Cosa fu? L’ultima fiammata della prima guerra mondiale? Un evento dannunziano piratesco? O fu una spallata al vecchio Stato liberale? Piuttosto la prima spallata al sistema parlamentare del Regno fu data dalla diplomazia italiana che impastò il segreto Trattato di Londra nel 1915. La storia rappresenta la complessità e il ricercatore dovrebbe evitare teorie conclusive nella contemporaneità post-ideologica. In questo senso, con una sensibilità pronta al confronto, Federico Lorenzo Ramaioli non insegue tesi conclusive, ascolta una significativa varietà di voci, privilegia la narrazione di un mileu socio-culturale unico. In ‘Quis contra nos? Storia della Reggenza del Carnaro. Da d’Annunzio alla Costituzione di Fiume’ (Edizione Historica) ecco la ricostruzione del panorama politico di Fiume tra il 1919 e il 1920.
Ramaioli inquadra la vicenda fiumana come un’esperienza di diritto dei popoli, “diritto umano”, giacché era diritto del popolo domandare la propria terra; ed era la volontà popolare che chiedeva una comunità nuova, adriatica, post-imperiale. Tale inquadramento critico, fatte le opportune differenze, cerca paragoni tra il referendum fiumano del 24 agosto 1919 e le istanze di libera territorialità contemporanea, come nel referendum popolare, di pochi anni fa, per l’annessione della Crimea alla federazione Russa. Nella vicenda politica poi prevalse la logica internazionalista che imponeva confini ai popoli, mentre il popolo adriatico chiedeva il rispetto della tradizione territoriale italiana, il non essere considerato un’espressione geografica nella spartizione internazionalista dei trattati di pace.
Perciò Ramaioli riflette su quanto anti-internazionalismo o sovranismo adriatico vi fosse nella storia della Reggenza del Carnaro. A quel tempo gli italiani reclamavano frontiere culturali e storiche; la Società delle Nazioni invece imponeva confini internazionali sradicati dalla storia dei popoli. Il che ci invita a sottolineare che lo Stato fiumano diviene “un valido punto di partenza per sviluppare una riflessione che colga l’attualità di un dibattito – a cavallo tra internazionalismo e localismo, tra delimitazione geografica ed eredità culturale, tra limiti e frontiere – che pare lungi dall’essere concluso.”
La storia è “un luogo pieno di attualità”, scriveva Walter Benjamin. Tuttavia alcuni affermano che lo storico non dovrebbe essere disponibile ad usare il passato per spiegare il presente. Però, da sempre, le egemonie culturali usano il passato per le finalità politiche, cioè non creano differenze tra ragioni critiche e documenti. Di sicuro il lavoro di Ramaioli esprime attenzione ai documenti e dimostra la bellezza della costituzione del Carnaro. Si legga l’articolo 2 della costituzione fiumana, “La Reggenza del Carnaro è una democrazia diretta che ha per base il lavoro produttivo.” Questa è una scrittura ante-litteram della nostra costituzione, la repubblica fondata sul lavoro. Ma non solo: la carta del Carnaro riconosceva il lavoro pubblico, il lavoro privato, il “lavoro remunerato… bastevole a ben vivere.” A Fiume votavano tutti, senza distinzione di sesso; e tutti i cittadini potevano proporre una legge o approvarla o disapprovarla.
Appare viva la Carta della Reggenza; eppure la sua ricchezza giuridica, sorta come sintesi di idee, è offuscata dalla storiografia politica; la Carta invece merita di essere ristudiata, nella scuole e nelle università, come esperienza costituzionale “breve e così intesa, quindi che continua a parlare alla nostra contemporaneità.” E Giordano Bruno Guerri, che cura la prefazione al saggio, indica nella costituzione dannunziana il punto di partenza per “ricavare notevoli spunti di riflessione in termini di teoria del Diritto e dello Stato.”
Il laboratorio politico, che fu Fiume, produsse una costituzione come rilettura dell’anima socialista, repubblicana, nazionalista. Un laboratorio che rappresenta per Ramaioli “un’esperienza politica attuata all’insegna dell’estro artistico, della fantasia, di una vitalistica ansia di sperimentazione e di reinterpretazione di principi giuridici e politici che, all’apparenza, sarebbero sembrati indiscutibili e incrollabili.” Insomma il carisma dannunziano fece il prodigio: tenne insieme le ideologie, trovò il consenso degli italiani, pure quello di Antonio Gramsci, il quale scrisse che, per l’affaire fiumano, il governo di Giolitti dimostrò “una clamorosa prova delle condizioni di debolezza, di prostrazione, di incapacità funzionale dello Stato borghese italiano.”
La fine drammatica della Reggenza cancellò un’officina che approfondiva l’idea di sovranità, “la sovranità di tutti i cittadini”, con la rinuncia al parlamentarismo, quasi avvicinandosi ad un’idea oggi commentata dagli esponenti del Movimento Cinque Stelle. Cosa rimase dunque di quell’esperienza? Risponde così l’autore, “…suoni, versi pensieri si dispersero per influenzare, ciascuno per parte sua, una pluralità di esperienze politiche successive, dal Fascismo sansepolcrista all’interventismo di sinistra, dal nazionalismo irredentista al processo di formazione dell’ordinamento costituzionale repubblicano.”
*‘Quis contra nos? Storia della Reggenza del Carnaro. Da d’Annunzio alla Costituzione di Fiume’ – historica edizioni, 2018, pagg. 301 – 18 euro