Percorrendo la Civitanova – Foligno l’uscita Muccia è solo a pochi minuti da Macerata, una manciata di chilometri che sembrano però separare due mondi. Infatti dal borgo sullo svincolo e in avanti per circa venticinque chilometri fino al confine ogni paese è transennato e il suo centro segnalato come inagibile. A due anni dalle scosse che hanno messo in ginocchio l’Italia centrale località un tempo perla storica e turistica sono oggi zona rossa e i loro abitanti concentrati in piccoli villaggi fatti di moduli abitativi “con vista” sulle rovine delle vecchie case.
“Ci sentiamo abbandonati e schiacciati” – spiega Tiziana dell’Orso, signora romana che vent’anni fa si è trasferita a Castel Sant’Angelo sul Nera per vivere una vita più a contatto con la natura e che oggi è sfollata nel campo di Pieve Torina (MC) “Pare che tutti gli occhi siano concentrati su altre emergenze come l’immigrazione e il ponte di Genova, quasi si tratti delle uniche tragedie che il Paese viva. E invece no, perché tre regioni sono state menomate da un terremoto che ha cancellato interi borghi dei quali ormai non parla più nessuno”.
A schiacciare, poi, è la burocrazia che per coloro i quali vivono in condizioni di disagio come i terremotati è esasperante. Un’esasperazione che ha portato alcuni a perdere la fiducia nel futuro fino al compiere gesti estremi. E’ l’esempio dello sfollato di Alba Adriatica che ai primi di maggio si ucciso lanciandosi dalla finestra: fra i motivi che lo avrebbero spinto al tragico gesto i tempi eterni per la delocalizzazione dei B&B di cui era titolare in uno dei comuni colpiti e che rappresentavano la sua principale forma di reddito.
“Chi aveva un’attività in zona – afferma Tiziana – è riuscito a darle continuità nei container trasformati in bar, supermercato o altri esercizi che servono il nostro villaggio ma per gli altri è dura: a meno che non si abbia un impiego in zona ci si sente ancor più impotenti e privati di quella dignità e di quella speranza che solo il loro può garantire”.
Per chilometri il silenzio è interrotto solo dal passaggio di qualche auto o dai motori delle escavatrici. Ad Arquata del Tronto e nelle frazioni di Piedilama e Petrare non è difficile vedere in azione le braccia meccaniche, soprattutto quelle del 6° Reggimento Genio “Pionieri” fra le prime unità schierate nelle aree colpite dal sisma, dove il loro compito è l’abbattimento di strutture giudicate irrecuperabili.
“Non siamo noi a giudicare se un edificio debba essere abbattuto o meno – spiega il Capitano Lizzi – poiché passiamo all’azione solo dopo uno scrupoloso confronto con le autorità locali, con i proprietari delle abitazioni e, nel caso di opere di valore storico-artistico, inseguito ad attenta analisi degli specialisti del Mibact”. Benna per ciò che è a terra, pinza per ridurre, pezzo dopo pezzo, muri pericolanti. Ci si ferma solo davanti all’eternit:
“Importante – continua il Capitano – è evitare che l’amianto si sbricioli. Con noi opera una squadra di tecnici che si occupa della sua rimozione”.
Dalle pareti che la scossa ha squarciato si notano ancora oggetti che ricordano la vita quotidiana degli occupanti e che i proprietari possono a loro discrezione recuperare. Un’operazione delicata perché è difficile dividere quel che occorre da ciò che ha un valore affettivo.
“Non è facile anche per noi – afferma il Caporale Arianna Popolo, ormai da oltre un anno ad Arquata – a livello emotivo intendo. Si cerca come si può di infondere coraggio, ma è comprensibile lo stato d’animo di chi decide cosa prendere e cosa lasciare di fronte ad una casa distrutta”.
C’è chi si avvilisce e chi invece cerca di tornare, con orgoglio e con forza d’animo alla vita tutti i giorni. A Norcia, ad esempio, malgrado la forza dell’urto della scossa gli abitanti non hanno ceduto di un metro a disperazione e a sconforto.
“Qui c’è stata la botta più forte – ricorda Claudio Millefiorini che studia Scienze Politiche a Perugia – ma l’esperienza di precedenti terremoti ci ha aiutato ad ammortizzare meglio le conseguenze di quelli di agosto e ottobre 2016. Certo i danni ricevuti sono stati grandi ma c’è forte attaccamento all’identità e alle radici culturali e i nursini non vogliono rinunciare a Norcia. Una forza, la nostra, che ci permette di guardare ancora al futuro ma le Istituzioni devono comunque supportare concretamente questa nostra determinazione”.
Gli sfollati incontrati hanno quasi sempre espresso il timore che lo Stato si sia dimenticato delle loro sofferenze senza mai tuttavia cedere al pianto o alla disperazione: gente forte e di carattere, nata in terre che rappresentano un tassello importante della cultura e della storia italiana ed europea, capaci di affrontare sfide durissime rimboccandosi le maniche e lavorando ancora al fianco di quello Stato che, da agosto 2016, non li ha mai lasciati soli. Sono gli uomini e le donne dei carabinieri, della protezione civile e delle Forze Armate che ogni giorno affermano la presenza dello Stato in quell’angolo di Penisola.
(Reportage realizzato fra il 30 agosto e il 4 settembre 2018)