Un bel casino, o meglio, parafrasando a d’uopo, “una bella rogna”, ecco succederà in Francia nel 2018. C’è da scommetterci un Pernod, sarà scandalo letterario facilmente ipotizzabile e forse addirittura auspicabile, quello che riporterà Louis-Ferdinand Céline nel novero degli autori più maledetti dei maledetti – tutti santi e martiri in quel mistico confine tra Pléiade e cessi pubblici – nel ciclone delle arringhe difensive libertarie e degli stracciamenti di vesti più o meno moralistici. Processo alle lettere, si dirà, mentre qualcuno invocherà la censura pedagogica, altri controbatteranno in nome della libertà artistica. Parapiglia. Ammesso che il grande scrittore sia mai realmente uscito da quel limbo solforoso, bontà dei critici invero assai scrupolosi necrofili, e nonostante sinceri e trasversali tributi al genio, verrebbe da scrivere: Céline est Céline, tutto il resto maramaldeggia a scrocco da decenni. Notizie ufficiali danno infatti per plausibile la ristampa dei tanto vituperati pamphlet antisemiti – per i tipi della gloriosa Gallimard, mica tipografie carbonare nostalgiche di Vichy – scelta fino ad ora strenuamente avversata dalla vedova Lucette Almansor.
Avrà cambiato idea la tenutaria danzatrice? E perché mai? All’età di 105 anni pare improbabile la solita noiosissima questione economica, pure sostenuta da riviste popolari transalpine, adducendo come motivazione cure mediche costosissime. Ipotesi che non convince, a maggior ragione considerando l’assoluta chiusura che la signora Destouches riservò all’argomento. Scelta per altro tutto sommato logica e saggia, quella di ibernare a tempo indeterminato Bagatelles pour un massacre, L’École des cadavres e Les Beaux Draps, oltre al volumetto anticomunista Mea culpa, al fine di mantenere alto il meritato status di classico moderno del burbero marito. Linguaggio unico quello, musica dattiloscritta ticchettante, scenografia in lettere nuove e vagabondanti, travasi di bile iperbolici, mitragliamenti di scurrilità, visionari realismi serviti con un contorno di desuete raffinatezze; tutti segni inconfondibili, ben riscontrabili nei capolavori Voyage au bout de la nuit, Mort à crédit, nella trilogia del nord, in Rigodon, insomma in tutto il fantasmagorico resto. Il resto rispetto ai libelli, s’intende.
Quindi? Ravvedimenti filologici o becero lucro? Forse è cambiata l’atmosfera nella patria dei lumi? Cos’è: Volontà d’illuminare tutto a giorno, pure il retrobottega razzista di Céline? Un fare chiarezza fino in fondo, oltre quei salottini finti e borghesi, maniacalmente descritti da Proust e aborriti Céline, dove fanno sempre bella mostra le buone letture sugli scaffali. Oppure capriccio snob da baguette e libello sotto ascella? Per dire, a Guanda andò assai male nei primi anni ’80 del secolo scorso, con l’abbinamento Mea Culpa – La bella rogna e, ancora peggio, con una versione ritirata anzitempo dal commercio di Bagatelle; quelle poche copie sfornate sono ora ambitissime dai collezionisti, ben disposti a sborsare cifre considerevoli per gli originali tradotti – feticismo e proibizionismo vanno a braccetto da tempi immemori – mentre per tutti gli altri ci sono le reiette edizioni di Ar, oppure la semi-clandestinità raffazzonata di altre case editrici d’area neofascista. In Francia però è diverso, perché lassù la tentazione perversa di rendere scenografico l’osceno, ovvero l’intellettualismo barocco che si specchia compiaciuto nel suo dionisiaco opposto, assume connotati quasi antropologici. Dicono, in cuor loro: “siamo talmente intelligenti e raffinati, da saper posare con estremo gusto un cucchiaio di merda in lucida porcellana”. Qualcuno la mangerà. Quanto è bello, di nuovo, fingere d’épater le bourgeois? E allora vai di pamphlet! Così avremo di ché parlare per qualche tempo, dando da vivere ai polemisti, agli eternamente offesi, al sipario aperto per il gioco delle parti.
Proviamo a tentare un ragionamento, invece di pettegolare sulla cornice. Lo stile, cari signori, lo stile, perché di questo si tratta. Poi quel ritmo incalzante, jazz e bestemmie, arcigne miserie e stupori fanciulleschi, innocenza mista a estrema diffidenza, qualcosa di fondamentale, disturbante, tra quelle pagine nervose, qualcosa che riguarda l’uomo e il suo stare al mondo. Torna così d’attualità la vecchia domanda: esistono forse due Céline? Uno buono per le citazioni da film e riviste fighe, l’altro immondo fomentatore di stermini, messo al bando dal consorzio intellettuale? Il medico dei poveri, l’amante delle ballerine, indagatore lucidissimo dei bassifondi o il violento fomentatore d’odio antigiudaico, servile menestrello al soldo dei nazisti? Ambiguità, oppure ingenuità di un isolato. Nella risposta, che resta opinione dello scrivente, è contenuto il modesto, personale, assenso all’operazione editoriale. Perché esiste un solo Céline, cinico e pessimista finché si vuole, dunque fino in fondo, ma sempre sorretto dalla convinzione profonda che l’uomo fosse un animale irredimibile. Come dargli torto?
Così questa non è più una giustificazione, riguardo alla penna intinta nell’odio dei pamphlet, ma una possibile interpretazione. Il ricollocamento di Bagatelle per un massacro, La bella rogna e La scuola dei cadaveri, nell’alveo dell’opera omnia celiniana, permetterà di visionare il quadro nella sua interezza. Come nei dipinti di Francis Bacon, caratterizzati da sordide deformazioni antropomorfe, estremamente realistiche pur nell’incartamento grottesco della crudeltà vitale, così la poetica di Céline scardina con piglio furibondo le porte sacre d’ogni compromesso consolatorio. Chiama la Merda “Merda”, non sterco o popò, e se ne compiace come in uno sfogo teso a superare ogni limite. Chi sono qui gli Ebrei, se non presupposti narrativi per accelerare l’invettiva, per fare apocalisse e macelleria esistenziale, per miniaturizzare l’Uomo e i suoi meschini affanni mondani? Tant’è che ve n’è pure per gli “ariani”, misantropicamente trattati in quei libri al pari di coglioni. C’è, in tutta l’opera del dottor Destouche, l’eco persistente della grande guerra, ma a differenza di altri letterati del ‘900, fattasi spezzatino, poltiglia, brodaglia di miserie e paradossalmente, miracolosamente, Musica. Ecco, Louis-Ferdinand Céline, al pari di Cioran, non ha fatto altro che indagare la pochezza dell’essere umano, la sua corruttibilità morale e corporea, cavandone fuori una droga nuova, che ha il sapore della prima parolaccia pronunciata da un bambino.