Nel giugno 2014, a causa dello scarso gradimento registrato nei Paesi europei dai modelli di origine Chrysler (Flavia, Thema, Voyager), nonché nell’ottica della riorganizzazione del Gruppo FCA, fu comunicata l’intenzione di ritirare dai mercati tutti i modelli Lancia, con la sola eccezione della piccola citycar Ypsilon. Che sarebbe rimasta disponibile sul solo mercato italiano sino alla sua ‘naturale estinzione’.
Fine del nobile marchio nato del 1906 a Torino per iniziativa di Vincenzo Lancia, un genio, un superbo organizzatore ed industriale. Addio ad una lunga storia di autovetture di gran classe, tecnica sopraffina, passione per l’innovazione, un emblema dell’industria italiana d’eccellenza, una prestigiosa tradizione sportiva apprezzata nel mondo: tutto malamente buttato alle ortiche. Addio per sempre alle foto pubblicitarie dei nuovi modelli al Parco del Valentino, davanti al Castello, presso il Po, con la verde collina torinese per fondale…
Pochi giorni dopo, quasi in modo simbolico, il 4 luglio di cinque anni fa (2014), il sito web di ‘Quattroruote’ riportava un necrologio, a firma del direttore Gian Luca Pellegrini:
Lutto nel mondo dell’auto. Addio a Gianni Lancia
‘Così come è vissuto, perlomeno da un certo punto in avanti, Gianni Lancia se ne è andato: in silenzio. Un breve necrologio, apparso ieri su La Stampa e firmato dalla moglie Jacqueline Sassard, dai figli e dai nipoti, ha comunicato (a funerali avvenuti, a testimonianza di una rigida ricerca del riserbo) la scomparsa, avvenuta a 90 anni, dell’ultimo Lancia ad aver condotto l’azienda di famiglia. In azienda c’era entrato nel 1947, dopo la morte del padre Vincenzo (nel 1937): aveva soli 24 anni, era appena uscito dalla facoltà di Pisa. E subito imprime una direzione inaspettata all’azienda, chiamando Vittorio Jano e lanciandosi nelle corse. All’antica dirigenza piace poco la virata e si dice che la fronda interna sia alquanto agguerrita. Gianni non se ne cura. I risultati sui campi di gara arrivano presto, ma quelli industriali no. La Lancia ristruttura le fabbriche torinesi e investe enormemente per realizzare il grattacielo che porta il suo nome. La decisione si rivelerà fatale per i conti della Casa. E fatale sarà l’incidente di Alberto Ascari – top driver Lancia – che nel 1955, a Monza, chiede a Castellotti di provare la sua Ferrari e muore in un incidente. Gianni decide di abbandonare le corse e in sede deve affrontare una frangia di oppositori che invoca l’arrivo di una nuova proprietà. Si fa avanti il gruppo Pesenti, a cui la Lancia deve soldi proprio per la costruzione del grattacielo torinese. Pesenti pone una condizione: Gianni deve lasciare, non vuole la famiglia di mezzo (anche le sorelle Anna Maria ed Eleonora, che erano in trattativa con la Mercedes, saranno estromesse di lì a poco). Nel 1955 Gianni Lancia è costretto a lasciare l’azienda, sommersa dai debiti, e pure l’Italia dopo il disastro della scuderia e la morte di Alberto Ascari. L’ingegnere vola in Brasile, che diventerà la seconda patria, per poi stabilirsi in Costa Azzurra con la seconda moglie, l’attrice francese Jacqueline Sassard. Da allora, scompare dalle cronache industriali, mondane, sociali italiane, rifiutando sempre di parlare della “sua” Lancia. Rifiutando ogni contatto, ogni intervista. Ora riposa nel cimitero di Fobello (nell’alto vercellese), luogo d’origine della famiglia Lancia, accanto al padre Vincenzo. Che la terra ti sia lieve, Gianni.’
Il secolo era prossimo alla svolta, settant’anni fa.
Il 9 gennaio 1950, durante una manifestazione sindacale degli operai delle Fonderie Riunite di Modena, le forze di polizia (Ministro dell’Interno è Scelba) caricano i manifestanti e sparano: sei morti ed un centinaio di feriti. Non pochi comunisti emiliani faticano ad accettare il responso delle urne del 18 aprile 1948. I sindacati reclamano diritti e migliori salari, non a torto. Il 26 di quel mese l’India, ottenuta l’indipendenza dalla Gran Bretagna, si converte in una repubblica. Il 31 gennaio il presidente statunitense Harry Truman annuncia ufficialmente un programma per lo sviluppo della bomba all’idrogeno. Il successivo 9 febbraio, in un discorso nella città di Wheeling, il senatore repubblicano per il Wisconsin, Joseph McCarthy, afferma che nel Dipartimento di Stato si sono infiltrati molti comunisti. Ha inizio negli Stati Uniti la cosiddetta ‘caccia alle streghe’ maccartista. Il 9 maggio il Ministro degli Esteri francese, il lorenese Robert Schuman, nato cittadino tedesco, propone di mettere in comune le risorse di carbone ed acciaio europee. Il progetto condurrà alla CECA, poi ai Trattati di Roma, alla CEE ed all’attuale UE. Il 25 giugno ha inizio la Guerra di Corea.
In Italia, il 5 luglio rimane ucciso in uno scontro a Castelvetrano, in Sicilia, a 27 anni, il famoso bandito di Montelepre , Salvatore Giuliano, l’ultimo dei ‘banditi popolari’. Si seppe poi che ad ucciderlo non furono i Carabinieri, ma il suo luogotenente Gaspare Pisciotta, coautore del ‘massacro di Portella della Ginestra’, in provincia di Palermo, il 1º maggio 1947, da parte della banda di Giuliano che sparò contro la folla riunita per celebrare la festa del lavoro, provocando undici morti e numerosi feriti, pare su ‘ordine’ di politici locali…
Il 10 agosto viene istituita la ‘Cassa del Mezzogiorno’, ente pubblico volto a finanziare iniziative industriali tese allo sviluppo economico dell’Italia meridionale. Il 22 dello stesso mese il Papa Pio XII emana l’enciclica Humani Generis, nella quale si esprime la condanna della Chiesa nei confronti delle moderne correnti di pensiero: idealismo, storicismo, esistenzialismo, relativismo. Nella notte tra il 26 ed il 27 di agosto si toglie la vita a Torino lo scrittore Cesare Pavese, nell’Albergo Roma di Piazza Carlo Felice, ingerendo il contenuto di varie scatole di sonniferi. Il 7 ottobre 1950 forze statunitensi ed alleate invadono la Corea del Nord attraversando il 38mo parallelo. Segue l’intervento militare cinese nel Tibet, che viene occupato.
Il 21 ottobre è varata a Roma la ‘Legge di Riforma Agraria’, lungamente attesa, che prevede l’espropriazione di terre definite ‘incolte’ ai latifondisti e l’assegnazione ai contadini. L’eccessivo frazionamento delle nuove proprietà, che impedisce agli assegnatari di dotarsi di macchinari e la mancata creazione di strumenti finanziari idonei e di strutture cooperative, oltre a radicati retaggi psicologici contadini, segnerà il parziale insuccesso del provvedimento.
In novembre truppe cinesi entrano nella Corea del Nord, contro le forze della Corea del Sud e degli Stati Uniti, ponendo fine ad ogni speranza di una rapida soluzione del conflitto.
In campo sportivo, il 13 maggio ha inizio il Campionato Mondiale di Formula Uno di Automobilismo con il Gran Premio di Gran Bretagna, sul circuito di Silverstone. Vincitore del campionato conduttori sarà il torinese Giuseppe “Nino” Farina su Alfa Romeo. Ai Campionati Mondiali di sci alpino ad Aspen (Colorado) il toscano Zeno Colò vince due medaglie d’oro ed una d’argento. Successivamente, il 16 luglio, nella finale della Coppa Rimet in Brasile, la nazionale locale, gran favorita, perde clamorosamente la gara decisiva del girone finale contro l’Uruguay, che si laurea per la seconda volta campione del mondo nel nuovo, enorme stadio di Rio per 200.000 spettatori. L’evento verrà ricordato come il Maracanazo. Il 27 settembre 1950 allo Yankee Stadium di New York, in un incontro per il titolo mondiale dei pesi massimi di boxe, Joe Louis, The Brown Bomber, viene battuto ai punti dallo sfidante Ezzard Charles.
L’indice della produzione nazionale supera quell’anno il livello del 1938: si considera quindi conclusa (almeno ufficialmente) la fase della ricostruzione postbellica italiana.
Il 1º novembre 1950 Papa Pio XII, con la costituzione apostolica ‘Munificentissimus Deus’, proclama ex cathedra il dogma dell’Assunzione di Maria. L’atto segna l’inizio dell’Anno Santo “L’anno del grande ritorno e del grande perdono”, dopo le immani devastazioni del secondo conflitto mondiale, soprannominato anche della “Madonna pellegrina”. La tradizione della “Madonna pellegrina” si dispiega nel solco del movimento mariano fiorito tra Ottocento e Novecento e consolidato dalla proclamazione di dogmi (dell’Immacolata nel 1854, dell’Assunta nel 1950). Il movimento troverà il suo apice nell’ ‘Anno Mariano’ indetto dal pontefice per il 1954. Per i credenti la Peregrinatio Mariae è un momento di fede, conversione e religiosità popolare. Riguardo ai pellegrinaggi italiani del dopoguerra esistono letture storiche che vi ravvisano una matrice politica, come uno strumento di riconquista di fedeli contro la minaccia sovietica e marxista nel corso della Guerra Fredda.
‘Madonne bighellone’ le definirono spregiativamente i comunisti.
In un mondo ancora segnato dalle ferite della guerra, Pio XII intuì che la gente aveva bisogno di un “pastore angelico che porta il suo gregge sulle vie della pace”. Con questi intenti, Papa Pacelli proclamò il Giubileo, cui molti si dichiararono inizialmente contrari o scettici. In tanti sostenevano che l’Italia, ancora ferita dalla guerra, non era in grado di reggere una manifestazione di respiro mondiale. Invece il Giubileo, con il suo messaggio di riconciliazione e speranza, fu un trionfo, con oltre un milione e mezzo di pellegrini e contribuì a far conoscere le bellezze italiane, favorendo il primo boom turistico. La guerra non è dimenticata, le tensioni sociali permangono acute, come accennato, eppure il balsamo del tempo ne attenua i profili più aspri e dolorosi. Con la pace e la libertà gli italiani scoprono altresì la speranza di una vita più comoda, e le auto contribuiscono ad alimentare aspirazioni e sogni. Il lento ristabilimento della normalità economica schiude l’ambizione dell’automobile per tutti, prima del conflitto riservata al ceto borghese o professionale.
Le tre grandi Case italiane (Fiat, Lancia, Alfa Romeo) comprendono presto che si deve accelerare il passaggio dai modelli d’anteguerra ad altri più moderni ed economici. Nascono così – tutte presentate nello stesso anno 1950 – la Fiat 1400, L’Alfa Romeo 1900, la Lancia Aurelia. Auto solide, ancora per il ceto abbiente, ma pure spregiudicate, raffinate, che brillano anche nelle competizioni sportive. Che, come prima del 1940, tornano ad entusiasmare masse ingenti di appassionati. Vetture non solo destinate al mercato nazionale. “Le italiane sono le più belle” diventerà presto uno slogan, la conferma che la nostra creatività si stava imponendo nel mondo, anche più del periodo precedente il conflitto. I grandi del tempo, sovrani, prìncipi, attori, protagonisti della mondanità internazionale, scoprono, in particolare, il fascino delle nuove Lancia ed Alfa Romeo.
Dell’Alfa 1900 e della Fiat 1400/1900 mi sono occupato nel corso delle passate settimane. Volgo ora lo sguardo alla ‘terza grande’, la Lancia Aurelia, nelle sue varie, fortunate versioni.
Un altro Gianni, torinese come Gianni Lancia, precocemente orfano come lui, come lui erede di una grande fabbrica d’autovetture e veicoli, è quasi coetaneo eppur diverso. Gianni Lancia ama e conosce le auto, la meccanica, i motori. È un ingegnere appassionato. Assai corpulento come il padre, ama la buona tavola, ma è di carattere riservato. Si è sposato molto giovane, nel ’50, con Maria Luisa Magliola (1928 – 2011) che gli darà presto due rampolli. Ma nel ’55 il matrimonio sarà già in crisi. Pure Gianni Agnelli le apprezza, ovviamente, le auto, le usa e le…getta, senza conoscerle a fondo. Studente distratto di giurisprudenza – preferendo studiare da “principe del Rinascimento” – ha il physique du rôle che manca a Gianni Lancia, è precocemente un personaggio del jet-set, socialmente ben introdotto a tutti i livelli, nei salotti della politica, della stampa, dell’editoria (pure in America, avendo una nonna e poi anche una suocera statunitensi); è un playboy, un tombeur de femmes, come si diceva.
L’ ‘altro’ Gianni ha la fortuna di avere in Fiat le spalle coperte da Vittorio Valletta, uno straordinario manager che manca in Casa Lancia, essendo la madre, signora Adele Miglietti, il Presidente, certamente ben intenzionata, solida, ma diffidente verso manager alla Valletta, preferendo tecnici che non si occupino della gestione globale. “Il giorno dopo il funerale del marito, Adele era già dietro la scrivania per seguire i lavori dell’officina e assicurarne la continuità di gestione”, scrissero. Rimanendo, però, agli occhi della dirigenza e degli interlocutori, in quei tempi, ‘solo’ la segretaria che un giorno si era fatta sposare dal patron…
Pur essendo più giovane di tre anni, Gianni Lancia esaurisce la sua parabola di industriale quando Gianni Agnelli è ancor lontano dall’iniziare la propria.
Nel 1947, a soli 23 anni, dopo aver conseguito una laurea in Ingegneria a Pisa, Gianni Lancia prendeva così il timone dell’azienda automobilistica di famiglia, restando in carica fino al 1955, prima di vendere, un anno più tardi, le sue quote (16%) alla famiglia e trasferirsi definitivamente in Brasile. Durante gli anni alla guida della Casa, Gianni dimostra di avere notevoli capacità tecniche e creative, iniziando un rinnovamento della gamma con l’aiuto dell’ingegner Vittorio Jano. Il volume di Valerio Moretti (1986) ha ben evidenziato il diretto contributo dell’ing. Lancia alla progettazione e collaudo. Egli prova personalmente e più volte tutte le vetture. Da questa collaborazione scaturiscono automobili innovative come la Lancia Aurelia, che nelle versioni B20 GT e B24 Spider, incarnano l’eleganza e la dinamicità. Nasce la squadra Corse Lancia, vengono prodotte le vetture Sport (purtroppo quasi sempre sottopotenziate) ed ingaggiati piloti come Fangio e Ascari. Poi il salto in Formula Uno nel 1954, esperienza che Gianni termina quando lascia l’azienda, le auto, Torino, l’Italia. Con due sole vittorie, a Torino e Napoli, dopo una lunga messa a punto della D50.
Il passaggio di proprietà della Lancia a Pesenti si concluderà solo nel 1958. Da allora, nessuno dei componenti della famiglia volle più avere nulla a che fare con l’azienda: nemmeno, in occasione degli anniversari della Casa. Si dice che quando le sorelle Anna Maria ed Eleonora dovettero cedere al finanziere Pesenti le loro quote azionarie si adeguarono assai malvolentieri. Ma dei loro dissapori col fratello, se mai ci furono, nulla si seppe. Lo stile Lancia, anche allora, non conobbe sbavature. La storia di queste due donne contiene poi momenti durissimi e tragici.
Durante la guerra, Gianni Lancia, d’accordo con la madre, comincia a occuparsi dei progetti futuri della Casa. Convinto che la trazione anteriore non sia l’ideale, pare a causa di esperienze negative al volante di una Citroën Traction Avant, pensa di esplorare quella posteriore (o più correttamente centrale-posteriore): dopo qualche progetto a partire dal 1944, nel 1948 viene realizzato un prototipo, denominato A10, munito di un motore a 8 cilindri a V di 90° di circa 2 litri di cilindrata. Il progetto viene però accantonato: gli si preferisce un qualcosa di meno rivoluzionario e, soprattutto, meno costoso. Quello destinato a sostituire effettivamente l’Aprilia e che darà origine all’Aurelia.
Nel novembre del 1943 la Lancia riportava a Torino la Direzione tecnica (affidata all’ing. Giuseppe Vaccarino) e la Direzione esperienze (di cui è a capo Vittorio Jano), che erano state trasferite a Padova a causa dei bombardamenti: saranno proprio i due famosi tecnici, affiancati dal giovane ing. Francesco De Virgilio (capo del Servizio studi speciali e brevetti) ad elaborare progetti che porteranno alla definizione delle caratteristiche tecniche del modello B10, successivamente battezzato Aurelia. Pare che l’idea di un propulsore a 6 cilindri a V sia sorta nella mente di De Virgilio sin dalla fine del 1943. Dopo i primi studi, il giovane tecnico si persuade che la necessaria equilibratura può essere ottenuta se l’angolo della “V” è compreso tra i 40° e gli 80°. Per testare la validità di questa teoria, viene utilizzato un motore ad 8 cilindri a V di 40° circa che era stato costruito nel 1941-42, al quale vengono tolti due cilindri e trasformato quindi in un 6 cilindri. Qualche tempo dopo, viene provato un nuovo propulsore, in cui la “V” dei cilindri viene portata da 40° a 60°: finita la guerra, esso costituisce la base per la realizzazione di quello definitivo, destinato ad essere installato sulla Nuova Aprilia (ancora non si ipotizzava un modello del tutto nuovo). Gianni Lancia provò a lungo il V6 sperimentale sulla sua Aprilia.
Nel 1948, Gianni rompe gli indugi: convinto che il semplice aggiornamento dell’Aprilia non sia sufficiente al rilancio aziendale decide il varo di un modello completamente nuovo. Il motore disegnato da De Virgilio sarà prodotto dalla Casa dal 1950 al 1970. Tecnicamente all’avanguardia in quegli anni, era caratterizzato da una architettura con 6 cilindri disposti a V. La finalità essenziale era di annullare le vibrazioni dei motori V4 (Aprilia ed Ardea). Il motore definitivo viene aumentato fino a 60° (un valore che garantisce un’ottima equilibratura del 6 cilindri e che sarà il primo al mondo per una vettura di serie), la cilindrata è portata a cmc 1754,90. Il blocco motore è in lega leggera con canne cilindri in ghisa, l’albero di distribuzione è unico, comandato da una catena doppia, a rulli, mantenuta in tensione da un tendicatena idraulico. L’impianto di raffreddamento, ad acqua con pompa, è regolato da due termostati. Progettato per l’Aurelia, il motore sarà successivamente utilizzato nelle sue evoluzioni anche sulla Flaminia.
Nella trasmissione, una grossa innovazione è la frizione, cambio, differenziale realizzati in gruppo unico, ancorato al telaio e disposto al retrotreno, onde aumentare il peso gravante sulle ruote posteriori e diminuire quello gravante sulle anteriori al fine di aumentarne l’aderenza. Il comando del cambio è ora al volante, in sintonia con la moda imperante dell’epoca.
La B10 berlina è caratterizzata da una linea sobria ed elegante, ispirata a quella di una Aprilia carrozzata da Pininfarina. La caratteristica mascherina anteriore “a scudetto” viene mantenuta, ammodernata, arrotondata. Anche la coda è all’insegna della rotondità, con un raccordo ad ampio raggio tra l’abitacolo ed il bagagliaio. Abbandonando i nomi di città laziali (Ardea, Aprilia), la Lancia assegna alla B10 la designazione “Aurelia”, un nome che ha un suono dolce che riflette il carattere della macchina. Inizia così la serie dei nomi corrispondenti alle vie consolari romane: la serie proseguirà con l’Appia (1953) e con la Flaminia (1956-57).
Al Salone dell’automobile di Torino, inauguratosi il 4 maggio 1950, viene esposta la capostipite di tutte le Aurelia, la berlina B10. In occasione del Salone di Torino del successivo 1951, la Lancia espone per la prima volta al pubblico l’Aurelia B20, una splendida coupé dalla attraente linea misurata, pulita. Questa nuova Aurelia inaugura una formula che riscuoterà un gran successo nei successivi vent’anni, quella della “gran turismo a 2 posti, più 2 di fortuna”. Dal 1951 al 1958, la produzione è stata eseguita da Pininfarina, che ha costruito 3773 coupé su un totale di 3871. Derivata dalla berlina B10 monta un motore con cilindrata portata a 1990,97 cm³. Molto rastremata e di dimensioni contenute (lunga 428 cm. e larga 154) è, assieme alla quasi contemporanea Alfa Romeo 1900 Sprint, una delle più maneggevoli e veloci sportive italiane del momento. Accreditata di una velocità massima di circa 160 km/h (ottenuta grazie anche ad un rapporto al ponte più “lungo” rispetto a quello della berlina) la B20 si afferma anche nelle competizioni. Malgrado un prezzo consistente (2.600.000 Lire al debutto), la B20 riscuote un buon successo commerciale, tanto che, in meno di un anno, ne vengono venduti 500 esemplari.
All’inizio del mese di marzo del 1952, in occasione del Salone dell’automobile di Ginevra, appare la seconda serie. Diventa l’auto dei famous & rich, di Ranieri di Monaco, Gary Cooper, Marylin Monroe.
Tra la primavera del 1952 e la primavera dell’anno successivo esce la più classica, la più veloce (e forse la migliore) delle B20, la terza serie da 2 litri e mezzo (2451,31 cm³). Potente (118 HP a 5000 giri) e veloce (185 km/h) questa serie si differenzia dalle precedenti soprattutto nella coda, che, abolite le “pinne”, assume un aspetto tondeggiante molto armonioso, grazie anche al coperchio del bagagliaio di forma arrotondata. La nuova “2 litri e mezzo” sarà per anni protagonista nelle corse per vetture Gran Turismo, dove se la vedrà con le Alfa Romeo 1900 (le coupé Sprint e Supersprint, ma anche la Berlina Turismo Internazionale) e Fiat 8V,particolarmente nella versione di Zagato.
Trascorre circa un anno e, dopo 720 esemplari della terza serie, appare la quarta serie, che viene esposta al pubblico al Salone di Torino assieme alla nuova berlina B12 e che, come quest’ultima, è caratterizzata dalla adozione del retrotreno tipo De Dion a ruote semi-indipendenti. In linea con le direttive della nuova proprietà e della nuova dirigenza tecnica (il prof. ing. Antonio Fessia), che mostrano entrambe scarso entusiasmo per le macchine veloci e non amano vedere vetture Lancia in competizione, la nuova serie di Aurelia B20 abbandona il carattere decisamente sportivo ed assume quello di una più tranquilla Gran Turismo, pur sempre ad elevate prestazioni.
Siamo giunti al 1957. Ormai il destino dell’Aurelia è segnato: la vettura, destinata a succederle, la Flaminia, sta per essere immessa sul mercato nella versione berlina ed è logico attendersi una sua versione Gran Turismo. L’ultima serie dell’Aurelia B20, con variazioni secondarie, nasce proprio nella primavera del 1957 e termina nel 1958.
Nel corso del 1952, la gamma Aurelia aveva presentato tre novità: la seconda serie del coupé B20, come detto, una nuova limousine di rappresentanza allungata a 6-7 posti e, in autunno, una nuova versione della berlina, pensata anche in funzione di una partecipazione alle corse della Categoria Turismo. La nuova serie, più lussuosamente rifinita, subisce un incremento di cilindrata a 2,3 litri: questa seconda serie, del ’54, rimane in concorrenza, in Italia, con l’Alfa Romeo 1900 e, in Europa, con la nuova Mercedes 220.
A fine anno ‘54, inizia la produzione della spider B24S Pininfarina, con volante a sinistra, (poi denominata “America” in quanto pensata e creata soprattutto mirando a quel mercato d’Oltreoceano) che ha sostanzialmente la meccanica da 2.5 litri della B20.
Se l’auto, almeno in Italia, è dannunzianamente “femminile”, l’Aurelia B24 spider, preziosa ed effimera, con le sue rotondità sensuali risulta addirittura esagerata nell’offrirsi come tale, con quella oscura calandra del radiatore che non può non evocare l’Origine du Monde di Gustave Courbet… La produzione di tutte le Aurelia fu di 18.201 unità.
Il sorpasso è un film del 1962, diretto da Dino Risi. La pellicola, considerata come il capolavoro del regista, costituisce uno degli affreschi cinematografici più rappresentativi dell’Italia del nuovo benessere e del miracolo economico. Attori principali: Vittorio Gassman: Bruno Cortona; Catherine Spaak: Lilly Cortona; Jean-Louis Trintignant: Roberto Mariani.
A Roma, la mattina del Ferragosto 1962, la città è deserta. Bruno Cortona, quarantenne vigoroso, ma nullafacente e cialtrone, amante della guida sportiva e delle belle donne, al volante della sua Lancia Aurelia B24 convertibile, bianca o beige, vaga alla ricerca di un pacchetto di sigarette e di un telefono pubblico. Lo accoglie in casa Roberto Mariani, studente di legge rimasto in città per preparare gli esami. Dopo la telefonata, Bruno chiede a Roberto di fargli compagnia: i due, sulla spinta dell’esuberanza e dell’invadenza di Bruno, intraprendono un viaggio in auto lungo la via Aurelia, a velocità sostenuta, che li porterà in direzione della Toscana, a Castiglioncello, raggiungendo mete occasionali sempre più distanti (…). Il giovane Roberto sarà più volte sul punto di abbandonare Bruno, ma sia il caso, sia una certa inconfessabile attrazione, mascherata da una arrendevolezza, terrà unita l’assortita coppia di amici occasionali, che significherà per Roberto anche un percorso di iniziazione alla vita. Egli infatti si allontana dai miti e dai timori adolescenziali ed inizia la rilettura delle sue relazioni familiari, dell’amore e dei rapporti sociali, sino alla tragica conclusione che si materializza durante l’ennesimo sorpasso avventato: l’auto si scontra con un camion e precipita in un burrone. Bruno si getta fuori dall’auto riuscendo così a salvarsi, mentre Roberto perde la vita’.
(Da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Il_sorpasso).
Un’auto, la Lancia Aurelia B24 spider, diventata paradossalmente iconica nel mondo grazie anche al film, quattro anni dopo l’uscita dalla produzione… Decenni più tardi sarà ricercatissima dai collezionisti di tutto il mondo. Il destino di Trintignan, nipote di campioni dell’automobilismo, protagonista nel ’66, quale pilota a Le Mans, del famoso dramma romantico Un homme et une femme di Lelouch, sarà ancora bizzarramente intrecciato a quello di Gianni Lancia…
(Cfr. Ferruccio Bernabò, Lancia Aurelia GT, Milano, Giorgio Nada Editore, 1983; https://it.wikipedia.org/wiki/Lancia_Aurelia; Nigel Trow, The Illustrated Lancia, London, 2000).
Le intuizioni di Gianni Lancia – e la splendida, straordinaria D50 di Jano, approdato alla Ferrari dopo la sua partenza – permisero alla Casa del Cavallino Rampante, con poche modifiche, di vincere il campionato del mondo con Fangio l’anno successivo (1956). L’ingegnere cedette generosamente non solo le vetture, ma tutti i materiali della Scuderia di F1 al patron di Maranello, che venne pure aiutato finanziariamente dalla Fiat.
Ferrari aveva già guardato a Lancia con ammirazione ed apprezzamento. Enzo Ferrari in persona – che in quell’anno stava vincendo con Ascari il primo mondiale di F 1 – era talmente attratto dalla tecnologia Lancia che nel 1952 chiese a Torino di poter avere una Aurelia Coupé. La lettera era inviata all’ing. De Virgilio. Nella lettera Ferrari scriveva: “in data 13 giugno scrissi all’Ing. Gianni Lancia esprimendo il vivo desiderio di venire in possesso di un Aurelia Gran Turismo con guida a sinistra…Mi spiace apprendere la di lei conferma dell’impossibilità da parte della sua Casa di accogliere questo mio desiderio e La prego di tenerlo nella migliore evidenza nel caso che in un prossimo avvenire l’Ing. Lancia decidesse di consegnare anche le Gran Turismo con guida a sinistra”. Espressioni non da poco per un uomo orgoglioso come notoriamente era il “Drake”… Lo stesso Ferrari scriverà anni dopo, nel suo celebre Le mie gioie terribili:
‘La prima volta che parlai al figlio di Vincenzo Lancia, gli dissi l’amicizia, e soprattutto, l’ammirazione che avevo portato e conservato per suo padre. Mi immalinconii, però, avvertendo come a lui interessasse di più condurre il discorso sulle ultime realizzazioni che non indugiare sulla grande eredità spirituale e tecnica. Questa impressione dovevo modificarla dieci anni più tardi, nel 1964, quando Gianni Lancia venne a Maranello come cliente. Atletico, abbronzato, sorridente, mi raccontò della vita “fazendera” che conduceva in Brasile e non mi nascose la sua emozione per essere entrato in una fabbrica di automobili tanto tempo dopo aver lasciato la famosa industria che porta il suo nome. Fu una visita gradita, aveva con sé la giovane e bella signora (ndr: l’attrice Jacqueline Sassard) che non esitò a lasciare l’abbagliante vita cinematografica per vivere in realistica serenità con lui, che alle vicissitudini aziendali aveva sommato rinunce affettive. Intuii che per rientrare in una fabbrica d’automobili aveva dovuto forzare il suo carattere e sono certo, ora, che soltanto l’amore materno, un amore eccessivo, lo sommerse con responsabilità e situazioni superiori alla sua età’.
Probabilmente non era il 1964, ma qualche anno più tardi…forse il ’68.
Gianni Lancia quando periodicamente torna in Europa dall’ ‘esilio’ brasiliano non si tratta male… Nel 1962 acquista, ad esempio, un sailing yacht Sintra da 29 metri, prodotto da Abeking & Rasmussen a Lemwerder, Germania, per navigare sulla Costa Azzurra, tra Cap d’Antibes e la Liguria, avendo talora come ospite… un altro appassionato velista, proprio Gianni Agnelli!
Bagnato dagli affluenti del Rio delle Amazzoni e del Paranà, il Mato Grosso si estendeva fino al 1979, quando venne sancita la nascita del nuovo Stato del Mato Grosso do Sul, per circa 1.250.000 chilometri quadrati (l’Italia ne misura 301 mila), nel Brasile occidentale, confinando con Bolivia e Paraguay, ed è la più grande riserva mondiale di carne bovina. Costituisce l’ecosistema più ricco del pianeta per la biodiversità della flora e della fauna. La Taiemà, creata da Lancia, aveva un campo d’aviazione (l’aereo lo pilotava lui), una stazione radio e molti comfort. Gianni si era innamorato della boscaglia sorvolandola.
A Cuiabà, capitale del Mato Grosso, aveva contrattato sulla mappa la zona dove intendeva stabilirsi. Aperto uno spiazzo nella foresta, la sua prima casa fu un capanno. È stato nella fazenda di Taiemà che Gianni, l’ingegnere avventuroso, una sorta di anti-eroe alla Conrad, ha forse vissuto i mesi più caldi della sua storia d’amore con Jacqueline, secondo alcune fonti conosciuta in Brasile.
Proprio in quella regione brasiliana dell’interno, posto ancor oggi remoto – figuriamoci nel 1955! – l’ingegnere approda, visionario incompreso, con le sue velleità sconfitte, ma con intatto vigore, e da quel momento è praticamente impossibile rintracciare nel web una sua foto, un’apparizione ad un evento sociale, tanto meno un’intervista, una confidenza. Nulla. Assolutamente nulla. Le poche righe di Enzo Ferrari e quelle di Pete Vack, un giovane scrittore, attore, regista statunitense, di seguito, con tanto di interessante foto, in occasione del decesso:
‘In Brazil Gianni travelled by canoe into the green heart of the Mato Grosso, largely inaccessible by any other means in 1955. There he purchased land and set about a new life as a rancher, clearing ground, building a house, and buying cattle, indirectly mimicking his grandfather, Giuseppe, who made his fortune in Argentina in the mid-19th century as a meat canner. He also bought a light aircraft in which he flew thousands of hours covering the vast territory. He was no recluse, however, returning regularly to Europe where he still had business dealings, some of which landed him in court in the 1960s when a couple of British banks called in a surety he had provided to a pair of Englishmen involved in a sisal (ndr: agave) business in Kenya. Gianni got around. At the end of the decade he married again, this time to the French actress Jaqueline Sassard whom he met in Brazil. (…) Gianni Lancia was buried in Fobello and is survived by his wife, three children, and grandchildren Carlotta, Maria Luisa, Gianna, Roberta, Umberta and Edoardo’. (Pete Vack, Gianni Lancia, 1924-2014, 19.8.2014, in https://www.velocetoday.com/gianni-lancia).
Un’orgogliosa fuga dal mondo, si potrebbe congetturare, una clausura elastica – torna in Italia per visitare la madre Adele, che si spegnerà ultranovantenne nel 1989 e, si suppone, i due figli e altri familiari; sarà ancor visto, pluriottantenne, alla guida di una BMW X5 – ma sempre, fino alla propria morte a Torino, il 30 giugno 2014 (secondo altre fonti nella sua casa di Saint-Jean-Cap-Ferrat), a quasi 90 anni, tenacemente lontano da ogni luce della ribalta.
Un giorno imprecisato egli lascia il Brasile e va a stabilirsi a Saint-Jean-Cap-Ferrat a 10 chilometri da Nizza. La cosa a mio avviso più curiosa è che tale scelta di relativa “fuga dal mondo” sia stata condivisa, e non per una stagione, ma per la vita intera, da una giovane e nota attrice francese di Nizza, Jacqueline Sassard, che dopo l’ultima pellicola, Les Biches di Claude Chabrol, del 1968, interpretata da protagonista con Jean-Louis Trintignant (ancora lui!) e Stéphane Audran, già moglie di Trintignant, e quindi, all’epoca del rodaggio, dello stesso Chabrol (un triangolo molto francese…), fa perdere le tracce di sé. Era stata, tra l’altro, l’attrice protagonista di Guendalina, regia di Alberto Lattuada (1957), di Nata di marzo, di Antonio Pietrangeli (1958), del famoso Estate violenta, di Valerio Zurlini (1959). Quest’ultimo rimarrà innamorato della Sassard fino alla morte precoce, confesserà nelle pagine autobiografiche, Gli anni delle immagini perdute, uscite postume nel 1982.
È un altro torbido, drammatico triangolo erotico-sentimentale, saffico, un po’ sadico, molto lacaniano e sessantottista, che ci consegna definitivamente (perchè poi pure lei, come il marito Gianni Lancia, riuscirà a sfuggire sempre gli obiettivi fotografici, a fare della sua vita un mistero) il ritratto, come scriverà il New York Times, di una «beauté grave et énigmatique. Agée de 28 ans à l’époque, elle avait déjà plus d’une quinzaine de films à son actif, dont beaucoup d’italiens. Personne ne sait ce qu’elle devint ensuite».
Una storia tutta da scrivere, quella tra Gianni e Jacqueline, oggi settantanovenne. Tra un uomo da ritenere fortunato, intelligente, che ha prodotto auto fra le più belle del suo tempo e poi ha avuto una tra le donne più desiderate…Sperando che lo stesso possa, in qualche modo, dire anche lei! Forse la reinterpretazione del faustiano Ritratto di Dorian Gray... chissà una storia in formato minore, ma non troppo dissimile da quella di Grace Kelly, moglie di Ranieri di Monaco, e di Marisa Allasio – sposata al conte Calvi di Bergolo, nipote del re d’Italia Vittorio Emanuele III – che abbandonarono carriere cinematografiche assai promettenti per matrimoni prestigiosi.
In ogni caso, la strana, intrigante, misteriosa storia dell’erede di una grande tradizione familiare ed industriale, un ingegnere ed un tecnico appassionato e capace, un inventore, che lascia le ragioni della sua vita, le aspirazioni, a soli 30 anni, per una remota fazenda brasiliana. E che poi trova (non sappiamo bene dove e quando) una donna bella, affascinante, misteriosa, un’attrice giovane, corteggiata, che a 28 anni decide, anche lei, di abbandonare il suo universo cinematografico, totalmente, per seguire quell’omone geniale, separato con prole, in un luogo isolato, primordiale, e poi dargli a sua volta un figlio, condividerne per decenni, sino alla fine, nel 2014, una sorta di convinto rifiuto della mondanità; una scelta esistenziale esclusivamente rivolta al privato, senza esposizioni, interferenze, senza mai avere, pare, un ripensamento.
@barbadilloit