Nell’attuale decadenza occidentale occupa una posizione di primaria importanza quella anomalia comunemente chiamata cattocomunismo, ovvero, la stretta e quasi inestricabile commistione tra il moderno cristianesimo secolarizzato e postconciliare, con ciò che resta delle ideologie di sinistra. Insomma, parliamo di una sorta di paradossale marxismo cattolico finto pauperista di cui l’attuale pontificato di Bergoglio è una perfetta sintesi.
Tale coacervo, pur eterogeneo nei suoi elementi costitutivi, è comunque contraddistinto da una singolare coerenza negli atti promossi come nei risultati ottenuti. In aggiunta, la sua diffusione a livello di mentalità e senso comune è così pervasiva da essere assimilabile all’espandersi di un contagio, di un agente patogeno che nella sua infezione comporta danni non soltanto materiali, ma specialmente culturali.
Di questo parla il libro: Come guarire dal cattocomunismo di Renzo Giorgetti, storico e tradizionalista dalla caustica, quanto attendibile penna. Sono fornite in questo agile volume, di facile lettura ma sia chiaro non certo superficiale nella analisi, alcune preziose indicazioni per inquadrare il fenomeno cattocomunista nella sua natura patologica, come “malattia dell’anima” che colpisce contemporaneamente il singolo e la vita sociale di una Nazione, suggerendo inoltre, per mezzo di tale criterio interpretativo, anche validi spunti per una azione “terapeutica”.
Lo scritto in questione si caratterizza per il taglio prettamente storico-sociologico nell’affrontare il problema. Il “caso italiano”, rappresentato in buona sostanza dalla Azione Cattolica, è perfettamente enucleato in queste pagine dall’autore, il quale spiega così l’odierna condizione della stragrande maggioranza dei credenti: “In realtà ci si perde nel più totale immanentismo, in forme ormai secolarizzate che non riescono a vedere oltre l’ambito più strettamente immediato, trovando i migliori compagni di strada nelle analoghe forme degenerate del laicismo. Ogni differenza sfuma nella notte del relativismo, del perbenismo, dell’umanitarismo, del radical-chic, delle suggestioni new age” (33). Già da queste parole, è possibile comprendere che ci troviamo davanti a un ragionamento coraggioso, totalmente, e positivamente, immune dalla paura di essere censurato da quelli che noi da tempo consideriamo i benpensanti del progresso.
Scopi e identità del cattocomunismo
Giorgetti accompagna velocemente il lettore a identificare come lo scopo principale del cattocomunismo, nella odierna forma ancor più virulenta, sia quello di uniformare le menti: “Il livellamento che si propone oggi è subdolo, perché si cela dietro un velo di buonismo, di piagnonismo, di umanitarismo: così facendo si deprime il singolo contemporaneamente danneggiando anche la società” (8). È ovvio che l’autore sa bene che la maggior parte delle persone non conosce le origini di questo male. Pertanto, egli giustamente fornisce delle esaustive informazioni storiche sulla genesi di questo paradossale fenomeno, il quale porta assieme due mondi che in teoria dovrebbero essere antagonisti, ma che, sciaguratamente, in quella che i tradizionalisti sogliono chiamare la “Coda del Kali Yuga”, si trovano fusi in un unico deviante pensiero. Il cattocomunismo nasce nei primi anni ’40 del Novecento. Figura di spicco per la creazione di questo movimento fu Franco Rodano (1920 – 1983), allora studente universitario e membro della suddetta Azione Cattolica, che negli anni è stata una: “[…] mescolanza delle ipocrisie social-pretesche” e che: “darà infine origine a quella atmosfera melensa, dolciastra e velenosa che costituisce il senso comune ancor oggi dominante” (31-32). L’infausto impegno politico di Rodano fu capace di insinuare nella parte intellettualmente debole del Cristianesimo le sue personali convinzioni marxiste. Eppure, alla ideologia cattocomunista non sono state risparmiate critiche feroci; è il caso di Don Gianni Baget Bozzo. Questo enigmatico, ma pur sempre dotto sacerdote, non lesinò possenti bordate a quel gruppo di cristiani di sinistra che tentava e tenta tuttora di imporre la propria morale in Italia, stigmatizzandone non solo le storture, ma segnatamente la assurdità della loro stessa esistenza, quando: “un comunismo senza rivoluzione diventa omologo a un cattolicesimo senza cristianità” (31). In definitiva, Bozzo ci fa notare che quello che potremmo tranquillamente etichettare come il “peggio di due mondi” sta alla radice del processo di degenerescenza della Chiesa. Tale profonda crisi, che pare essere irreversibile, è causata da quello che in questo libro viene chiamato il: “dialogo con il mondo” (51). Ragionandoci su, non può non venire tosto in mente quello che sentiamo a ogni Angelus o predicazione bergogliana… via la teologia, in malora qualsivoglia richiamo ai doveri del fedele, e avanti, quasi a mo’ di un lavaggio del cervello, con una demagogia spicciola di peroniana memoria, ove non si chiede affatto di pregare seriamente – oramai pratica da reazionari – ma di accogliere, nonché di commiserare senza discernimento. Infine, tanto per ricondurre il tutto puntualmente a un dissacrante materialismo, il fatidico: “Buon pranzo”. Ragion per cui, Bergoglio dialogherà pure con il mondo, ma non certo con i cattolici!
Smascherare le menzogne del Potere
In questo volumetto di battaglia vi è una messa a nudo delle menzogne che ci propinano oggi i sedicenti buonisti. Già, poiché dietro il dogma della eguaglianza, si cela subdolamente quel “bastardismo universale” (39) tanto caro al Conte austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894 – 1972), latore del “Paneuropäismus”. Il semplice fatto che la teologia contemporanea possa rimandare anche solo lontanamente a una figura oscura, nel senso quasi tolkieniano del termine, come Kalergi ci dà il polso di una situazione a nostro avviso assai drammatica. Ciononostante, il coraggio che caratterizza questo libro pulsa insistentemente; in esso arde il desiderio di smascherare le bugie veicolate dal Sistema. In effetti, in molte chiese e parrocchie, invece di tentare di offrire al credente una corretta comprensione riguardo alla morigeratezza del Cristianesimo autentico, numerosi preti, in piena sintonia con Bergoglio, si perdono in: “[…] vaniloqui sui poveri, gli ultimi e i derelitti di ogni risma che dovrebbero essere dei privilegiati sic et simpliciter, addirittura protagonisti dell’insegnamento evangelico nonché destinatari di ogni cura e preoccupazione in maniera aprioristica” (54). E non importa nemmeno che questi “ultimi” siano cattolici, alla insegna di una manifesta volontà di contaminazione, la quale non può che portare all’annientamento della Chiesa stessa. Si spera veramente che nessuno voglia ciò, ma non pare che ci sia all’orizzonte un movimento di opposizione a tale deriva. Che il Vaticano diventi uno Stato come tanti, e il Cristianesimo materia di cinico dibattito politico e non spirituale, questo crea inevitabilmente una condizione di malessere nel fedele; e tutto ciò sta avvenendo davanti ai nostri occhi.
Ricordiamoci che parliamo di una pericolosa “malattia”
È comunque importante ricordare l’idea cardine su cui si basa la riflessione di Giorgetti e alla quale si è accennato all’inizio di questo scritto. Ovvero, che il cattocomunismo vada considerato alla stessa stregua di una malattia endemica, la principale patologia dell’Italia moderna, come viene indicato persino nel titolo del Primo Capitolo del libro (19), nel quale si illustra il perché sia necessario reputare il cattocomunismo un malanno sociale: “Avendo rilevato l’esistenza di un mondo mentale, psichico, altrettanto naturale e quindi ‘fisico” di quello comunemente detto materiale, si potrà altresì considerare l’esistenza di malattie riguardanti questa realtà, malattie che non avendo causa diretta in fattori concreti, abbiano un’esistenza tuttavia tangibile” (23). Non possiamo che condividere tale posizione, giacché questo “morbo invisibile” dal Secondo Dopoguerra in poi si è insinuato in profondità non solo nella cultura del nostro Paese, ma anche negli apparati dello Stato, i quali ritengono di potersi sostituire impunemente alla volontà del Popolo, in virtù di una auto-imposta conoscenza di ciò che è bene per il cittadino. In breve, parliamo della solita e insopportabile “superiorità morale” di quella parte minoritaria della Nazione, che tuttavia vuol contare più della maggioranza. E su questo argomento, possiamo consigliare un altro lavoro sempre di Giorgetti: Demofagia (Chieti, Solfanelli, 2017), in cui si spiega in modo articolato quello che Mark Twain (all’anagrafe: Samuel Langhorne Clemens, 1835 – 1910), quindi non un “pericoloso” sovranista, riuscì a racchiudere in poche e atrocemente vere parole: “Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare”.
Ogni scrittore che si rispetti, si sa, ha determinati vezzi, delle positive ripetizioni circolari di pensiero, e ciò vale pure per Giorgetti. Ecco, allora, ritornare anche in questo suo ultimo testo quella impellenza in lui di farci comprendere che viviamo in una grande e reiterata manipolazione: “Una delle idee più stravaganti è quella di possedere delle idee proprie, ma molto spesso l’unica cosa che si possiede veramente è solo l’illusione del loro possesso” (15-16). Nondimeno, la sua denuncia intellettuale ha valore precipuamente perché è ripetuta, dunque onesta e sincera, e non accennata con timidezza, come si evince chiaramente in questo passaggio: “L’uomo del nostro tempo crede di agire ma in realtà è agito” (15). Fa inoltre piacere, da studiosi di Italo Calvino, che la soluzione proposta contro il cattocomunismo nel volume qui analizzato sia la medesima che il romanziere sanremese aveva offerto così da essere più consapevoli verso la nostra esistenza. In altri termini, se per Calvino era necessario “riattivare la lettura visiva del mondo”, Giorgetti parimenti sostiene che solo osservando è possibile distaccarsi dal vortice del Pensiero Unico (16-17).
È ancora possibile guarire
In conclusione, Come guarire dal cattocomunismo potrebbe sembrare un testo che non lascia speranze, ma non è così. Difatti, in esso ci viene chiesto esclusivamente di renderci conto; forse tale “metanoia”, per dirla con Julius Evola, potrà pure risultare faticosa, ma ne vale decisamente la pena: “[…] essendo in questo strano malanno dell’anima la consapevolezza della malattia il primo passo verso la guarigione” (9). Possiamo dire che lo riteniamo un libro che serviva, come del resto è servita la superlativa serie televisiva di Paolo Sorrentino, The Young Pope (2016). E non è, si badi bene, un accostamento azzardato il nostro, giacché un saggio socio-politico e un telefilm si sono ritrovati parte di una unica e potente voce, ossia nell’essere dei sofisticati atti di una rivolta conservatrice, la quale ci sembra al momento l’unica forma di salvezza da quell’“abbraccio mortale” rappresentato dall’unione contro natura tra socialismo e Cristianesimo, che intende, ci spiega saggiamente Giorgetti, condurre a un: “[…] livellamento al grado infimo, alla negazione di ogni gerarchia delle qualità”(44).
*Come guarire dal cattocomunismo di Renzo Giorgetti Chieti, Solfanelli, 2018
Proprio perché contronatura, la fusione tra cattolicesimo e comunismo non porta a nulla di buono, anzi genera qualcosa di mostruoso. Purtroppo il cattocomunismo domina politicamente in Italia da almeno 60 anni, a causa della DC che nella Prima Repubblica prendeva voti a destra e faceva politica a sinistra, e con la sinistra. Dopo tutto questo tempo non è facile eliminare questo virus, che si è diffuso in ampi strati della popolazione e infettato la società.
Deve essere interessante, grazie per la segnalazione. Io intanto continuo a partecipare alla messa vetus ordo fregandomene bellamente del bergoglismo. Tanto i papi passano, la cattolicità resta.
A colpi di verità, non stancandosi di raccontare e scrivere le mostruosità del cattocomunismo…