Una cosa è certa: la crisi siriana finirà, prestissimo, per diventare un classico “caso di scuola” per tutti gli Istituti Strategici militari e per le Scuole di Guerra sparse per il mondo. Infatti esemplifica perfettamente la moderna – o se si preferisce postmoderna – teoria della “guerra asimmetrica”, ovvero una “guerra” nel cui contesto si sviluppano diversi conflitti a livelli diversi, e nei quali i diversi “attori” assumono posizioni e stipulano alleanze a “geometria variabile”. Esattamente quello che sta succedendo in Siria. Dove, apparentemente è in corso un conflitto, sanguinoso ed ormai cancrenoso, fra le forze leali al regime Baatista di Bashar Assad e i ribelli, che appaiono, però, molto divisi, anzi frammentati al loro interno. Perché se è vero che esiste una Coalizione Nazionale Siriana – sorta di CLN riconosciuto, ormai, da Washington e da gran parte delle Cancellerie occidentali – è altresì un fatto ormai palese che questo rappresenta solo la facciata ufficiale (e presentabile) di un complesso coacervo di movimenti e gruppi armati spesso in contrasto, se non addirittura in aperto conflitto fra di loro. Fra questi si distinguono quelli di ispirazione islamista, separati, però, fra i l’Ikhwan Muslimun, ovvero i famosi Fratelli Musulmani sezione siriana e i salafiti. I primi sembrano cercare, e trovare, l’appoggio di Ankara; i secondi sono armati e finanziati da sauditi e Qatar, che lo sostengono anche la forza mediatica dei due grandi Network televisivi panarabi: Al Arabya ed Al Jazeera. Pur entrambi espressione dell’Islam sunnita più politicizzato – e quindi nemici naturali degli alawiti di derivazione sciita che rappresentano il nerbo delle forze di Assad – Fratelli musulmani e salafiti non si amano, e fra loro la tensione va via via crescendo. Naturalmente entrambi sono in deciso contrasto con le forze di ispirazione più laica ed occidentale, quelle maggiormente rappresentate nel Consiglio Nazionale, ma di fatto minoritarie nel paese e, soprattutto, militarmente ininfluenti. Poi vi sono i curdi, che giocano in proprio, aspirando a sfruttare la situazione per fare delle province di nord est, al confine con la Turchia e l’Iraq, un’entità politica autonoma; pronta a federarsi con il limitrofo Kurdistan irakeno, di fatto indipendente dopo il crollo del Regime di Saddam Hussein. I Curdi rappresentano circa il 5% della popolazione siriana e stanno dando un notevole contributo contro Assad, tanto che le loro province sembra siano state ormai sottratte al controllo di Damasco. E già, però, cominciano a manifestarsi contrasti fra le stesse forze curde, in particolare fra gli 11 partiti coalizzati fra loro che stanno venendo aiutati in tutti i modi dalla Turchia, ed il PYD, il più attivo sul piano militare, che di fatto è il gemello siriano del PKK, il Partito comunista curdo che, da trent’anni, sta insanguinando la turchia con le azioni di guerriglia e terrorismo dei suoi Famosi/famigerati peshmerga. E’ tuttavia vero che proprio agli inizi di maggio il premier turco Erdogan ha trovato uno storico accordo con il leader del PKK Ocalan detenuto all’ergastolo nell’isola-fortezza di Imrail sul Mar di Marmara. Accordo che prevedrebbe la cessazione della guerriglia ed il ritiro dei peshmerga nei “santuari” del Kurdistan irakeno in cambio di un’ampia autonomia alle province turche a maggioranza. E nell’accordo, ovviamente, rientra anche il sostegno al PYD ed all’indipendenza dei curdi di Siria, che, se si realizzasse, porterebbe ad una federazione fra questi ed i loro “fratelli” irakeni e turchi. Pronuba Ankara che, certo, perderebbe il controllo diretto su alcune province di montagna – controllo oneroso, visto che la guerriglia dei peshmerga è costata oltre cinquantamila morti ai turchi – ma potrebbe “mettere il cappello” sul nuovo Stato federato curdo, presentandosi come Grande Protettore, se vogliamo riedizione del ruolo che fu dell’Impero Ottomano ai tempi della Sublime Porta.
Come ti destabilizzo l’Iran
D’altro canto, l’accordo fra Erdogan ed Ocalan è stato molto patrocinato da Washington e, soprattutto, da Gerusalemme. Infatti, rinsaldatisi i buoni rapporti fra Turchia e Israele dopo che Netanyahu ha fatto le sue scuse ad Erdogan per “l’incidente” della Mavi Marmara che li aveva quasi congelati, la diplomazia e l’intelligence dello Stato Ebraico sembra si stiano dando un gran daffare intorno all Siria. E, in particolare, per ottenere due risultati fondamentali: creare problemi a Teheran e, al contempo, impedire che a Damasco si insedi un regime sunnita/salafita considerato ben più pericoloso di quello, ormai periclitante, di Assad. E favorire gli accordi fra Erdogan e Ocalan significa da un lato aiutare Ankara ad esercitare un’influenza sempre maggiore in Siria, contrastando le ambizioni di Riyadh e del Qatar; dall’altro portare il contagio dell’indipendentismo curdo nelle province occidentali. Dove, appunto, fino agli anni ’70 combattevano i ribelli curdi del clan dei Barzani. Ora, è vero che la presenza curda in Iran – circa l’1,3% della popolazione – è molto meno rilevante che in Iraq, Turchia e Siria, tuttavia la ripresa di n movimento indipendentista curdo potrebbe creare non pochi grattacapi ad Ahmadinejad ed agli ayatollah. Infatti l’intero Iran è un insieme di minoranze, visto che, intorno alla maggioranza persiana/iranica, intere province sono popolate da arabi – attratti dall’Iraq – azeri, che guardano verso la Repubblica ex-sovietica dell’Azerbaigian – il gruppo cui, per altro, appartiene la stessa Guida Suprema Alì Khamenei – baluci – che già da tempo combattono una loro guerra fra Iran, Afghanistan e Pakistan per creare il Balucistan – armeni, turkmeni, bakhtiari, lor, qashqai….Un mosaico che potrebbe facilmente andare in pezzi se venissero accese le micce dei nazionalismi etnici, temutissime da Teheran. E guardate con interesse da Washington e Gerusalemme, dove da tempo vi è chi pensa che il modo migliore per “depotenziare la minaccia iraniana” sia proprio quello di favorire i movimenti centrifughi. Un progetto che sembra risalga ancora agli anni, lontani, di Bush padre lo teorizzò, fra gli altri, Michael Ledeen, uno dei padri nobili dei neocon – ma che oggi potrebbe tornare di stringente attualità, Soprattutto da che Ahmadinejad, in aperto contrasto con Khamenei e gli ayatollah più conservatori, sembra avere puntato su un nazionalismo populista ( o populismo nazionalista) nutrito dei miti del Grande Iran e dell’Impero Persiano.
Dietro i “Fulmini di Davide”
E sempre nell’ottica della “guerra asimmetrica”, vanno letti i raid dell’aviazione israeliana in Siria che, pur avendo causato numerose perdite (danni collaterali) all’Esercito Regolare siriano, non erano e non sono diretti contro Assad. Bensì a colpire la via ed i convogli che portano rifornimenti di armi iraniane – in particolare quei missili terra aria che tanti danni hanno causato agli israeliani nel conflitto del 2006 – agli sciiti libanesi di Hezbollah. Da tempo una delle peggiori spine nel fianco per Israele. Un attacco, quello di Gerusalemme, che h, però, anche il significato di mandare un chiaro segnale a quei “ribelli” anti Assad che sono legati al fondamentalismo sunnita e, come dicevamo, sponsorizzati dai wahabiti sauditi. Per questo, dunque, mentre Teheran ha reagito con durezza ai raid di inizio Maggio, parlando di dichiarazione di guerra e minacciando ritorsioni, Assad, da Damasco assediata, si è limitato a proteste di circostanza.
Sullo sfondo resta, indecifrabile, la politica di Washington. Ancora una volta, Barack Obama appare incerto su da farsi. Incerto, pur avendo sostenuto politicamente la rivolta, forse perché teme, non senza ragioni, una deriva “libica” della situazione siriana. Senza contare, poi, le pressioni diplomatiche di Mosca – tradizionale alleato degli Assad – e di Pechino, che teme la destabilizzazione dell’intero Medio Oriente con ricadute deleterie per i propri interessi economici.
* da Il Borghese