È sempre più crisi istituzionale in Sicilia. I consigli provinciali di Catania e Caltanissetta, in aperta contestazione al provvedimento di Rosario Crocetta, che sancisce l’abrogazione delle Province regionali (in Sicilia hanno questa dicitura), si auto-convocano ad oltranza. Una forma di protesta, definita “anomala” da Patrizia Valenti, assessore regionale alle autonomie locali, che ha inoltre ammonito: «Qualsiasi atto deliberativo assunto in questa fase può essere annullato».
Sono più di una però le motivazioni che hanno portato i consiglieri etnei a riunirsi a oltranza, disobbedendo al governo autonomo isolano. Nunzio Perrinello del neonato Articolo 4 di Lino Leanza che alla Regione sostiene Rosario Crocetta, ha spiegato: «Oramai parlo da cittadino, siamo stati esautorati prima della scadenza naturale senza che vi fosse un decreto specifico. Ora tutte le nostre competenze passeranno nelle mani dei commissari. Sono stati nominati generali ed ex prefetti: ricordo che queste figure servivano nei comuni sciolti per mafia. Inoltre si sta optando per dei commissari unici a cui spetterebbero le prerogative dei consigli. I controllati diverranno controllori. Questa non è democrazia». Inoltre – ha aggiunto Parrinello – questa riforma non porterà alcun risparmio: «Anche perché quale sarà il destino dei dipendenti della Pubbliservizi, la nostra prima partecipata, e delle centinaia di lavoratori della stessa Provincia? Non si sa. I dubbi restano pure su chi dovrà occuparsi della manutenzione delle scuole e delle strade. Una vera riforma sarebbe dovuta essere concertata per tempo».
Intanto l’intera legge che disciplina l’abrogazione delle provincia è stata impugnata ai Tar di Catania e di Palermo su iniziativa bipartisan dei consiglieri Giacomo Porrovecchio (Idv) e Claudio Milazzo (Pdl), con la consulenza legale dei costituzionalisti Felice Giuffré e Ida Nicotra, di recente nominata tra i “saggi” che dovranno riformare la Carta fondamentale della Repubblica. In una intervista rilasciata al quotidiano on line LiveSiciliaCatania, la Nicotra ha spiegato diffusamente i dettagli del ricorso presentato: «In primo luogo la questione riguarda i decreti di commissariamento. Sia chiaro, la figura del commissario è già prevista dalla legge, ma solo in determinati casi. Ovvero, quando si verificano delle gravi anomalie, come la mancata approvazione del bilancio o quando vi è la cessazione del mandato di sindaco o dei presidenti delle provincie». Nel merito degli attuali commissariamenti – ha aggiunto Nicotra – «il problema è che questi non avvengono in vista di regolari elezioni, semmai dell’abrogazione degli stessi enti. C’è dunque un utilizzo improprio di questo strumento»
Ma è sulla sostanza dello stesso provvedimento di abolizione delle provincie che il giudizio della costituzionalista è perentorio: «Noi riteniamo che la legge 7/2013 sia incostituzionale. Con la riforma del titolo quinto della Costituzione, nell’articolo 114 è scritto che le province, al pari di regioni, comuni e Stato, diventano enti costitutivi della Repubblica. In questi anni la Corte costituzionale ha più volte sottolineato come questi enti abbiano pari dignità. Quindi fanno parte di un principio di articolazione della struttura repubblicana. Questo principio è valido per tutte le regioni, anche per quelle a statuto speciale. Per abrogare le provincie si sarebbe dovuto ricorrere – ha sottolineato – ad una legge costituzionale».
Il terzo rilievo mette in dubbio, invece, i futuri meccanismi che dovrebbero regolare le elezioni all’interno dei liberi consorzi che dovranno sostituire le province regionali: «La regione siciliana è stata la prima che ha consentito l’elezione diretta di sindaci e dei presidenti delle province. Prima di allora queste cariche venivano elette all’interno dei consigli, attraverso le cosiddette elezioni di secondo grado. Questa novità è partita dalla Sicilia ed è stata ripresa poi a livello nazionale. Con la legge 7/2013 si ritorna invece al vecchio sistema, espropriando il cittadino del diritto di scegliersi direttamente i propri amministratori. Anche qui – ha concluso la Nicotra- c’è una violazione rispetto alla Costituzione, dove l’autonomia degli enti si misura anche in base alla loro democraticità, del loro alto grado di rappresentatività della collettività».