Ci si trova facilmente soli proprio in quei momenti in cui condividi un evento luttuoso come questo, quando sei in classe e guardi negli occhi i tuoi studenti. Quando non senti la serenità e lucidità per riprendere in mano racconti e libri, e sei appesantito da quella noia inquieta tipica delle ultime ore del sabato, quando sia tu sia loro non vedete l’ora di dire “è finita anche questa settimana”. Quella noia per cui è lecito, e solo per lei, morire a scuola a sedici anni.
Oggi non ero sereno. Sei lontano dalla tua terra, dove hai vissuto per trentacinque anni con qualche interruzione momentanea, e un sabato mattina di mezza primavera leggi di una bomba a Brindisi all’ingresso di una scuola con una studentessa morta. Ecco mi sentivo devastato due volte: la prima perché era successa in Puglia, la seconda in una scuola.
Ti senti solo e chiedi un consenso, anche uno sguardo a quei quattro colleghi che passeggiano nei corridoi. Ti senti solo e chiedi in dirigenza un minuto di silenzio alle ore 12. Ti senti solo e chiedi aiuto al breve trillo della campanella che suona irritualmente a mezzogiorno. Mezzogiorno, non solo una dimensione oraria, ma anche territoriale. Ti senti solo, anche perché mesi prima ministri e gente comune ti hanno reputato uno scansafatiche solo perché professore. Eppure entri in classe e non hai la forza di sederti. Guardi i tuoi ragazzi e pensi alle ragazze di Brindisi, e te ne fotti delle formalità e richiami la loro attenzione e gli chiedi di alzarsi perché non si può non condividere tutta questa solitudine… Non puoi non esorcizzare la paura che ti porti dentro, quando non sai chi è il tuo nemico, quando senti che ti strappano il futuro…
Straniante è il moto, tutto mentale, di ricerca dei colpevoli. Di queste ombre divoratrici di vite umane, che proprio perché ombre, proprio perché non identificati e proprio perché sei solo in questa paura, allora le chiami manicheisticamente “male”. Una scuola dedicata alla compagna del giudice Giovanni Falcone, guarda caso morto vent’anni addietro, Francesca Morvillo; una scuola quasi del tutto femminile, un istituto professionale per i servizi sociali, che ha vinto un premio per la legalità con un video dove le ragazze ci mettevano la faccia, la loro; una città come Brindisi, il limite della via Appia, che accoglieva la carovana antimafia per celebrare le recenti retate contro la Sacra Corona Unita, la mafia de cherre’ venne’. Troppi, tanti dettagli che ti portano alla mano mafiosa, eppure l’eccedenza di coincidenze non porta mai ad automatiche a delle corrispondenze, anzi ti porta più ad escluderle. Quindi ti ritrovi a condividere con i tuoi ragazzi un ricordo di vent’anni fa, quando ragazzino lavoravi nella bottega del barbiere di tuo padre, per guadagnarti la paghetta settimanale, che si aggirava spesso sulle dieci mila lire per viverti una domenica da pascià con i tuoi coetanei nelle sale giochi. Un ricordo di un sabato sera, quando un cliente entrò esclamando: “A Palermo sparano i fuochi d’artificio. Grandi botti”.
Fuori da scuola, fuori nel mondo, passeggiando per le vie di una Pordenone, quasi leopardiana da sabato del villaggio, che si riempie di giovani e adulti che consumano il rito di uno spritz. Ecco fuori tu che capisci perché si è soli e non hai più paura. Quando ai piedi della Prefettura cittadina, con uno sparuto gruppo d’insegnanti e di studenti che avevano coscienza del momento, ti rendi conto che siamo divisi, separati, una somma oscura, ombrosa d’individualità. Un individualismo complice e omertoso. Capisci e non hai più paura. Sai perché hanno voluto colpire quella scuola. Sì, io lo so. Io lo so perché lo hanno fatto. Hanno voluto portarsi avanti il lavoro. Sanno che sono proprio loro, i giovani, gli studenti, che gli spazzeranno via dalla faccia della terra. Eppure un frammento di Plutarco emergeva dalla memoria: la morte dei vecchi è un approdare al porto, quella dei giovani è un naufragio. Ora so che dobbiamo riprendere la rotta. Da soli.