Presidente Nello Musumeci, governatore della Sicilia, ci spieghi il suo legame con la città di Custonaci?
“In questa città sono arrivato, per la prima volta, poco più che ventenne, quando lavoravamo per tenere alta una fede; quando nessuno di noi pensava di disegnare o costruire carriere politiche; quando esserci per noi era già un risultato, mentre gli altri lavoravano per fregare il popolo. Siamo diventati classe dirigente proprio perché abbiamo predicato il bene, oltre ad averlo praticato. Siamo diventati classe dirigente senza mai guardarsi indietro; siamo diventati classe dirigente senza mai rinnegare le origini. Io non avrei mai immaginato quando, per la prima volta,sono venuto a Custonaci di poterci tornare da presidente della Regione e se qualcuno me l’avesse detto io lo avrei preso per matto, perché allora essere consigliere, ed essere consigliere d’opposizione, era una conquista. Era come avere raggiunto un traguardo”.
(Musumeci è intervenuto al convegno della Fondazione Dino Grammatico a Custonaci)
Parliamo della sua esperienza da Presidente. Questi primi mesi di governo l’hanno sorpresa o tutto è andato, invece,come previsto?
“Sono stato eletto presidente di questa Regione, pensando di trovare un ente Regione e non credevo di dover trovare la Regione soltanto sulla carta intestata. Una Regione a pezzi. Una Regione con 13mila dipendenti. Molti dei quali non avvertono, e non sentono, lo spirito dell’appartenenza. Una Regione dove molti dirigenti erano convinti di poter fare il bello e il cattivo tempo. Una Regione dove nelle strutture periferiche, lontane dall’occhio del centro, i dipendenti regionali possono permettersi il lusso, per fortuna non tutti, di grattarsi la pancia, dimenticando, che fuori dal «palazzo» decine, centinaia, migliaia di giovani diplomati e laureati spererebbero di poter avere quel ruolo. Non per grattarsi la pancia, ma per lavorare ed essere partecipi di un processo di rivincita, di rinascita. Questa è la Regione che ho trovato. Una Regione indebitata per oltre 8 miliardi di euro. Una Regione che ha fatto debiti fuori bilancio con tutti. Una Regione che con lo Stato ha firmato un contratto in base al quale tutto viene ceduto a Roma e nulla viene chiesto a Roma. Una Regione dove da tanto troppo tempo le società partecipate possono fare quello che vogliono, perché lontane da ogni controllo. Una Regione dove il commesso cammina senza divisa e il portiere può dormire in portineria. Persino le targhette degli assessorati sono annerite”.
E le prospettive quali sono? Non sembra essere particolarmente ottimista.
“Abbiamo trovato soltanto l’uno per cento del denaro europeo impegnato e certificato. L’uno per cento significa che noi a dicembre dobbiamo certificare 767 milioni di euro di fondi extraregionali e se non li certifichiamo dovranno essere restituiti indietro. E non è possibile poterli certificare tutti, perché in dodici mesi tu non puoi fare quello che non è stato fatto dal 2014. Da quando cioè è cominciata la fase dei fondi europei che scadrà nel 2020, ma l’Europa dice «tu mi devi, intanto, dimostrare al 31 dicembre di avere certificato la spesa di oltre 700 milioni di euro», che non è una spesa aggiuntiva. Come sapete oggi in Italia, ma in Sicilia modo particolare, è una spesa, anzi è l’unica spesa possibile per investimenti, per lo sviluppo sociale, per lo sviluppo economico, perché i soldi dei bilanci non ci sono più nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni. Non abbiamo più il denaro pubblico. In questa Regione dove per venti, trent’anni le assunzioni sono state fatte quasi sempre con un biglietto da visita, con la promessa che poi sarebbe stato stabilizzato e la gente che cercava un lavoro si è lasciata illudere. Ed è passato un anno, cinque anni, dieci anni, quindici anni, vent’anni, venticinque anni e quei precari, che dovevano essere tali soltanto per un mese o per un anno, oggi sono genitori e nonni e sono ancora precari. E di quell’esercito di precari molte classi dirigenti hanno fatto pegno umano e sulla pelle e sulle speranze di quei precari hanno costruito le loro carriere politiche”.
Quindi la politica è impotente dinnanzi allo stato delle cose? È veramente «irredimibile» questa Sicilia?
“Assolutamente no! Abbiamo iniziato, fin da subito, a far comprendere che la musica era cambiata soprattutto a quelli che credevano di poter restare dalla mattina alla sera a fare i fannulloni, ricevendo lo stipendio a casa. I direttori non si possono toccare mi dicevano, quanti ne abbiamo chiedevo? «Ventotto e non li puoi toccare». «Il segretario generale non lo puoi toccare». Ed io li ho toccati tutti e li ho cambiati. Li ho cambiati a cominciare dal Segretario generale e ho nominato la figlia di Piersanti Mattarella, il presidente ucciso dalla mafia nel 1980, non perché «figlia di …», ma perché è una brava dirigente preparata, onesta e competente. Come vedete un presidente libero lo può fare. Allora non è vero che la politica non può cambiare. Se la politica è libera può cambiare. Se non si è ricattabili si può cambiare. Se siamo all’ultimo posto in Italia, se siamo fra le terze ultime regioni d’Europa è perché chi è stato al mio posto non ha mai avuto il coraggio di dire qualche «no» e quando la politica dice sempre «sì» non fa assolutamente il bene di tutti. Fa il bene di qualcuno quando si governa bisogna avere il coraggio di dire anche dei «no»”.
Sembrerebbe di poter capire che per cambiare un po’ le cose servirebbe una rivoluzione?
“Per carità li conosciamo quelli della rivoluzione e abbiamo visto anche i risultati. Questa è una Terra che non ha bisogno di rivoluzioni, o se preferite ha bisogno della «rivoluzione della normalità», perché persino l’ordinaria amministrazione è stata impedita. Io non sarò il presidente del raccolto, io sono il presidente della semina, perché ho trovato macerie. Questa macchina che si chiama Regione l’ho trovata senza benzina, col motore smantellato, con gli sportelli divelti. Stiamo lavorando, edin molti non se ne accorgono perché è un lavoro che si fa all’interno, ma la macchina non può arrivare sulla pista se prima non mettiamo assieme le parti del motore, se prima non avvitiamo le ruote, se prima non collochiamo gli sportelli e questo lavoro continuerà ancora per circa un anno. E, quindi, chi verrà dopo di me tra cinque anni troverà una signora Regione. Gli uffici ordinati, l’informatizzazione, i debiti pagati, gli sprechi eliminati. Una signora Regione esattamente come sono le regioni del Nord.Un uomo in politica non può pensare di essere sempre per il raccolto, anzi la vera politica è quella della semina”.
In questi primi mesi di governo sembrerebbe che il rapporto con Roma, intesa come potere centrale, sia cambiato.
“Roma ci ha tolto tanto in questi settant’anni e abbiamo il diritto di riavere quello che ci è stato tolto, ma attenti a pensare che i nemici della Sicilia stiano soltanto a Roma. I peggiori nemici della Sicilia stanno in Sicilia. Sono i trenta denari, sono i voltagabbana, sono i ciarlatani, sono i ruffiani, sono i mercenari della politica. In questo grande mercato di piante grasse chi è coerente e chi sa fare politica disinteressatamente diventa una quercia. Le querce sono anche gli imprenditori che non si arrendono; le querce sono gli anziani che sono pronti a dare tante risposte, ma nessuno fa più a loro una domanda; le querce sono i giovani che hanno perso la strada, perché hanno perso la voglia di affrontare le criticità della vita e si abbandonano sul fronte della droga, perché hanno paura della vita e non della morte; le querce sono le mamme che sanno faticare, piangere e soffrire nella dignità del silenzio, perché il figlio non sappia, perché il marito non capisca; le querce sono i giovani laureati e diplomati, che vorrebbero mettere a profitto le proprie braccia, il proprio fosforo; le querce sono i tanti ragazzi partiti, in questi ultimi anni, con un biglietto di solo andata,sperando di poter acquistare il biglietto di ritorno; le querce sono rappresentate da tanti lavoratori che la mattina si alzano alle quattro per portare un pezzo di pane a casa e per non far mancare l’essenziale ai figli; le querce sono i malati, alcuni, purtroppo, malati senza speranza; le querce sono quelli che non ci sono più, il cui esempio diventa per noi stimolo ad andare avanti. Ecco questa foresta di querce io voglio rappresentare a Roma. E non m’interessa se di destra, di centro o di sinistra. Non m’interessa perché il «diritto al pane» non conosce colore di partito. Questa è la sfida che io voglio vincere”.
Vuole lanciare, infine, un appello ai siciliani, magari, al fine di aprire una nuova stagione?
“Rinvigoriamo questo rapporto di fiducia. Rinvigoriamolo perché c’è bisogno di tutti. Smettiamola di chiederci cosa fa per me il Comune, smettiamola di chiederci cosa fa per me la Regione o cosa fa per me lo Stato. Ogni tanto mettiamoci davanti allo specchio e domandiamoci ma cosa faccio io per il Comune? Cosa faccio io per la Regione? Cosa faccio io per lo Stato? Il «mestiere di cittadino» facciamolo tutti se vogliamo risalire la china. Io sono stanco di seguire programmi televisivi dove per un’ora, due ore si parla dei mali della Sicilia. Certo è giusto che se ne parli. È giusto che ci sia la denuncia, ma la Sicilia non è solo quella. La Sicilia è il nostro patrimonio artistico, la Sicilia sono i nostri monumenti, la Sicilia è il nostro paesaggio, la Sicilia sono i nostri imprenditori, la Sicilia sono i nostri professionisti, la Sicilia è la nostra perseveranza, la Sicilia è la nostra tenacia. C’è anche un’altra Terra che abbiamo il dovere di promuovere e di fare conoscere. Ed io questa Sicilia la voglio rappresentare senza complessi di colpa quando vado a Roma a bussare alla porta del Governo, non per chiedere elemosine, ma per chiedere che ci sia restituito quello che ci è stato tolto con un furto con destrezza, che dura ormai da trenta, quarant’anni a danno del popolo siciliano”.
*Presidente «Centro Studi Dino Grammatico»