Quarantacinque anni fa moriva JRR Tolkien, ricongiungendosi con la sua adorata Edith che lo aveva preceduto due anni prima. A testimonianza del loro amore resta la lapide sulla tomba comune, che porta i nomi di un amore altrettanto sconfinato, raccontato dallo stesso Tolkien in uno dei racconti poi raccolti nel Silmarillon: quello di Beren e Luthien.
Tanto si è scritto e tanto si è detto, sul creatore della Terra di Mezzo (anzi, “subcreatore”, come amava dirsi lo stesso JRRT, subordinando la creazione dello scrittore a quella del Creatore), ma è a partire dal successo planetario della trilogia cinematografica diretta da Peter Jackson che si è scatenato l’assalto al carro del vincitore. Perché è precisamente di questo che si tratta: l’Epopea Mitica di Tolkien ha vinto sul Realismo che una macchina culturale miserabilmente ideologizzata aveva imposto come unico valore artistico accettabile. Ed è stato patetico vedere i Re-censoridella critica letteraria rivendicare il Diritto Unico e Indiscutibile a parlare degnamente del Nostro, quando illo temporesi erano affannati non solo a stroncare, ma addirittura a ostracizzare l’opera di Tolkien con tutta l’artiglieria disponibile.
Quando, durante un talk show radiofonico, in diretta dal Salone del Libro di Torino, parlai del cordone sanitario stretto dall’intellighenzia di sinistra intorno alla Rusconi di Alfredo Cattabiani (che era morto l’anno prima) contro il quale la parola d’ordine era “silenzio”, un impomatato Alberto Asor Rosa disse che, semmai, si era trattato di «distrazione». Peccato che tutti possono consultare le emeroteche e, tra le altre perle, trovare il mensile Rinascita, che il 31 dicembre 1971 ospitava un articolo di Walter Pedullà dove si diceva, a proposito della casa editrice Rusconi colpevole di pubblicare Tolkien e altri autori “maledetti”, che«non si tratta certo di un pericolo da sottovalutare, solo perché è stato possibile circoscrivere il suo campo di manovra e pretendere la quarantena dell’ufficiale sanitario». Capito, sì? “Pretenderela quarantena dell’ufficiale sanitario”, ovverosia imporre alla critica nazionale il silenzio su quegli appestati.
Ma, proprio come temevano Pedulà & C, il tempo è galantuomo e Tolkien ha vinto. Malgrado loro. E allora questi Vermilinguo redivivi hanno cominciato a parlarne, a scriverne… anzi hanno cominciato a dire che quelli che illo temporelo avevano salutato con entusiasmo e gioia vera e avevano portato i suoi personaggi ad esempio, cioè i ragazzi “di destra”, se ne erano arbitrariamente appropriati causando l’ostracismo (che invece, carta canta, era cominciato da subito). “Mortacci vostra” si può dire? Roba che quanti a sinistra volevano leggere Il Signore degli Anellidovevano farlo di nascosto per non essere processati dai loro compagni…
E se fino a una ventina d’anni fa i Vermilinguo si limitavano ad arrampicarsi sugli specchi, non sapendo neanche di cosa si stesse parlando (se non solo superficialmente), oggi girano i Sarumanini, piccoli Torquemada tanto più colpevoli perché ben preparati su Terra di Mezzo e miti connessi, ma, proprio come i loro padri putativi, interessati solo ad arrampicarsi sugli specchi per autoeleggersi Veri Esegeti di un autore che contro questi personaggi e la loro interpretazione avrebbe scatenato l’Esercito dei Morti di Dwimolberg. Anzi, più verosimilmente li avrebbe fatti prendere a mele in faccia da Sam Gamgee.
Nella prefazione alla prima edizione del SdA, Elemire Zolla spiegava che il successo delle fiabe sta in un fatto che certa gente accecata dall’ideologia non potrà mai capire: parlano di fulmini e non di lampadine, cioè a dire che rappresentano l’eterno, che se ne frega della provvisorietà, per quanto abbagliante possa apparire.