A Napoli si faccia il museo Giacomo Leopardi e facciamo nostro l’appello delle associazioni partenopee: un appello rivolto al ministro Alberto Bonisoli in questi giorni agostani. La proposta nasce dopo la recente acquisizione di tre lettere del poeta, le “Epistole dolenti”, scritte a Francesco Puccinotti, ora conservate nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Con la fruizione dei ritrovati documenti leopardiani viene portata avanti un’idea utile al turismo culturale nel capoluogo campano. In più, le richieste per una struttura museale sono in linea con chi, da anni, si batte per la promozione dei parchi letterari. Un parco leopardiano avrebbe dovuto essere concepito e promosso da tempo a Napoli; e un parco leopardiano valorizzerebbe una storia letteraria scritta tra strade, palazzi e paesaggi di una città.
Il Leopardi napoletano è incontrabile nelle sue passeggiate per Toledo e Santa Lucia; è nel paesaggio di Torre del Greco che alimentò la Ginestra o il fiore del deserto; ed è tutto leggibile nel libro Sette anni di sodalizio di Antonio Ranieri, un testo storico che è un aggancio tra memoria leopardiana e città. In una prospettiva di turismo culturale, dunque, emerge il bisogno di iniziative che valorizzino la storia letteraria. E questa visione culturale esprime una sensibilità che non dovrebbe essere approfondita dall’ amministratore pubblico. Il tutto per un’iniziativa che rifletta sulla triade: musealizzazione multi-tematica / tradizioni cittadine / parchi letterari.
Si dia un segnale per la valorizzazione della storia letteraria nelle nostre città. Avendo, naturalmente, come interlocutore di riferimento la Società Dante Alighieri che gestisce la formazione dei parchi letterari. E sia consentito portare avanti un’idea, questa: a Napoli un museo e un parco letterario Leopardi avrebbero sì l’occasione di raccontare il pensatore dello scontro tra la finitudine umana e la Natura; però avrebbero (anche) la possibilità di tornare al patriota Leopardi. Il poeta delle canzoni civili, ossia All’Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, è tanto trascurato nelle scuole, nelle università. Leopardi cantava il grande passato italico non per evadere nel mito, bensì per rivivere una tensione etico-politica. Attraverso nuove proposte, allora, si dia visibilità al Leopardi politico; all’uomo che, proprio a Napoli, era nauseato dalle illusioni de le magnifiche sorti e progressive; al poeta patriota che, nominato deputato dell’assemblea di Bologna nel 1831, scrisse del “suo desiderio ardentissimo di servire cotesta mia patria”, due anni prima della partenza per il capoluogo campano.
Un rinnovato impegno culturale, dedicato al genio dell’Infinito, non può non tenere presente che, nelle lettere da poco acquisite, il poeta scrisse di preoccuparsi di più della dignitas, cioè “della scienza e del vostro ingegno” e meno “del posto che siete per occupare”, dimostrando, ancora una volta, la sua tensione morale e la sua sete di verità.