Protagonista indiscusso della società contemporanea, sotto il profilo esistenziale, è un nuovo soggetto antropologico che alcuni studiosi, alla luce del suo esclusivo rapporto con la merce, hanno definito il «consumatore consumato», ed altri, soffermandosi sulla sua struttura psichica, «narciso post-moderno». E’ l’abitatore del mondo liquido, il cui tempo è deprivato di profondità, e la cui vita si situa in un presente invalicabile, dominato da due nuovi idoli: 1) la merce; 2) la religione secolare dei diritti dell’uomo. Della cosa da tempo, in particolare in Francia, si occupano, nelle loro lucide analisi, Alain de Benoist e Marcel Gauchet, solo per fare qualche nome: autori decisamente schierati contro l’intellettualmente corretto. La novità, che va segnalata, è che anche accademici liberali hanno preso coscienza di tale realtà. Lo si evince, con evidenza, dall’ultima fatica di Jean-Louis Harouel, I diritti dell’uomo contro il popolo, arricchito dalla introduzione di Vittorio Robiati Bendaud, da poco edito da Liberilibri editore (per ordini: ama@liberilibri.it, 0733/231989, pp. 105, euro 15,00).
Nell’incipit del volume, l’insigne teorico del diritto, muove dalla descrizione delle drammatiche condizioni prodotte dall’immigrazione senza controllo, il cui pedaggio è stato esclusivamente pagato dai ceti popolari autoctoni, di popolazioni di fede islamica in Francia e, più in generale, in Europa. Sono attualmente cinque milioni i residenti mussulmani nel paese transalpino, uno Stato nello Stato che, ogni giorno, con i propri costumi, con il proprio modo di vivere, perfino attraverso il proprio abbigliamento, si contrappone al modus vivendi del paese che li accoglie. Pur non condividendo in toto i giudizi sull’Islam dell’autore, in quanto riteniamo che, tanto i migranti quanto le popolazioni accoglienti siano, in qualche modo, le vittime di chi dirige il processo di sradicamento universale in atto, vale a dire i rappresentanti della governance e della Forma Capitale contemporanea, certamente gli va riconosciuto coraggio intellettuale. Egli non solo mette in discussione, in termini assiologici, il concetto di accoglienza, parola magica che giustifica per il buon democratico qualsiasi provvedimento, anche se palesemente contrario al buon senso, ma va anche alla ricerca della sua origine storico-filosofica, al fine di mostrarne l’inanità.
La rinviene, essendo la prassi accogliente momento della religione secolare dei diritti dell’uomo, nella filosofia della storia e, comunque, all’interno di quell’atteggiamento «futuristico», per usare un’espressione propria di Karl Löwith, inaugurato, nel mondo antico, dallo gnosticismo e dal millenarismo. La gnosi, un’insieme di dottrine religiose esoteriche fortemente svalutative della dimensione materiale e terrena, aveva al proprio centro il tema dell’Uomo-Dio: «Creatore sventurato della materia […] la divinità inferiore […] vi ha racchiuso dei frammenti della divinità suprema» (p. 28). Le anime, per questo, ambiscono al cielo per essere riassorbite in Dio. Lo gnostico è Uomo-Dio. Mentre l’autore tende a distinguere gnosi e cristianesimo in modo netto, noi, con Löwith, riteniamo che aspetti gnostici fossero presenti nel cristianesimo originario. Il primo effetto della diffusione della buona novella fu, infatti, la desacralizzazione del cosmo. L’idea millenarista, invece, era centrata sull’annuncio che Gesù sarebbe tornato sulla terra per instaurarvi un regno di felicità assoluta.
Millenarismo e Gnosi hanno un tratto in comune, vale a dire: «il rifiuto di credere che il male possa risiedere nell’uomo» (p. 30). Le due tendenze teoriche trovarono sintesi compiuta, ricorda Harouel, nell’opera di Gioacchino da Fiore. L’abate sviluppò una forma di millenarismo nel quale il continuo progresso umano segnava il senso della storia: «Dio avrebbe deciso che ci sarebbe stata in questo misero mondo un’era di felicità assoluta» (p. 32), l’età dello Spirito Santo, in cui gli uomini sarebbero tornati a contatto diretto con il Principio. Di qui, attraverso la progressiva immanentizzazione del fine della storia realizzata dagli interpreti delle filosofie della storia del secolo XIX, Hegel, Marx e Comte, si sarebbe infine giunti alla religione secolare dei diritti dell’uomo. Harouel fa propria la lezione di Eric Voegelin (ma, per certi aspetti, nelle sue pagine, è presente l’insegnamento di Leo Strauss) secondo il quale le religioni politiche si riconducono a due forme di fede: quella nell’uomo inteso quale soggetto della corsa verso il progresso e quella in un «collettivo», rappresentazione mondana della sostanza divina (la classe, la razza, il partito), quale motore del percorso umano nel tempo.
La religione dei diritti dell’uomo ha sostituito, nelle aspettative rivoluzionarie, la società senza classi e l’estinzione dello Stato, con il «memismo»: «un’ideologia dell’indifferenziazione e dell’identità tra tutti i generi umani, che li obbliga ad allontanarsi da qualsiasi elemento che ingenera distinzione» (p. 42). Se, un tempo, l’altruismo faceva parte dei comportamenti individuali virtuosi, era patrimonio dell’etica del singolo, ora è stato istituito quale principio giuridico in molte legislazioni europee. La sorveglianza della corretta applicazione di tali principi normativi è affidata ai magistrati che, ovunque, nel nostro continente, si stanno trasformando nei nuovi sacerdoti della religione universale dei diritti dell’uomo. Il «memismo», abolendo le differenze di genere (dottrina del gender) ed ogni forma di identità etnica, culturale, spirituale, implica in sé il «sostituzionismo» di individui e popoli e, in quanto tale, rappresenta per Harouel, la base ideale del neo marcionismo (da Marcione, gnostico che individuava nell’amore l’unico strumento utile ai fini della salvezza). Esso è centrato sul prediligere, in ogni ambito, il reo o il deviante, chi è mancante dal punto di vista comportamentale e normativo, rispetto alla vittima: atteggiamento che le cronache giudiziarie confermano di continuo. Accogliere, amare il prossimo (anche nel caso di un assassino), sono i dogmi della religione dei diritti dell’uomo, con la quale l’Europa sta compiendo la propria, neppur troppo lenta, eutanasia.
A tale prassi è connotato un evidente e consequenziale vaglio, controllo delle idee e della loro circolazione nelle società contemporanee, dal tratto discriminatorio e liberticida. Il libro che presentiamo è un appello ai popoli d’Europa perché conseguano contezza dello stato presente delle cose e si ribellino. Ribellarsi, in tale contesto, è davvero giusto!