Nato a Parigi nel 1906, tra argenterie e salotti, tra debiti e lussi, notti folli e sbandate mistiche, Maurice Sachs fu personaggio affascinante e controverso, luciferino e vanesio, unico protagonista della propria pericolosa sceneggiatura di vita. Di casa alla Gallimard, intimo di Gide, Cocteau, Jacob, è principalmente noto per le memorie – romanzate a suo capriccio – titolate Il Sabba (Adelphi, 2011), laddove si mescolano dicerie, cattiverie, pettegolezzi, retroscena, effimere pose mondane a ricordi personali e osservazioni di varia natura, sempre più estetiche che morali. Riferimenti “alti” si alternano convulsivamente a meschinità da retrobottega, la politica si confonde con un’orgia spiata dal buco della serratura, il teatro con il salone di una parrucchiera, così come della funambolica esistenza del suo deviato primattore.
Il traditore per eccellenza fu lui. Scrittore? Intellettuale? Faccendiere? Soprattutto uno fedele al tradimento. Uno nessuno centomila, il pessimo esempio per eccellenza, nemmeno cattivo maestro, se non in un doppio carpiato nell’Ade broccata degli irredimibili, l’archetipo umanizzato dell’abiezione fine a sé stessa. Guappo senza remore, mimo dello stare al mondo, prestigiatore di vite non sue e assai guasto individualista, trovò il modo perfetto per incarnare la parola Decadenza. Posatore artificioso dall’ego insaziabile, vizioso invertito col pugnale dietro la schiena e un mazzo di fiori in quella visibile, depistatore e abile giocoliere di meschinità colorate di nero, bruno… blu, bianco e rosso. Stelle e strisce cadenti.
Delatore per conto della Gestapo, talmente borderline da guadagnarsi la morte in Germania, nel fardello pedestre di prigionieri in ritirata. Carovane di morti ambulanti, quelle, vite perdute senza lacrime dei congiunti, il ripieno delle lasagne della seconda guerra mondiale. Un colpo in testa e via, così caddero quelle stanche carni nell’aprile ’45, eludendo per beffa l’incontenibile brama di vendetta, assai diffusa attorno alla sua persona. Con tutti aveva un conto in sospeso, il quale venne saldato sbrigativamente da un soldato tedesco, perché lo scrittore dai mille volti non riusciva più a stare al passo di marcia. Sachs, l’ebreo manierato dei salotti parigini, perfetto attore premoderno ma con la mano già pronta sulla maniglia del tempo nuovo, astuto transfuga da una stanza all’altra, sempre con lampadari e decori diversi in base alla moda; abbigliato di conseguenza, fu corrotta figurina estratta a sorte dall’albo Alla ricerca del tempo perduto.
Più Proust di Proust, più Sade di Sade, più falso del falso nell’imbellettare in vita lo stereotipo di sé stessi, quello che si è destinati a diventare per pigrizia o per ben figurare in società. Viziato e volubile, “Ti fidi di me?” – No, ma… l’incanto luccicante di credere alle frottole di un guitto, pur di evadere la noia della sincerità. Pure ladro difatti, falsario (circuì addirittura Coco Chanel), millantatore, checca egocentrica e puttana per la crème di froci dell’alta società parigina entre-deux-guerres. Il vizio appunto, la bellezza accecante della bellezza medesima allo specchio, l’ebbrezza, l’eccesso in vaselina, il cinismo wildiano degli autoritratti in soffitta, siparietti lussuriosi tra pareti decorate e girevoli passaggi segreti, budoir per vecchi parrucconi licenziosi là dietro: facciamo il trenino dell’amore? Ciuf-ciuf. Denaro, mai a sufficienza. Droghe e alcol. Decadenza e corruzione. Intelligenza infida, ostentata e purissima.
D’altronde si sa, le perfidie più raffinate si consumano all’ombra delle buone maniere, nel calice di cristallo assieme allo champagne una dose di cianuro. immoralità che per certi versi lo collegano a Jean Genet, anche se quest’ultimo conservava per lo meno uno straccio di codice etico, quello del carcerato. Quello del ladro. Sachs no, la realtà non era che un pretesto per fotterla, gli altri tutti comprimari e garzoni del suo ego, statuine dei pastori nel presepe, cavie di quel pazzo teatro monologante. La realtà è baci e abbracci, tra nemici giurati. Galateo del mettersela in culo l’un l’altro, apologia dell’ipocrisia in bei modi e carinerie, fingendosi sodali. Allora odi a Maurice Sachs, che della vita fece un gioco rovinoso, solo per il gusto di guardarsi allo specchio e dire: “come sono bello”.