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58 giorni. Arriva il decreto antimafia. Ma a molti non piace

by Giovanni Marinetti
12 Giugno 2013
in Cronache
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falcone-e-borsellino8 giugno 1992. Il Consiglio dei ministri approva l’impianto dei provvedimenti proposti dai ministri dell’Interno e della Giustizia. Verrà presentato l’indomani in conferenza stampa. Sulla Superprocura il governo decide di attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale sul conflitto di attribuzioni tra il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Guardasigilli sull’assegnazione degli incarichi direttivi. La decisione della Consulta sulla vicenda è prevista entro la fine del mese. Tutto sospeso, quindi.

Intanto, le elezioni amministrative confermano alcuni dati. Dall’Ansa: «Aumenta l’astensionismo, aumentano le liste locali, ma il turno elettorale nei 156 comuni dove si è votato conferma che esiste un elemento ”geografico” nel comportamento degli elettori: i partiti della vecchia alleanza accrescono i consensi nel Mezzogiorno, e a Napoli avanzano sensibilmente Dc, Psi e Pli. Gli stessi partiti, però, perdono nel Nord a vantaggio di Leghe ma anche del Msi-Dn che guadagna a Napoli e a Trieste, mentre si conferma il calo del Pds. »

L’ipotesi di un governo “tecnico” inizia, timidamente, a venire fuori: «Ciampi o chi per lui», scrive Il Giornale; Gustavo Zagrebelsky, sulla Stampa, dà consigli a Scalfaro: «Non sono i partiti da evitare ma la loro ingerenza nella gestione dello Stato». William Session, direttore dell’Fbi, in visita ufficiale a Roma, conferma la volontà di contribuire alle indagini sulla strage di Capaci e annuncia che dedicheranno una targa in onore del giudice Falcone. Cosa che effettivamente accadrà: ma sarà un busto. Un grande onore, il giusto riconoscimento a un grande italiano.

9 giugno 1992. «Quando la mafia fa saltare in aria il giudice Falcone, io, da ministro dell’Interno, non posso rispondere come un signorino, andando molto per il sottile. Se costoro impongono misure di guerra, bisogna tenerne conto». Parola di Scotti. Ecco il pacchetto antimafia. Il Messaggero: «Mafia, più poteri alla polizia»; Il Corriere della Sera: «Più libertà di movimento alla polizia che indaga su fatti di mafia, carcere più duro per i boss condannati, snellimento delle procedure per raccogliere e utilizzare nei processi le dichiarazioni dei pentiti»; La Stampa:«Novità per quanto riguarda le misure patrimoniali contro i bossi: si potrà sospendere temporaneamente l’amministrazione di beni se si scopre che questa serve ad ‘agevolare l’ attività dell’ organizzazione criminale».

I provvedimenti sono però stati però criticati da vari magistrati titolari d’inchieste sulla mafia. Scrive l’Ansa: «Il senso complessivo di queste critiche emerge dalle dichiarazioni rese da Roberto Scarpinato, sostituto procuratore della Procura distrettuale antimafia, e segretario locale di Magistratura democratica. “Queste leggi sono sporche di sangue, provocano indignazione. (…) Non costituiscono un salto di qualità” mentre è indifferibile “l’introduzione di una normativa capace di spezzare le reni all’ organizzazione. Cosa nostra è agevolmente in grado di metabolizzare il piccolo danno che sta subendo. Forse questi provvedimenti risulteranno più incisivi per ‘ndrangheta e camorra. Ci vogliono leggi che colpiscano l’organizzazione al cuore”. (…)“Nei provvedimenti adottati non vediamo traccia dell’ impegno straordinario dello Stato per la cattura del grandi latitanti e vorrei che qualcuno spiegasse come sia possibile che la sesta potenza industriale dell’ occidente non sia riuscita in 20 anni a catturare i capi della mafia”. Scarpinato ha così concluso: “Noi magistrati vogliamo l’ istituzione di pool di 20, 30 investigatori distaccati esclusivamente alla cattura dei superlatitanti, che siano chiamati a rendere conto del loro operato entro sei mesi, un anno. Ci auguriamo che questi provvedimenti rappresentino solo un primo passo in attesa di altri e ben più incisivi. In alternativa il Governo, i partiti hanno il dovere di dire che in questo paese ci sono alcuni sacri principi ai quali si ritiene di non dovere derogare neppure in presenza dell’ attacco così esteso della mafia”».

L’Unità, nel pezzo sul decreto, nota invece: «Il giudice Corrado Carnevale ha in pratica “bocciato” l’inchiesta sui voti mafiosi avviata dalla procura di palmi e dal giudice Antonino Cordova». Cordova è il candidato del Consiglio superiore della magistratura alla direzione della super procura antimafia, mentre Carnevale è discusso il presidente di sessione di Cassazione, ribattezzato da molti come “ammazzasentenze” per alcune sue celebri assoluzioni a mafiosi per questioni procedurali.

10 giugno 1992. Pacchetto antimafia, parla Paolo Borsellino: «Anche se purtroppo dolorosamente sotto la spinta del gravissimo episodio, il governo  ha finalmente messo da parte il tabù del rispetto del disegno originario dottrinario del codice ed ha introdotto delle modifiche pragmatiche che ritengo risulteranno estremamente utili per la lotta alla criminalità organizzata.(…) Purtroppo, non dà una risposta a una delle esigenze che i magistrati di Palermo avevano sottolineato: quella della creazione di strutture investigative per la cattura dei grandi latitanti».

Per il gip Di Lello «si tratta di norme inutili perche spostano come al solito la lotta alla mafia addossandola alla magistratura. (…) Il decreto è dannoso perché restringe la libertà di tutti e non inciderà minimamente nel vero rapporto mafia-politica e nei rapporti di accumulazione della mafia: la droga ed il denaro pubblico». Pietro Giammanco è più ottimista: «Ci sono delle cose che vanno certamente bene, come lo spazio maggiore dato ai pentiti e la formazione della prova a dibattimento».

Intanto, il Csm archivia il caso Orlando: le sue accuse ai giudici sulle presunte omissioni e mancati sviluppi nelle indagini sui cosiddetti delitti eccellenti non hanno, per i giudici della Consulta, elementi per un’applicazione del trasferimento d’ufficio nei confronti di alcun magistrato. Tra i destinatari delle deliranti parole di Orlando c’era stato anche Giovanni Falcone, che dovette subire l’umiliazione di una audizione. Falcone si era difeso parlando di «linciaggio morale e continuo». Al Csm, Falcone aveva detto: «Io sono in grado di resistere – disse Falcone al Csm – ma altri colleghi un po’ meno. Io vorrei che voi vedeste che tipo di atmosfera c’e’ per adesso a Palermo». Era il 15 ottobre 1991: Falcone è costretto a difendersi di fronte al Csm.

Dal libro “Visti da vicino” (di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, Aliberti Editore): Orlando «lo accusava di tenere chiusi nei cassetti importanti documenti sui delitti eccellenti. Orlando non ce l’aveva solo con Falcone, ma anche con il procuratore dell’epoca Giammanco, da sempre ritenuto vicino all’europarlamentare andreottiano Salvo Lima. E proprio la decisione di Falcone di incriminare per calunnia il sedicente pentito Pellegriti, che aveva fatto dichiarazioni accusatorie contro Salvo Lima, preparò il terreno alla crociata successiva che Orlando lanciò nel 1991 dagli schermi di Samarcanda di Santoro. Falcone (…) gli rispose accusandolo di “cinismo politico”. “Se il sindaco di Palermo sa qualcosa – disse – faccia nomi e cognomi, citi i fatti, si assuma le responsabilità di quel che ha detto. Altrimenti taccia: non è lecito parlare in assenza degli interessati”». Ninni Fardella e Paola Camassa, amici intimi di Giovanni e Francesca raccontano: «Giovanni aveva conosciuto Orlando a casa nostra molto tempo prima ed era nata una bella amicizia, tanto che era stato Luca a sposarlo con Francesca. Perciò rimase molto sorpreso e sinceramente dispiaciuto da quelle accuse che riteneva assolutamente infondate. Ne parlammo insieme più volte e tentammo di organizzare a casa nostra una cena per farli incontrare e chiarire. Proponemmo la cosa a Giovanni e lui disse subito di sì, ma Orlando non ne volle sapere. Il rifiuto persino a incontrarlo in un’occasione così informale provocò un grosso dolore a Giovanni che in quel periodo si sentiva già attaccato da tutte le parti per la sua decisione di accettare l’incarico offertogli da Martelli».

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