Non servono alchimie, basta un po’ di razionalità per evitare di affondare nelle sabbie mobili del pessimismo nostalgico e del futurismo senza fondamenta. Prima autocritica, poi proposta. La politica la fanno le persone quindi è da lì che bisogna partire. La destra in Italia non è tranquilla, piuttosto un polipo isterico che in preda al dolore per cicatrici mai rimarginate sbatte i tentacoli a destra e a manca senza logica. Le cicatrici, appunto. E il rancore di quasi tutti quelli che hanno provato a tenere in mano il timone. Siamo una manica di bastardelli supponenti e mentiamo se non lo riconosciamo.
Predichiamo idee e valori, razzoliamo protagonismo da banale sindrome del chi fa partire i cori col megafono. Facciamo a gara a chi ha pagato di più e non sopportiamo chi sorride e chi ce la fa senza rischiare la pelle. Siamo un po’ come chi si fa la galera convinto di essere innocente e, una volta fuori, vomita rabbia sul mondo ingiusto. Tutti capi, ovviamente. Con una curiosa qualità: da noi tutti sanno fare tutto. Tutti pensano, tutti decidono, tutti comandano, tutti si candidano, tutti dicono che il problema è più complesso. Quando si parte, il chi fa cosa è il logico e fondamentale punto di partenza. Perché se dobbiamo costruire una casa, il muratore deve fare i muri, l’imbianchino deve dipingere le pareti e l’elettricista si occupa della corrente. Se l’idraulico monta le finestre e il giardiniere fa il tetto, la casa cadrà a pezzi. Il chi fa cosa, che è base necessaria di idee e azioni solide e durature, in grado di restare in piedi anche dopo dolorose batoste elettorali. A sinistra, per capirci, anche chi deve rubare viene istruito a farlo bene. Di qua se sei uno studente modello ma sei timido e non hai voti, sei un pirla. E se provi a dire che vorresti essere utile a quella che chiamiamo comunità facendo ciò che sai fare, ti dicono che sei invidioso, che ne devi fare ancora di strada, che loro sono cresciuti a colla e merda, che loro c’erano. E il bello è che tu ci credi pure. Dal chi fa cosa nasce il come. E qui c’è la proposta politica, che deve essere semplice e consapevole. Su immigrazione e integrazione decidiamo cosa vogliamo: se continuiamo a stare a metà tra inseguimenti al “fuori a calci in culo” della Lega e aperture moderniste finiane, chiuderemo per confusione. E decidiamo parlandone al futuro, perché negli anni ’70 c’erano i fascisti e i comunisti ma gli immigrati non esistevano e quel passato che ha tenuto insieme una certa destra politica oggi è remoto e troppo imbastardito. Immigrazione e integrazione, riforma del lavoro e impresa, diritti e giustizia, nord e sud, grandi opere, ambiente, enti locali, slot machine, Imu, Iva, autovelox e tutto quanto si incontri ogni giorno quando si esce di casa. E in fretta, altrimenti continuiamo a essere quelli che aggiornano Facebook e Twitter ogni tre minuti esternando superbamente pena verso quelli che fanno politica alla tastiera senza avere alle spalle una storia di dolori, pene e cicatrici.
*Pavia