Per anni è stato detto che il Fascismo era stato un movimento politico senza ideologia e senza cultura, a parte pochi opportunisti dopo la guerra giustamente dimenticati. Chi aveva aderito, l’aveva fatto “per lavorare”, perché altrimenti il regime l’avrebbe oppresso o “costretto all’esilio, come Fermi”. Così ogni volta che esce qualcosa che smentisce questa sesquipedale idiozia (Fermi esiliato in primis…), c’è chi si scandalizza, quasi ci si trovasse di fronte a una scoperta archeologica tipo un disco volante in una piramide o un manufatto umano negli strati del Giurassico.
L’ultimo caso è quello della (ri)scoperta di un’intervista rilasciata da Luigi Pirandello, in cui il più grande drammaturgo italiano del Novecento e premio Nobel tesseva le lodi del Duce e dei metodi squadristi per “fare pulizia”. Scandalo, terrore, raccapriccio. Che fare ora? Bruciare tutti i libri di Pirandello? Gettarsi a terra in posizione fetale a piangere? Gridare autisticamente alla fake news? La risposta più logica l’ha data “Storia in Rete” in edicola in questi giorni: studiare e capire.
Uscire dalla categoria intellettualmente castrante del “male assoluto” è l’unica via per comprendere come fu possibile che prima della Seconda guerra mondiale centinaia delle menti più brillanti della loro epoca decise di aderire ai fascismi. Anche a costo di fare impietosi confronti con l’oggi, tanto pronto a giudicare quanto impreparato a competere su un piano di parità con quegli intellettuali “compromessi”.
Il numero in edicola di “Storia in Rete” passa poi in rassegna alcuni centenari importanti: innanzi tutto quello della battaglia di Caporetto (che già la rivista diretta da Fabio Andriola aveva analizzato 10 anni fa), e in particolare la ritirata con le battaglie di retroguardia combattute dagli Arditi per rallentare l’avanzata austrotedesca permettendo così di arrestare l’invasione sul Piave e preparare la riscossa. Autore del pezzo, Roberto Roseano, vincitore del Premio Acqui Storia 2017 per il suo romanzo storico sulle memorie del nonno, ardito della prima ora.
Poi due trecentenari: quello di Papa Pio VI, il pontefice che dovette combattere contro il dispotismo illuminato e i giacobini francesi, finendo poi deportato in Francia da Napoleone; quello della Massoneria, che compie tre secoli.
Continua poi il dibattito su Risorgimento e identità nazionale con una proposta provocatoria: anziché abbattere i monumenti ai Savoia e a Garibaldi non sarebbe meglio innalzare nuovi monumenti, anche agli sconfitti del Risorgimento?
E ancora, l’inchiesta – insabbiata da molti anni – della “foiba” piemontese, la “fiaira” di Moncucco Torinese, dove i partigiani fecero sparire decine e decine di fascisti o presunti tali alla fine della Seconda guerra mondiale. Una cava di gesso dalla quale sono stati estratti i resti umani di un numero non precisabile di individui fin quando non si scoprì che le grotte erano state riempite negli anni anche con rifiuti tossici e forse radioattivi. Una scoperta che portò all’improvviso arresto di ogni ulteriore scavo. E da allora nessuna ulteriore indagine è andata avanti, nonostante le dichiarazioni d’intenti degli inquirenti…
Quindi la seconda parte della storia di Mustafà Kemal Ataturk e la sua rivoluzione interrotta. L’opera di modernizzazione con cui il grande leader turco cercò di portare il paese fuori dall’arretratezza, per trasformarlo in una nazione europea, poi la sua improvvisa morte e la “normalizzazione” del dopoguerra con il lento affermarsi di un regime reazionario, filo-capitalista e filo-americano.
Infine, il mistero dietro uno dei più famosi romanzi del Novecento: “Picnic a Hanging Rock”. Fu pura immaginazione? C’era davvero una base reale dietro le vicende delle ragazzine scomparse in Australia? Oppure l’autrice costruì un racconto simbologico dietro cui si nascondeva altro?