«Il mio obiettivo è di girare per l’Italia e di riconquistarla.» Niente male come slogan d’un leader politico che si prepari per una campagna elettorale, no?
Ma se quel politico si chiamasse Benito Mussolini, che ne direste?
No, non siamo impazziti, né abbiamo le traveggole, perché, lo abbiamo visto, LUI è tornato! Posa perentoria, occhio fulminatore, mascella di ferro: segni particolari Duce del fascismo. Ebbene sì, Benito Mussolini è di nuovo fra noi, ineluttabilmente, fatalmente, è tornato! Non sembra un moderno cinegiornale Luce in un mondo alternativo in cui l’Asse sia uscito vittorioso dal secondo conflitto mondiale? Chissà le reazioni, i sussulti, i mal di pancia di quei politici sempre pronti ad abbattere monumenti ed effigi littorie. Quale smacco, quale fulmine a ciel sereno questa risurrezione mussoliniana. Per tacere dei campioni del politically correct (ma aborrendo LUI gli anglicismi, si dovrà dire politicamente corretto) i quali strabuzzerebbero gli occhi scandalizzati come un diacono della Controriforma al cospetto della più blasfema delle eresie. Tranquilli se di ducesca risurrezione si tratta, è pur vero che è d’ordine cinematografico. Così da poter affermare, con inesorabile determinazione: «Prossimamente in tutti i cinematografi del regno», pardon, della repubblica.
Sorta di clone del germanico Lui è tornato (2015), pellicola vagamente wagneriana ma in veste di commedia, tratta dal bestseller omonimo (ancora un anglicismo!) di Timur Vermes, questo italico Sono tornato, è l’ultima fatica registica di Luca Miniero (Benvenuti al Nord, 2012 – Un boss in salotto, 2014). Anche qui si tenta, attraverso un’interessante sceneggiatura opera dello stesso Miniero e di Nicola Guaglianone, l’operazione parodistica condita da una certa dose d’umorismo, e di fatto di commedia si tratta. Il Duce piombato dall’oltretomba, grazie alla Porta Alchemica di piazza Vittorio in Roma, dopo un iniziale, quanto esilarante disorientamento, viene scambiato per un comico d’avanspettacolo. Affiancato da un documentarista dalle alterne fortune, Andrea Canaletti (Frank Matano) effettuerà una sorta di rocambolesca tournée (stavolta un francesismo) per l’Italia. Quindi, non pago, approderà alla Tv. In breve si trasformerà in un vero mattatore, capace, pur restando se stesso, anzi proprio per questo, di tenere incollati allo schermo milioni si spettatori entusiasti, in una versione moderna – vien da dire – delle famose “adunate oceaniche”.
Così dal pulpito televisivo, anzi dal balcone (visto che ci siamo), il Duce redivivo arringa le folle con i suoi slogan, le sue epiche parole d’ordine e tutto il noto repertorio che lo rese l’irresistibile dominatore delle masse. Ma ora l’effetto (sia pur nella finzione filmica) è diverso e sorprendente. Mussolini, contornato da un’aurea di traslucida, involontaria comicità (fra l’altro gradevole quanto arguta), offrendosi in modo surreale alle telecamere, risulta convincente e perfino simpatico. A rafforzare questa impressione il carattere stesso del film a metà strada fra il documentario e la fiction vera e propria. Anzi è questo forse l’elemento più originale dal punto di vista squisitamente cinematografico della pellicola. Massimo Popolizio è molto efficace nell’impersonare Mussolini. Dotato indubbiamente del cosiddetto (lo giuriamo, non lo facciamo a posta) physique du rôle; sembra proprio LUI. S’atteggia nel modo giusto, rotea gli occhi, serra la mascella senza risultare ridicolo, caricaturale. Il suo personaggio appare così una figura comica e in parte grottesca, ma non una macchietta.
Naturalmente il protagonista è sempre lui, Benito Mussolini. Una sorta di eroe bizzarro e tragico, per cui si arriva a provare perfino tenerezza, come quando se ne va in giro sconsolato con il trolley d’ordinanza, oppure di fronte a Villa Torlonia, dove ricupera la chiave di casa nascosta ottant’anni prima sotto un vaso, o ancora quando si commuove di fronte all’immagine di Claretta Petacci. Non mancano le scene comiche, alcune trovate davvero intelligenti e ben riuscite. Ma quel che più impressiona è la capacità che mostra il personaggio interpretato da Popolizio di “bucare” lo schermo, di risultare, in ultima analisi, realistico e persuasivo. Vien da pensare che qualcuno guardando il film, nel rassicurante silenzio della sala, si sia sorpreso ad annuire a quella, o quell’altra perentoria dichiarazione del risorto. Certo non poteva mancare l’elemento destinato a far giustizia della memoria storica, ricordando le colpe del dittatore. Mussolini viene riconosciuto e scacciato da una anziana ebrea scampata ai campi di sterminio. Si tratta d’una scena dotata d’una certa forza e drammaticità.
Ma l’ascesa televisiva di Mussolini è inarrestabile, e il successo senza precedenti. Grazie soprattutto alle sue inossidabili abilità di comunicatore, conoscerà prima il trionfo poi, a causa d’un complotto, la sconfitta, il disastro. Di fronte a un Mentana che interpreta se stesso, e soprattutto a milioni di spettatori ormai sedotti dal suo fascino e dalla sua eloquenza, in un’atmosfera surreale e per questo ancora più credibile, viene posto di fronte al crimine più efferato (dal suo ritorno tra i vivi) l’assassinio, da parte sua, di un cane. Tutto sembra precipitare. Finalmente la storia presenta il conto, si dirà. Ma, dopo una scena tragicomica, come nella miglior (peggiore) consuetudine della Tv spazzatura, giunge il perdono, la formula assolutoria che sembra prefigurare un futuro a tinte fosche.
Dopo tutto ciò, com’è questo Sono tornato? Divertente, esilarante, ben girato e meglio interpretato e con una fotografia niente male. Capace di far riflettere, nonostante il suo essere commedia, più di lungometraggi seri, impegnati. Tuttavia questo vale soprattutto per la prima parte. Poi, nella seconda, diviene prevedibile, a tratti scontato, se non retorico, e perde, parzialmente, la sua verve. Il film in realtà è una sorta d’indagine sull’Italia odierna, e soprattutto sugli italiani, che si scopre (ma lo sapevamo già) essere fondamentalmente sempre gli stessi. E non bastano le nuove tecnologie, i social media (stavolta ci voleva proprio), i programmi di cucina, e quant’altro possa offrire questa nostra modernità senza politica, senza idee, senza patrie. No, tutto questo non basta proprio, ed è triste che a dovercelo ricordare debba essere un Mussolini risorto per finta che appare più vero dei politici in carne e ossa.