Dalla Manovra giallo-verde al futuro delle destre in Europa, passando per la geopolitica con l’indecifrabile scacchiere siriano e la scatola di sabbia, gas e petrolio libica. Ecco per Barbadillo.it le riflessioni di Marcello De Angelis, già parlamentare, giornalista e analista di politica nazionale e internazionale, autore del saggio Cosa significa essere di destra oggi (Pellegrini editore).
E’ stata appena approvata la “manovra del popolo”. La linea è quella di redistribuire risorse alle fasce sofferenti. Come si può commentare “da destra” questa finanziaria?
“Questa abitudine di dare nomignoli carini alle proprie iniziative legislative è molto inelegante… la Buona scuola, il salva Italia, il decreto dignità… Sicuramente non è la manovra del popolo perché il popolo – categoria che dovremmo definire un po’ meglio, comunque – non è stato coinvolto nella sua elaborazione. In italiano potrebbe essere più accettabile “manovra PER il popolo”, se è questo che intendeva, con le migliori intenzioni, colui che ha battezzato la manovra.
Dopo tante polemiche alla fine il provvedimento che è stato varato è una manovra piuttosto semplice. La definirei una “manovra ponte” o una manovra “andando vedendo”. E non so se il governo, considerando la sua genesi, potesse permettersi altro che questo. Doveva dare il segnale che le promesse elettorali (dell’uno e dell’altro) non erano solo fuffa. E per il movimento 5 Stelle, con il suo annuncio di “abolizione della miseria”, era un’impresa non semplicissima. Un lancio del reddito di cittadinanza era inevitabile. Le misure contenute nella manovra non sono un punto di arrivo ma un primo passo, quindi bisognerà vedere che effetti avranno, se saranno sostenibili. La flat tax applicata alle partite IVA entro un decoroso tetto di reddito è anch’esso un buon segnale verso la realizzazione di un fisco che non strozzi i professionisti e le imprese, così come le altre misure in campo fiscale. La quota cento per le pensioni disinnesca formalmente la catastrofe epocale della legge Fornero, ma è una manovra che bisognerà giudicare tra qualche tempo.
Gli investimenti per il dissesto idrogeologico, sacrosanti, sono anche loro frutto di una grave emergenza che si protrae da troppo tempo e che, con gli evidenti cambiamenti climatici che ormai sono consolidati nella nostra area geografica, non si può veramente più lasciare senza risposta”.
Reddito di cittadinanza. Ne parlava positivamente Pino Rauti anni fa. Fdi e Fi lo osteggiano a prescindere. In altri paesi europei c’è.
“Al di là delle teorie, che sono spesso belle quando non vengono messe in pratica, a me il reddito di cittadinanza così come è stato proposto e come, con continue modifiche, si inizia a realizzare, sembra piuttosto fumoso. Il problema delle riforme in Italia è duplice: da un lato se non si prova a cambiare radicalmente si va avanti per inerzia, dall’altro, essendo tutto collegato e tutto sbagliato, il rischio è che quando si cerchi di introdurre un cambiamento forte in uno specifico ambito, si crei un effetto domino, almeno in sede di bilancio”.
Verso le Europee. Che quadro si va delineando tra le grandi famiglie europee?
“Francamente non mi è chiaro. A parte le due grandi famiglie storiche popolari e socialdemocratiche, che avevano un dna abbastanza condiviso, le altre aggregazioni, in particolar modo quelle che si definivano o venivano definite di destra, sono sempre stata motivate da necessità tattiche o tecniche. Non vedo perché dovrebbe andare diversamente questa volta. Il Parlamento europeo ha dei regolamenti e dei meccanismi che rendono inevitabili gli accorpamenti. A volte ci sono convivenze impossibili o scelte obbligate”.
La Lega con la Le Pen, Fdi con Fitto e i conservatori. Come si spiega questo trend?
“Il movimento di Marine Le Pen e quello di Salvini sono le realtà più simili e con i numeri maggiori, è scontato per entrambe unire prioritariamente le loro forze e valutare semmai in seconda battuta se accettare altri partner. I percorsi elettorali di Fdi sono logicamente condizionati dal problema molto serio dello sbarramento al 4 per cento. Primum vivere…”.
Lo sbarramento al 4% porta a una ri-aggregazione a destra. Potrebbe favorire intorno alla Meloni?
“L’imbarcare “rappresentanti” non sempre significa aggregare elettori. E mettere insieme realtà che non hanno un progetto comune ma che sono costrette ad aggregarsi perché da sole non vanno da nessuno parte non mi sembra un investimento che dia grandi garanzie di durata. Si è già visto in passato, anche con An. L’elettorato non è più legato come una volta a delle specifiche personalità, quindi la somma di Tizio che aveva diecimila voti, più Caio che ne aveva cinquemila, più Sempronio che ne aveva ventimila , in un contesto politico così radicalmente modificato come quello attuale, non fa necessariamente trentacinquemila voti. Gli italiani votano in base all’ultima notizia del telegiornale, o perché non vogliono più sentire gli stessi discorsi che li hanno ammorbati per cinquant’anni. I candidati sono importanti se rendono verosimile la realizzazione di un progetto, ma non credo che bastino più i nomi e i volti. Fratelli d’Italia ha bisogno di un modello, una identità e un progetto percepibile che permetta agli elettori, a tutti gli elettori, di giudicarlo differente dagli altri e quindi scegliere questo movimento rispetto agli altri per delle ragioni che possano durare nel tempo. Deve far capire agli elettori perché si dovrebbe votare Fdi anziché altri partiti, movimenti o personaggi che oggi, con la comodità dell’andare nel senso della corrente, possono dichiararsi “sovranisti” (che di per sé non significa nulla) senza nemmeno dover dimostrare che lo sono, perché si tratta di una pura dichiarazione di intenti. Per consolidare un consenso e farlo crescere ci vuole di più della oggettiva e indiscussa capacità comunicativa e della credibilità di Giorgia Meloni, che nessuno può negare”.
La rivista Logos ha riunito accademici sovranisti di tutto il mondo. A che punto è l’elaborazione di una cultura alternativa al tempo del governo giallo verde?
“Ci troviamo in una situazione molto simile a quella che si è realizzata all’indomani della vittoria inaspettata e non programmata della “non sinistra” del 1994. In Italia succede. La cultura, l’accademia, i media, remano tutti nella stessa direzione per decenni, organicamente e sistematicamente. Ma poi gli italiani fanno il contrario di quello che ci si aspetta da loro e inconsapevolmente fanno delle piccole rivoluzioni che cambiano gli assetti di potere e costringono tutti gli addetti ai lavori a corrergli dietro per dare un senso o una spiegazione a quello che è successo.
Dopo la nascita di quella cosa che, in mancanza di definizioni adatte, un lessico condiviso, un quadro dottrinario di riferimento, venne chiamata “centrodestra”, ci furono frotte di “addetti ai lavori” che più o meno in buona fede si impegnarono per cercare di dare una struttura, un ordine, una permanenza a un complesso di idee di riferimento di questo nuovo fenomeno che l’intellighenzia aveva spocchiosamente liquidato come una accozzaglia politica, ma che non era certo per questo meno reale e meno in grado o almeno meno responsabile di fare delle cose da cui dipendeva il destino di milioni di persone.
Ora succede la stessa cosa: ci sono delle nuove cordate e delle nuove personalità, che non si è ancora capito bene come e perché hanno espugnato il potere da quelli che lo detenevano prima e, a parte tre quattro parole d’ordine, due slogan e soprattutto un chiaro e motivatissimo rigetto per quello che rappresentavano quelli che dominavano in precedenza, non hanno nemmeno avuto loro stessi il tempo per chiarirsi cosa vogliano e che visione hanno del futuro. Insomma, c’è un nuovo potere ma che non ha una ideologia e nemmeno una dottrina, forse nemmeno un programma, una visione e una lingua comune. Un titano appena nato e che non ha ancora imparato a parlare, non ha esperienza e non sa bene cosa vuole. Potrebbe essere un bel soggetto per un racconto omerico”.
Rai, media tradizionali e web. Dove c’è maggiore spazio per elaborazioni libere contro il pensiero unico?
“Difficile dirlo. Certo è che dobbiamo smetterla di trastullarci con questa idea del pensiero unico, che rischia di essere un mito che giustifica la propria incapacità di rendere visibile una visione del mondo alternativa ma, soprattutto, di viverla. La realtà ci dimostra che l’egemonia di questo famoso “pensiero unico” è in crisi e che semmai il problema è che a questo colossale sepolcro imbiancato che si sgretola nessuno ha ancora qualcosa di dignitoso e riconoscibile da proporre come alternativa. Voglio dire: è ovvio che adesso nei media tradizionali e in Rai ci sarà un fenomeno di affrettate conversioni di massa al sovranismo (il che, ripeto, è facile, perché per farlo basta semplicemente dirsi sovranisti) ma è un fenomeno al quale abbiamo già assistito: si chiama trasformismo. In molti cercheranno di capire quali sono le parole d’ordine che piace sentire al nuovo potente di turno e assisteremo ad un concerto dodecafonico di sovranismo in tutte le salse. Sul web sono perplesso. Il web ha prodotto e fatto esplodere il movimento 5 stelle, che come appare evidente anche ai propri rappresentanti parlamentari è una realtà politica virtuale, dove quel poco che c’è è così vago e così evanescente che c’è posto per tutto e il suo contrario o anche di più. Dal web può venire qualcosa di vasto e anche deflagrante, ma nulla che possa durare o mettere radici: è nella natura stessa dello strumento. La politica italiana ha bisogno di nuovi blocchi di marmo, non di “mi piace””.
Uno sguardo al Medio Oriente. Trump ritira le truppe dalla Siria. Che scenari?
“E che ci restava a fare in Siria? Gli Usa hanno fatto di tutto per destabilizzare e mantenere in un conflitto permanente la regione, pensando però di dare a bere all’opinione pubblica mondiale che erano lì per portare benessere, democrazia e pace. Ora non ci crede più nessuno a questo film, anche se ci sono migliaia di giornalisti pagati per continuare a raccontarlo. Gli Usa hanno fatto numerosi errori di valutazione: sulla tenuta di Assad, sul ruolo che poteva giocare l’Iran, sulle scelte strategiche della Russia. In realtà sia le scelte dell’Iran che della Russia sono state forzate proprio dagli americani e dai loro alleati. Fatto sta che il Califfato, sulla cui nascita, sviluppo e funzione c’è ancora tutto da chiarire, ha fallito la sua impresa. In Siria ha vinto Assad e gli Usa non sanno nemmeno più esattamente da che parte dovrebbero stare o contro chi. Meglio tirarsene fuori. Gli americani però sono degli ottimi programmatori. Quando si rompono il muso si fermano un attimo, studiano, cambiano paradigma e fanno un altro piano, che lanciano in tempi molto rapidi e portano avanti con grande determinazione. Attualmente per loro le cose sono molto confuse, anche, ritengo, per la vittoria di Trump, alla quale non erano preparati. Ma alla fine negli Usa prevale sempre l’interesse nazionale, quindi non resteranno inattivi a lungo”.
L’Italia in Libia: quanto sta difendendo l’interesse nazionale il governo Conte nella querelle libica?
“L’Italia per difendere il proprio interesse dovrebbe sbarcare in Libia seriamente e proporsi o imporsi come unico interlocutore. Questa sarebbe l’unica soluzione possibile per noi, per loro, e per il Mediterraneo, sia in termini di sicurezza che di sviluppo economico e sociale. Ma non ci sono ancora le condizioni. I cambiamenti non si realizzano in pochi mesi e bisogna soprattutto capire che in politica, ancor di più nella politica internazionale, anche gli altri giocano la loro partita. Abbiamo concorrenti determinati e a volte persino feroci, cambiare le cose non sarà né facile né indolore”.
Ha un libro in uscita nei prossimi mesi?
“Idee di libri più d’una, ma devo fare una scelta su quale finire. Ho quasi sempre scritto o pubblicato cose sbagliando o anticipando troppo i tempi, col rischio che sembrino scollegate dalla realtà. Vorrei cercare di azzeccare meglio i tempi e focalizzare l’argomento. Chissà che una volta tanto non mi riesca.
Ci troviamo in un momento in cui c’è un violento turbinio di foglie morte, che volano da tutte le parti e fanno anche un gran rumore, impediscono di guardarsi bene intorno. C’è chi le scambia per uccelli, chi pensa che siano ancora vive e attaccate ai rami… Insomma, sarebbe assolutamente necessario fare chiarezza. Ma come ci ha ben insegnato Platone con il mito della caverna, se per accidente ti trovi ad avere l’opportunità di vedere che la realtà che tutti vivono è falsa, che il mondo vero è fuori dalla caverna e completamente diverso e torni dentro a dirglielo, c’è il rischio che ti prendano per pazzo o ti prendono a sassate. Quindi prima di tutto bisogna accertarsi che ci sia qualcuno che le cose che hai da dire vuole sentirsele dire. Poi scegli bene le parole e le immagini e, se sei capace, confezioni una bella storia”.