Gli italiani esistono da 21 secoli, solo che spesso se lo dimenticano. E si fanno raccontare i casi loro dagli altri. Così fra eclissi (temporanea…) degli Stati-nazione, narrazioni interessate degli stranieri e auto-lesionismo tutto nostrano, spesso l’identità italiana viene dimenticata dai suoi stessi portatori. Il numero di “Storia in Rete” in edicola in questi giorni apre al dibattito sull’identità italiana: multiforme, sfuggente, sicuramente contraddittoria. Ma innegabile.
Nell’era in cui secondo certi politici basta il tifo calcistico a fare un italiano, la lettura di questo numero della rivista diretta da Fabio Andriola è una boccata d’aria fresca e una stella polare per orientarsi dopo anni di mistificazioni e destrutturazione della nostra autocoscienza nazionale. Scopriamo, per esempio, che è una balla che l’italiano come lingua sia un’invenzione post-unitaria, e che un piemontese e un pugliese non riuscissero a comunicare fra di loro prima del Risorgimento o – addirittura – della Grande Guerra. Oppure che tutte le narrazioni sull’Italia terra di “meticciato” si infrangono contro una lettura fredda dei dati genetici sulla vera composizione del nostro popolo. O ancora, che – volenti o nolenti – “non possiamo non dirci cattolici”, anche se atei e mangiapreti, perché prima che una fede, quella cristiana è una cultura per gli italiani. E infine – e soprattutto – che gli italiani devono fare i conti con la totale contraddittorietà della loro storia, la molteplicità della loro patria – formata da tante patrie – che è come un “Mistero religioso”. Un invito ad amarsi di più come italiani, ad accettare la propria meravigliosa incoerenza e a farne tesoro perché unica, irripetibile e anche sotto minaccia.
Il numero estivo di “Storia in Rete” prosegue poi con due articoli su costruzione e crollo del regime fascista: Aldo Mola demolisce il mito della rivoluzione fascista nel 1922 e identifica nel 1928 la vera svolta totalitaria, preparata nei sei anni precedenti per fasi successive e con mezzi parlamentari; Fabio Andriola invece analizza impietosamente l’ultimo saggio di Emilio Gentile sulla caduta del Fascismo, il 25 luglio 1943. Possibile che tutti complottassero dietro le quinte e solo Mussolini si sarebbe fatto sorprendere dagli eventi come una pera cotta?
Poi, tre salti nel dopoguerra. Il primo con un estratto da un saggio di Giulio Vignoli sul lento declino della monarchia in Italia durante il dignitoso ma sterile politicamente esilio di Umberto II. Aldo Ricci racconta l’attentato a Togliatti di settant’anni fa e il “niet” di Stalin a una seconda guerra civile in Italia (ma la base non lo sapeva…). Quindi un lungo capitolo dedicato all’ultimo libro di Marco Valle sul Canale di Suez, con un’intervista all’autore e un estratto che inquadrano bene il problema geopolitico del contrasto (fatale?) di interessi fra Italia, Francia e Inghilterra nel quadrante mediterraneo.
Infine tre articoli che ci riportano indietro: Giulio Talini racconta Padre Marco d’Aviano, il frate che con il suo carisma riuscì a consolidare l’alleanza fra i litigiosi regni cristiani giusto in tempo per salvare Vienna dall’assedio ottomano del 1683; le sorelle Martignoni mostrano il sei-settecento a tavola, con la nascita della cucina moderna in Francia; infine Eugenio Parisi fa un ritratto di Zita d’Asburgo, l’ultima imperatrice di Vienna che fu testimone di alcuni fra gli episodi nodali (e misteriosi) della storia d’Europa.