Arthur Bloch, quello della “legge di Murphy”, una volta ha detto: “Quando ti morde un lupo pazienza. Quel che secca è quando ti morde una pecora”. E’ quello che devono aver pensato gli americani quando, in queste ore, hanno scoperto di essere spiati dal buon presidente Obama. Perché ecco: se ti controlla le telefonate il lupo Bush pazienza, con quelle orecchie buffe e quella camminata da saloon ti puoi aspettare di tutto, quel che secca è quando la tua privacy viene violata dalla pecora Obama, il premio Nobel preventivo per la pace. Eppure capita proprio questo.
I fatti: secondo uno scoop del Guardian, la Nsa, la sulfurea Agenzia per la Sicurezza Nazionale, grazie a un’ordinanza giudiziaria top secret della Foreign Intelligence Surveillance Court starebbe controllando milioni di telefonate degli utenti di Verizon, una delle maggiori compagnie telefoniche americane. Alla compagnia sarebbe stato imposto di consegnare la lista giornaliera delle chiamate, sia interne che verso l’estero. La Casa Bianca ha mostrato un certo imbarazzo e alla fine un alto funzionario ha difeso l’azione della Nsa parlando di “uno strumento fondamentale per proteggere la nazione dalle minacce terroristiche nei confronti degli Stati Uniti”. L’ordinanza nei confronti della Verizon è stata firmato dieci giorni dopo l’attentato alla maratona di Boston. I dati forniti riguardano unicamente i numeri telefonici di chi effettua le chiamate e di chi le riceve e la durata delle conversazioni, non il loro contenuto. Il provvedimento – qui comincia la parte interessante – si basa proprio sul criticatissimo Patriot Act approvato dall’amministrazione Bush dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Ora partiranno i soliti dibattito etico-politici: una democrazia deve privilegiare la sicurezza o la libertà? Fin dove può spingersi un governo per proteggere i propri cittadini? Che limiti ha il diritto alla privacy nell’era del terrorismo globale? Questo tipo di controlli servono davvero nei confronti della minaccia dei lone wolf sempre più “liquidi” e sempre meno strutturati? Al di là di tutto questo, tuttavia, resta un quesito che è più strettamente politico: come è stato possibile che l’intera opinione pubblica mondiale scambiasse Obama per quello che palesemente non è? Da dove nasce questa narrazione irenistica e consolatoria? L’attuale inquilino della Casa Bianca, con ogni evidenza, è nel migliore dei casi uguale a tutti coloro che l’hanno preceduto e che, come ama ripetere Noam Chomsky, sarebbero tutti condannabili sulla base dei criteri adottati a Norimberga. Perché, allora, ci hanno fatto credere che fosse diverso?
Forse è giunto il momento di gridare ad alta voce una grande verità: la politica-immagine, la politica-spettacolo, è una cosa di sinistra. Altro che Drive In ed Emilio Fede. Quelli che abboccano sempre, quelli che sono abbagliati da lustrini e paillettes sono loro. Il ceto medio riflessivo non riflette, bela. E non da oggi. Racconta bene Massimo Fini: “Con John Fitzgerald Kennedy inizia un’era sinistra della storia politica, non solo americana, in cui si afferma il principio che l’immagine fa premio sulla sostanza, la forma sul contenuto, la rappresentazione sulla realtà. Con Kennedy si entra a vele spiegate in quella politica-spettacolo, oggi diventata norma, dove il successo d’un leader dipende dalla capacità, sua e del suo staff di pubblicitari, di bene impressionare i mass media più che da ragioni di sostanza […]. Nixon invece era brutto, aveva una faccia antipatica, e a nulla gli valse aver chiuso la guerra del Vietnam ed essersi riaccostato, con felice intuizione politica oltre che con benefici effetti sulla distensione internazionale, alla Cina: rimase sempre «Nixon boia»”.