Leggo le magnifiche interviste di Marcello Veneziani apparse il 13 luglio sul Corriere della sera lombardo e su l’Eco di Bergamo a cura di Anna Gandolfi e Claudia Mangili dedicate ai primi passi dell’uomo sulla luna di cinquant’anni fa. E subito mi vien fatto di pensare al rapporto che lega scienza e poesia (o fede, se la poesia non è altro che il senso del mistero che la accomuna alla religione). Non ricordo particolarmente che cosa provai quella notte di luglio, avevo quattordici anni e guardai anch’io con stupore l’impresa trasmessa nella TV in bianco e nero. Forse mi chiedevo se ne valeva la pena, istintivamente non mi piaceva la tecnologia messa a servizio della volontà di potenza dell’uomo e mia nonna, che era di cultura contadina, ricordo che era diffidente e borbottava: “non lasciano in pace neanche la luna!” Certo, la conquista della luna, stranamente, segnò una battuta d’arresto nella più generale conquista dello spazio, una sorta di nemesi e, come nota Veneziani, “la delusione che ne seguì, e le promesse annunciate di ulteriori imprese che poi non avvennero, restituirono poi la luna alla magia della notte.”
Veneziani, tra l’altro, cita alcuni autori che guardarono con diffidenza, con sgomento, se non con contrarietà, a quell’impresa, da Heidegger (che paventava la perdita della terra e lo sradicamento) a Pasolini, da Buzzati (che invano supplicò la luna di sfuggire agli astronauti e mettersi in salvo) a Ceronetti. Non c’è dubbio che quell’evento ebbe – ed ha – un rilevante significato simbolico. Ci pone un dilemma angoscioso. La poesia cedette il passo alla tecnica? La saggezza fu sconfitta dalla volontà di potenza? L’uomo a una dimensione prevalse definitivamente?
Il filosofo Augusto Del Noce in Tramonto o eclissi dei valori tradizionali (1971) già allora riaffermava con forza il valore strumentale della scienza. Citando il magnifico passo evangelico in cui si parla di Marta e Maria e di ciò che è veramente necessario all’uomo, scriveva a proposito del rapporto tra saggezza (Maria) e scienza (Marta): “Entrambe le funzioni sono necessarie all’uomo. Ma rispetto al loro rapporto gerarchico l’uomo si trova davanti ad una scelta in cui l’intera sua personalità è coinvolta. Può optare per il primato della saggezza e orientare così l’intera sua attività verso il divino e l’universale. Può anche scegliere per l’esercizio esclusivo della scienza, orientandosi verso le cose per dominarle e fruirne a suo profitto.. ma in questa scelta entra in gioco l’avaritia radix omnium malorum (la cupidigia fonte di ogni male, n.d.a.)… Ridotto alla pura dimensione scientifica l’uomo non può mirare ad altro che alla semplice affermazione di sé. L’annientamento della saggezza in nome della scienza porta ad usare il Tutto in vista dell’individuo; il dominio della scienza pura, svincolata dalla sua subordinazione alla saggezza, porta a quell’anarchismo e a quell’agonismo individualistico che è uno dei tratti più spesso osservati della situazione presente.”
Sulla stessa linea di pensiero è Pierre Drieu la Rochelle, che in Vietato uscire, l’unico suo racconto di genere fantascientifico uscito in veste singola negli anni trenta e poi inserito nella raccolta Diario di un uomo tradito del 1934, tratta da par suo l’argomento. In realtà, nel racconto di Drieu fantascientifica è solo la cornice, si tratta di un vero e proprio apologo sulla nostra società in declino, che descrive la lotta dell’immanenza contro il misticismo, della morale chiusa contro la morale aperta (ricordiamo che lo scrittore francese ascoltò le lezioni del filosofo Bergson). Drieu immagina che si fronteggino e si combattano senza esclusioni di colpi due associazioni, “Altrove” e “Quaggiù”, che, a ben guardare, sono i due poli opposti, le due linee – orizzontale e verticale – che si intersecano e non possono mancare nell’uomo e nella civiltà, pena la riduzione ad una sola noiosa alienante dimensione. Il costituirsi dell’associazione “Altrove” in seguito alla mancanza di notizie seguita all’invio di alcuni razzi nel cosmo (evento posto profeticamente da Drieu nel 1963!) ridestò gli animi, “sembrò che il mistero potesse essere la nutrizione degli umani, mistero che suscita nel contempo dubbi e speranze, spregio ed esaltazione”. Sennonché il prevalere dell’associazione “Quaggiù” finisce per delineare lo scenario di una società dominata dalla noia, e dalla demonìa dell’economico. Forse, tornando a quell’evento di una notte di luglio, il maggior risultato che ebbero quei passi sulla luna fu di vedere rimpicciolita la terra, che come dice il poeta è “tremendamente fragile”. E forse di aprire la strada ad una visione diversa, quella ecologista, che predica la sobrietà, il rispetto per la natura e una decrescita felice.