Dopo due esordî modesti, nei quali si volle tentare di portar la sulfurea maschera verso un patetismo piccolo-borghese, il grande cinema di Totò incomincia con San Giovanni decollato, del 1940. La genialità di Amleto Palermi, il regista che con Cesare Zavattini scrisse anche la sceneggiatura, fu d’integrare la commedia di Nino Martoglio con aggiunte perfettamente atte al personaggio del sommo attore, per il momento solo prestato al cinema dalla rivista, della quale era, e restò, non il re, l’imperatore.
Martoglio era nato a Malpasso, vicino Catania, paese poi trasformato nell’eufemistico attuale Belpasso. Morì nel 1921, quando Totò aveva ventitré anni. Aveva solo cinquantun anni, onde è possibile che se l’avesse conosciuto i due si sarebbero intesi. L’attore favorito del commediografo era Angelo Musco, il quale fu l’interprete della prima versione de Il berretto a sonagli di Pirandello, in lingua agrigentina col titolo de ‘A birritta c’ ‘e ciancianeddi. Dunque un filo tra Martoglio e Totò esiste; ed è l’assurdità e l’incomprensibilità del reale, che Pirandello filosoficamente canta e Totò rappresenta già solo col suo volto. Martoglio di Pirandello era a sua volta amico, e scrisse con lui due testi teatrali in siciliano; ma a conoscere il suo teatro va dichiarato uno della prima sfera del nostro Novecento. La vivida rappresentazione della realtà contadina, con la sua grettezza, ha qualcosa degno di Verga; e così i contrasti fra le classi sociali, il suo ritratto della borghesia. Vi aggiunge un talento comico straordinario; e mi pare che la ricchezza della sua psicologia sia tale da renderlo capace di rappresentare la tragedia della vita anche nelle occasioni ove il riso più si scatena.
Uno dei suoi capolavori è L’aria del continente. Si può vederlo anche adattato in un film con Angelo Musco e in una registrazione televisiva del 1970, il protagonista della quale, con una fantastica compagnia nella quale campeggiano Ave Ninchi e Umberto Spadaro, è un altro gigante del palcoscenico, Turi Ferro. In questa registrazione la parte del ragazzo Michelino è sapidamente interpretata da Pippo Pattavina. Oggi ottantenne, Pattavina è uno dei mostri sacri del teatro; trovo difficile di questi tempi affiancargli un altro attore. Il grande attore tragico è di regola anche un grande attore comico, ma non sempre accade il reciproco. E Pattavina sa essere tragico in Molière e Pirandello, fantastico nell’avanspettacolo, da erede di Totò e dei De Rege, e da protagonista comico riempie la scena come pochi altri. Se fosse stato un baritono non avrebbe avuto rivali quale interprete di Mustafà e Don Magnifico, ne L’italiana in Algeri e la Cenerentola di Rossini. E adesso Cola Duscio, il protagonista de L’aria del continente, è lui.
Porta la commedia in giro per tutta la Sicilia. La mia passione pirandelliana me lo ha fatto inseguire ad Agrigento, al Teatro Pirandello. Quello scorso sabato sulla via che da Palermo mena a Girgenti nevicava, e nella nobilissima città greca ho provato un freddo tale da rinunciare, vilmente, a visitare la Valle dei Templi. Ma il pubblico, che come me indossava il cappotto, era inchiodato alle poltrone; a poco a poco il calore della rappresentazione è penetrato in ognuno di noi. E mi piace testimoniare di un senso dell’ospitalità antico e scomparso: alle due di notte mi alzavo dopo aver magnificamente cenato alla trattoria “Ruga Reali” e non si trovava un tassì. Il proprietario-chef, senza dire una parola, mi ha accompagnato fino alla Valle dei Templi, ov’era il mio albergo.
Cola Duscio è un ricco proprietario della provincia catanese. I suoi congiunti sono ipocriti e moralisti. Si scandalizzano quando egli, dopo un soggiorno a Roma di qualche mese, si presenta al paese con una “distintissima signora romagnola” che si fa chiamare Milla Milord. Duscio non solo se n’è innamorato, ma pretende, respirata “l’aria del Continente”, di aver acquisito, anche grazie a lei, una mentalità aperta e moderna che vorrebbe imporre a familiari e compaesani. Non riesce che a rendersi ridicolo, oltre che scialacquatore; ed è costretto e tenersi le corna che gli mettono non solo gli amici del circolo, ma anche cognato e nipote: i quali solo a questo effetto si continentizzano pur essi. Alla fine si scoprirà che la donna si chiama Concetta, è una stonata canzonettista e nativa del paesello di Caropepe. La commedia fa ridere dall’inizio alla fine; ma, ripeto, sotto il riso ha un contenuto tragico. La viltà dell’uomo innamorato. La viltà dell’uomo anziano innamorato. Il bisogno d’illudersi dell’uomo anziano, ch’è poi la necessità d’illudersi che ha ogni uomo per attraversare la dura realtà dell’esistenza. La stessa Milla Milord è una vittima: una sventurata costretta eroicamente a fingere per sopravvivere. Il capolavoro di Martoglio è un apologo sulla vita stessa.
Pattavina è così intelligente da evitare i toni ombrati e melancolici di Turi Ferro; e si tiene a pari distanza dall’inconfondibilità di Musco, la quale nasce dalla fisionomia-maschera di quel genio. Parte dall’estroversione, quasi dal grottesco; e conquista a passo a passo una dolente umanità. Impartisce una lezione di teatro di tale altezza che il suo spettacolo dovrebbe girare in tutta Italia; e mi auguro che ci sia un circuito così perspicace da accoglierlo; e anche da fargli rappresentare Il berretto a sonagli: dopo Randone e Ferro non credo un altro oggi possa eguagliarlo. Non parlo a caso: guardate che versione mediocre ne hanno fatto Eduardo De Filippo e Paolo Stoppa, che pure sono quel che sono.
Di questo allestimento Pippo è anche abilissimo regista. Se si eccettua Santo Pennisi, altro sperimentato, finissimo attore maturo, egli si è tirato su con l’insegnamento una compagnia quasi solo di ragazzi. Sono così bravi che debbo ricordarli tutti. Sono Claudia Bazzano, Aldo Toscano, Cosimo Coltraro, Claudia Sancani, Luciano Fioretto, Anna Nicolosi, Federica Amore, Luca Micci, Antonio Marino, Giovannino Vasta. Lunga vita al grande vero teatro!
*Da Libero Quotidiano del 5.3.2019