Mascelle con i denti d’oro, un paio di orologi da tasca, pettini e ossa sono tornati alla luce dopo essere rimasti sepolti 73 anni per mano degli aguzzini di Tito e per colpa dell’oblio della storia.
Il 7 luglio a soli due-tre metri di profondità nella zona di Castua, nei dintorni di Fiume, oggi in Croazia, è stata scoperta la fossa comune dove l’Ozna, la polizia segreta jugoslava, nascose il corpo del senatore Riccardo Gigante, trucidato con altri prigionieri italiani a guerra finita, il 4 maggio 1945.
I croati sono finalisti al Campionato del Mondo di calcio, ma riaffiorano i fantasmi della storia. Dai resti trovati nella fossa si ipotizza che le vittime siano sette oppure otto. La riesumazione è stata eseguita da Onorcaduti del ministero della Difesa in stretta collaborazione con le autorità croate e alla presenza del console italiano a Fiume. Oltre al senatore, le vittime dovrebbero essere il giornalista Nicola Marzucco, il vice brigadiere dei carabinieri Alberto Diana ed altri italiani massacrati dai partigiani di Tito. Assieme ai frammenti di teschi sono stati ritrovati oggetti personali come un gemello e un bocchino da sigaretta che potrebbero servire per l’identificazione. La certezza è possibile solo con l’esame del Dna dei parenti.
A Fiume furono uccisi 652 italiani, in gran parte gettati nelle foibe di Kostrena e Grobniko o massacrati nei campi di concentramento in Slovenia. Altri vennero portati al largo con alcuni barconi e gettati in mare. «Nella zona dove hanno trovato i resti di Gigante ci sono anche altre fosse comuni. Lo ha svelato un italiano che oggi vive in Australia. Durante la guerra si era unito ai partigiani, ma avrebbe dovuto venir fucilato proprio a Castua per diserzione», rivela al Giornale Marino Micich, segretario generale della Società di studi fiumani con sede a Roma.
Gigante, che aderì al fascismo, fu sempre controcorrente e sposò un’ebrea. Il senatore decise di rimanere a Fiume a guerra finita sostenendo «di non aver mai compiuto alcun crimine». Appena arrivati, gli sgherri dell’Ozna andarono a prenderlo a casa come «nemico del popolo». Testimoni lo videro sfilare in una colonna di prigionieri in via Trieste, ma poi sparì nel nulla. L’Ozna lo consegnò ai reparti Knoj, il Corpo di difesa popolare della Jugoslavia, che avevano il compito di eliminare i prigionieri. Castua era un importante comando partigiano. Il senatore, assieme a carabinieri e finanzieri italiani venne portato davanti a una chiesa in costruzione. «Li fucilarono senza processo – spiega Micich – e poi vennero finiti con le baionette». I corpi furono sepolti vicino al sentiero che porta al bosco della Loza. Per 73 anni la fossa comune è rimasta un tabù.
Nel 1992, alla fine della Jugoslavia comunista, Amleto Ballarini, allora presidente della Società di Studi fiumani, comincia le ricerche. Assieme a Gigante fu trucidato il finanziere Vito Butti sposato a una croata. La cognata, che era staffetta partigiana, convinse i titini a buttare il corpo nella fossa per ultimo. Così venne recuperato la notte dell’esecuzione. Le figlie di Butti confermano la storia a Ballarini e un prete croato, don Franjo Jurcevic, riceve le confidenze di alcuni fedeli, che sanno dov’è la fossa. Si muove la Federazione nazionale degli esuli per fare pressione sul governo italiano affinché intervenga sui croati, ma ci vogliono anni per convincere Roma e trovare collaborazione a Zagabria.
Il 7 luglio vengono finalmente ritrovati i resti mortali di un senatore italiano trucidato dai titini e ancora disperso. Vittima di un crimine di guerra volutamente dimenticato per decenni.
*Da Il Giornale