
@barbadilloit
@fernandomadonia
Concordo con quanto è stato scritto. Attribuire la caduta di questo governo solo alla Lega è assolutamente inesatto, la colpa è di entrambi i soggetti politici che non hanno saputo (o voluto) più trovare dei compromessi che potevano farlo durare per l’intera legislatura. Il M5S avrebbe potuto cedere sul TAV, la Lega sulle autonomie, ma qualcosa è andato storto.
P.s.: ogni tanto c’è qualcuno che scrive correttamente “il TAV” e non “la TAV”.