Che possa piacere o meno, non vi è dubbio che la serie di Suburra vada considerata un fenomeno cinematografico di successo, lo dimostra la grande affluenza da parte della Stampa al momento della presentazione presso la Casa del Cinema di Roma il 20 febbraio della seconda stagione della fortunata produzione italiana da parte di Netflix. In questa occasione, sono stati mostrati i primi due nuovi episodi della serie, la quale debutterà ufficialmente per gli abbonati della sempre più potente piattaforma digitale americana il 22 febbraio.
Torniamo subito da dove siamo partiti, per dire che questa tendenza, oramai dilagante, nel romanzare la delinquenza locale, sino a mitizzarla, ci lascia sufficientemente inquieti. Nulla da eccepire sulla qualità intrinseca del prodotto – di questo si parla sia chiaro, poiché l’idea di portare avanti un qualsivoglia messaggio in questo genere di opere non esiste minimamente – la fotografia è ricercata, la narrazione scorre via in modo coinvolgente e tutto il cast, benché manchi il nome di grido, recita ottimamente; ma non sta qui il problema.
Questa serie, tratta dall’omonimo romanzo (2013) di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, è tutta incentrata nel mostrare dei personaggi squallidi e senza alcuna vera caratura, alle prese col tentativo di “prendersi Roma”. Ciò impone delle domande con le quali il giornalista può forse evitare di confrontarsi, ma lo studioso no. Gli autori pensano probabilmente di aver elaborato una trama sul prezzo del potere, questo sembra essere il tema esplicito degli otto episodi che compongono la seconda stagione (alla regia ci sono Andrea Molaioli e Piero Messina), ma, purtroppo, così non è.
La storia riparte dai giorni che precedono la elezione del futuro Sindaco di Roma, con gli intrighi che legano criminalità organizzata, politici venduti e, addirittura, la Chiesa. Eppure, di quello che Massimo Carminati definì il “Mondo di Mezzo” non vi è traccia, autentica riflessione. Sarebbe a dire, che in questo tipo di produzioni vediamo principalmente dei bulli senza arte né parte che maneggiano la rivoltella per darsi un tono. Da Romanzo criminale a Suburra, passando per Gomorra, cambiano solo i personaggi e il contesto, ma non la volontà di sfruttare la cronaca, con tutta la sua morbosità, in modo da proporre al pubblico un qualcosa che a nostro avviso suscita alcuni dilemmi etici. Ad esempio, come sempre manca la polizia o quando c’è, come nel caso di Suburra, è rappresentata da personaggi corrotti e meschini. Non vogliamo ovviamente scivolare in inutili moralismi; purtuttavia, non è che queste serie ci offrano figure della levatura di un Vito Corleone o di un Tony Montana, che poi, per dirla tutta, sono diventate delle icone originali della Settima Arte, non essendo “ricicliate” direttamente dalla cronaca nera, bensì il risultato di un abile processo creativo. Verrebbe da chiedersi, ironizzando un po’, se il suddetto Carminati possa rivendicare qualche diritto di autore nel caso di Suburra. Già, Carminati o meglio il Samurai – anche qui, associare il simbolo per eccellenza della tradizione militare nipponica a un delinquente incallito è quanto di più infelice si possa concepire – noi ce lo immaginiamo nella sua cella a bearsi nel sentirsi chiamare il: “Re di Roma”. Cosa dire inoltre di certi poster che girano della serie con i più celebri motti della Antica Urbe e accostati ai volti di Spadino & Co.? Cesare e Augusto sarebbero d’accordo?
Riteniamo di essere stati molto schietti fin da subito nel nostro ragionamento, nell’affermare che ogni tanto è doveroso porsi degli interrogativi. Domandiamoci allora, queste serie sono latrici di una proposta sociale irricevibile? E non ce lo chiediamo soltanto noi, giorni fa una trasmissione su Rai Scuola ha affrontato per l’appunto questa problematica. Invero, il sopracitato Tony Montana è palesemente un personaggio irreale, per coloro che amano l’utilizzo dell’inglese a sproposito potremmo dire fictional, essendo egli un suggestivo antieore alla ricerca della dannazione quale paradossale forma di redenzione. Don Corleone, dal canto suo, è altrettanto meravigliosamente “falso”, la ieraticità conferitagli da Coppola vi ricorda in qualche modo un bifolco come Riina? Questi qua invece sono “presi dalla strada” in tutti i sensi. I nostri figli e nipoti devono perciò crescere vedendo dei coatti tatuati che tirano fuori la pistola per impaurire l’avvocato, il commerciante, ecc., e il cui unico svago è farsi di cocaina?
Concludendo, Suburra può essere fatto bene quanto volete; ciononostante, il raccontare in modo compulsivo vicende ove a dei teppisti viene conferito dello spessore è a parer nostro grave. Se poi pensiamo che queste storie sono il frutto delle solerti penne di magistrati o ex-magistrati e, talora, prodotte pure da “Mamma” Rai, beh, per coerenza si aboliscano quindi i telegiornali, giacché non si può essere talmente cinici e, diciamocelo, ipocriti, che prima si mandano in onda le notizie sulla bruttezza insita nell’essere umano, sperando che ciò funga da deterrente, e immediatamente dopo si mostrino le caricature di quegli stessi loschi individui in modo romanzato e per giunta senza una loro netta connotazione quali malfattori dalla testa ai piedi.