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Home Le interviste

L’intervista. Corsaro: “Un voto oltre gli schemi: la pazienza è finita”

by Giovanni Vasso
3 Marzo 2018
in Le interviste, Politica
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Massimo Corsaro
Massimo Corsaro

Onorevole Massimo Corsaro, alla vigilia delle elezioni qual è lo scenario generale? 

Sono una persona che ha iniziato a far politica a sedici anni che oggi ne ha cinquantaquattro e che per la prima volta nella sua vita ha deciso di non candidarsi. Trovo disastrosi il panorama e l’offerta della politica che è incapace di affrontare le emergenze, supina alle decisioni che vengono prese altrove, dove gli interesse nazionali non solo non sono rappresentati ma anzi rappresentano a loro volta interessi ostili a quelli di chi dirige il gioco.

Il minuetto che si viene a creare, fingendo di poter governare davvero per cambiare le cose è la rappresentazione falsa di una realtà che gli italiani hanno percepito.

Questa legge elettorale contribuirà a crear confusione…

Non è la tecnalità della legge elettorale, non c’entra. Il Rosatellum rappresenta un effetto voluto e non la causa della futura ingovernabilità. Si tratta di una legge che è stata tecnicamente studiata per non consentire a nessuno di poter governare da solo. Sia perché qualcuno non vuole che un altro ci arrivi, sia perché qualcun altro non vorrebbe mai solo su di sé la responsabilità dell’esecutivo. Quando si è in tanti, le responsabilità sono di tutti e di nessuno; più grande sarà il pateracchio, migliore sarà la “divisione” della “colpe”.

 

Il centrodestra è in vantaggio e ieri s’è concesso quella che i media hanno chiamato photo opportunity. Quale è l’immagine che lei ha visto?

Non ho visto una foto ma un puzzle di realtà totalmente diverse tra loro. La realtà di quel mosaico è composta da tessere composite che non hanno ormai quasi più nulla in comune. Quella fondamentale, che fa da collante a tutte le altre, resta la realtà di Silvio Berlusconi. Che però ora ha un interesse (comprensibile) nei confronti della politica che di politico non ha più nulla. Il suo interesse, infatti, è che chiunque vada al governo non abbia a mettere i bastoni tra le ruote al suo gruppo economico.

Berlusconi, che io comunque stimo, rimane il principale fautore di un accordo con il centrosinistra. Il motivo è semplice: se il governo è tutto di una sola parte politica, dall’altra parte pioveranno raffiche a pallettoni. Se invece si condividono le responsabilità, ecco che tutto passa sottotraccia.

Un esempio perfetto di quanto dico sta nel fatto che, alla fine della scorsa legislatura (quando Forza Italia spalleggiava ancora il governo centrosinistra) abbiamo assistito a una improvvisa fiammata di autoprotezione da parte dell’esecutivo sull’economia. Fino a quel momento, l’Italia – praticamente senza muovere un dito – ha lasciato che scappassero via interi settori come la siderurgia, l’agroalimentare, i grandi tour operator; abbiamo perso la chimica, l’automotive. È bastato che l’Europa pensasse di mettere le mani su Mediaset perché il Pd dicesse che quell’azienda era patrimonio nazionale. Ma non lo era anche le altre? Guarda caso, il governo s’è rizelato quando sotto la lente era finito un pezzo del gruppo Berlusconi, per il quale, ripeto, ho grande stima. Ma questa non è politica.

Ci sono anche altre tessere di quel puzzle…

Quelli che appoggiano Berlusconi sono gli ipocriti, quelli a cui gli fa comodo fingere di voler mettere insieme un  centrodestra forte. In realtà, tutto serve a tirare su qualche voto in più: grazie alla coalizione ci sarà qualche forza politica che porterà a casa qualche seggio in misura superiore rispetto a quelli che avrebbero preso correndo da soli. Un matrimonio di convenienza. Ci hanno raccontato, gli altri due giovanotti del mosaico, delle panzane che sono evidentemente irrealizzabili. Si troveranno a dover governare ma in realtà saranno impossibilitati a battere i pugni in Europa.

E Fitto?

Ho trascorso gli ultimi anni in politica insieme a Daniele Capezzone e Raffaele Fitto, avevamo l’obiettivo di dar vita a un soggetto conservatore autentico, che l’Italia non ha mai avuto. Purtroppo Raffaele nell’ultima fase ha deciso di far prevalere la realpolitik sulla politica. Quel soggetto politico conservatore si è trasformato in uno degli ultimi cascami della Dc. Niente di nuovo, nemmeno graficamente; anche da qui la decisione di chiamarmi fuori.

Quale sarà ruolo dei Cinque Stelle? Pensa che otterranno davvero tanti consensi? 

Credo che avranno un grande risultato. Purtroppo. Lo dico perché ritengo che le loro ricette siano disastrose. Il consenso a questo Movimento, ahimé, dimostra la stupidità dell’elettore medio. Propugnano una politica che è culturalmente abietta. La proposta del reddito di cittadinanza, autorizza il cittadino a pensare di poter starsene in panciolle senza far nulla ché tanto ci pensa lo Stato a pagargli lo stipendio a fine mese. Tutto ciò viene meno al requisito minimo che un soggetto politico dovrebbe avere, quello della responsabilizzazione del cittadino. E poi questa proposta pare dimenticare un fatto: i soldi pubblici non esistono, ma si parla di denaro che è dei contribuenti. Lo Stato non crea ricchezza, lo fa chi paga le tasse e si vede sottrarre soldi a man bassa. Perciò è impensabile che si facciano proposte del genere senza tener presente quella che è l’altra faccia della medaglia: il reddito di cittadinanza comporterà un’ulteriore vessazione fiscale ai danni del contribuente, dei poveracci che invece lavorano e creano ricchezza.

La sinistra è in rotta? 

La storia del comunismo ha dimostrato come quest’ideologia sia crollata su se stessa, senza bisogno che qualcuno da fuori le desse uno scrollone o impugnasse le armi. Dalla “grande idea” alla cronaca minuta della sinistra italiana, il destino è lo stesso. La sinistra sta scomparendo dopo l’ennesima prova di totale incapacità. Ora prova a tenere come collante l’anacronistico antifascismo, a settant’anni dalla fine della guerra. E raccoglie rottami ideologici, come la prof di Torino che urla contro i poliziotti; una che andrebbe presa a schiaffi anziché additata a esempio.

Ha parlato di un progetto conservatore, poi naufragato. Che avrebbe proposto agli elettori?

L’unica stagione nuova possibile consiste, in Italia, in una svolta conservatrice che imponga una drastica cura dimagrante ai costi dello Stato, che lo allontani, una volta e per sempre, dalle imprese e dalle famiglie che così possano essere finalmente liberi di fare le scelte che preferiscono, in campo economico, sociale e culturale senza che l’apparato statale possa intervenire in alcunché. Una rivoluzione del genere che garantisca, poi,  un’immediata e drastica riduzione del carico fiscale.

Lo ha dimostrato il caso degli Stati Uniti. Quello fiscale è il tema principale; si fa finta di scandalizzarsi sulle scelte di Donald Trump ma ridurre le tasse rappresenta l’unico modo utile a rendere competitiva l’economia. Chi gli dà del traditore, per questo, dimostra di non averci capito niente. Se ci blocchiamo a un regime sclerotico come quello dell’Ue noi rinunciamo a poter spendere una voce concreta sulla battaglia per la competizione e la concorrenza. Il carico fiscale, ripetiamolo una volta di più, pesa sulle spalle di chi produce reddito; e l’esperienza ci ha dimostrato che non serve a granché dispensare contributi a pioggia in un sistema di welfare, come il nostro, che non serve a nessuno.

 

Stando così le cose e parafrasando vecchi slogan elettorali, c’è un modo perché gli italiani esprimano un voto che possa essere davvero utile a cambiare le cose?

Secondo me il voto utile non c’è. Ci possono essere dei voti utili ma nell’ottica di accelerare la fine di questo sistema. Che si abbiano idee di destra o di sinistra, le alternative “fuori” da questo paradigma ci sono. Possono rappresentare un’opzione non  per quello che dicono, perché nemmeno loro propongono soluzioni attendibili e praticabili, ma perché il voto a queste formazioni rappresenterebbe un segnale inequivocabile lanciato dagli italiani: la pazienza è finita.

Giovanni Vasso

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Tags: centrodestradaniele capezzoneelezioni 2018massimo corsaropoliticaraffaele fittoricchezzasilvio berlusconi

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