Trent’anni dall’ultima uscita, forse qualcosa di più, comunque un’occasione per ricordare “La Voce della fogna”, giornale-cult di una stagione feconda per la destra (sic) italiana. D’accordo, non è che parliamo della “Voce” prezzoliniana, della “Rivoluzione liberale” di gobettiana memoria, del “Politecnico” di Elio Vittorini. Ma ognuno ha i suoi miti, e la VdF mito cartaceo fu. Per molti, purtroppo, a chiusura avvenuta. Laddove, se ben compresa, avrebbe potuto dispiegare la sua carica trasgressiva dando la sveglia a certi, sonnacchiosi amici tricolorati.
Nel nome della testata e nel topo nero c’è tutta un’epoca, con l’evidente tentativo di ribaltare lo slogan in voga, durante gli Anni Settanta: “Fascisti carogne, tornate nelle fogne”. “Oggi le catacombe si chiamano fogne!!” titola – di rimando – la nota introduttiva, apparsa su primo numero della rivista, uscito nel dicembre 1974. “Tutto, fuori, puzza!” – scrive l’anonimo estensore, puzzano i mezzi d’informazione, puzza la scuola cadavere, puzza il mondo politico dell’arco costituzionale. Se la superficie puzza, il profumo si è rifugiato nelle fogne, svuotatesi ormai di tutta la melma salita verso il potere. E’ un profumo raro, leggero, che pochi riescono a sentire. Ma esiste. Nel silenzio, nell’ombra, nel disinteresse dei mezzi di informazione del regime, un gruppo di uomini lavora. Crea, non dal nulla, le basi per una rinascita. (…) La voce, dalle fogne dove era stata ricacciata, sale e cresce: e presto sarà tanto forte da spezzarvi le orecchie, servi del regno del denaro o dei formicai rossi. E non vi basteranno le mani per turarvele, e non sentire. La voce della verità farà giustizia di voi, definitivamente”.
L’appello, d’accordo, è un po’ retorico. Ma Ce n’est qu’un début… da lì si inaugura una stagione nuova per la pubblicistica della destra radicale e giovanile: linguaggio gergale, recensioni, a raffica, di cinema, musica pop, libri, uso politico del fumetto, tono dissacrante, ma tutt’altro che becero.
Se ne accorge, da sinistra, Gianni Emilio Simonetti, cultore dell’underground che su “Gong” (“La controcultura nera in Italia: Si può fare d’ogni suono un fascio?”, “Gong”, marzo 1977) non può fare a meno di notare una “puntuale corrispondenza di argomenti” ed “una connessione gergale ed anche linguistica” tra le riviste della “controcultura” di sinistra e “La Voce della fogna”, “quasi che ‘la questione giovanile o meglio, la condizione dei giovani degli anni ‘60 stemperi, fino a dissolverla, la ‘questione politica’ e quella differenza che sempre i comunisti hanno rivendicato contro il loro nemico storico, la borghesia, e il suo servo di ieri e di oggi, il fascismo”.
Dietro il “giornale differente”c’è l’incontro con il periodico della giovane destra francese “Alternative” e la lucidità politico-culturale di Marco Tarchi, giovane dirigente missino ed insieme intellettuale curioso. Come ha scritto lo stesso Tarchi, a premessa della ristampa anastatica della rivista “c’era in origine semplicemente il desiderio di dare un segnale per linee interne al piccolo mondo della destra giovanile italiana, dimostrando da un lato che l’immagine perbenista e conservatrice della ‘destra nazionale’ di Almirante aveva fatto il suo tempo e dall’altro che all’assedio delle forze dell’’arco costituzionale’ si poteva uscire meglio con l’ironia che con l’autocompatimento”.
Segnata dalle copertine di Jack Marchal, l’autore del topo nero, “La Voce della fogna” prende, numero dopo numero, consapevolezza del proprio ruolo, interno ed esterno l’area missina di provenienza. I temi classici della destra radicale (in particolare l’Europa Terza Forza, la critica al mito democratico, la polemica contro l’antifascismo) vengono “rivisitati” con un linguaggio spregiudicato ed incalzante, ben lontano dai vecchi toni del nostalgismo. Alle iniziali strips di Marchal, si affiancano le storie a fumetti e le strisce di Tomaselli, Gamotta (autore delle “Eroiche imprese di Re Pubica”), Rémi (con “La “banda balder”), Prik, Krancic. Anche attraverso le recensioni cinematografiche e di musica pop cresce una nuova sensibilità, insieme esistenziale e culturale, capace di affinare una “nuova cultura”, mentre le rubriche “roto” (sui periodici “d’area”) e “torchio” (libri) pongono all’attenzione dei lettori la realtà metapolitica di un ambiente che scopre la bio-politica, l’ecologia, le culture minoritarie, la fantasy, la questione femminile; organizza concerti musicali; gestisce radio libere e cine-clubs.
Il tono dissacrante, anche rispetto al vecchio apparato nostalgico, non tarda a creare, con l’ambiente d’origine, polemiche ed ostracismi alla rivista, la quale, a ridosso del 1977, vende fino a 4.500 copie. Il fatto più clamoroso, che coinvolge direttamente Tarchi, avviene dopo che sul N. 25 de “La Voce della fogna” appare (ad opera di Stenio Solinas) una falsa cronaca del XII Congresso del Msi-Dn, annullato per “le truffe e gli imbrogli dei ‘bagogliani’ Servello, Tremaglia e Pisanò”.
Il 21 febbraio 1981 la Segreteria del Msi-Dn decreta la “decadenza dall’iscrizione” di Tarchi, componente del Comitato Centrale e della Direzione del partito ed esponente di spicco della minoranza rautiana. L’allontanamento di Tarchi dal Msi-Dn accentua il distacco della rivista dall’originaria area di riferimento, a tutto vantaggio di un definitivo impegno metapolitico. Vengono pubblicati articoli di autori della Nouvelle Droite (con particolare attenzione al tema dell’occidentalismo), soprattutto ci si interroga sulla fine delle vecchie ideologie, sul crollo delle categorie di destra e di sinistra, sulla necessità di ripensarsi “nuovi”.
Compiuto il suo “ciclo”, realizzato il compito di rimodellare forma e contenuti di una destra nuova rispetto all’originario ambiente neofascista (“..esperienza precaria, legata alle contingenze, nata per adeguare le capacità espressive di un’area politico-culturale ai vertiginosi ritmi di trasformazione della società che la conteneva”- scrive Tarchi, nella già citata introduzione alla ristampa anastatica), evidentemente mutato il contesto in cui “La Voce della fogna” è nata (con il tramonto del vecchio antifascismo militante) non resta altro che prendere atto della necessità, malgrado i continui apprezzamenti da parte dei lettori, di porre fine all’impresa, impegnandosi in modo più approfondito sul versante meta politico, con riviste come “Diorama” e “Trasgressioni”.
Che cosa resta di quell’esperienza? Senz’altro un’idea, un logo, un’appartenenza ridefinita e riattualizzata a misura delle sensibilità e del linguaggio del periodo. Soprattutto l’esempio: mutati i tempi ed i modi di comunicare, c’è ancora e sempre bisogno di “trasgressioni”… culturali.
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