Scomparso lo scorso 4 settembre, Gastone Moschin è stato ricordato essenzialmente come interprete dell’architetto fiorentino Melandri in Amici miei, film ideato da Pietro Germi, che morì prima di girarlo. A pensare a Moschin era stato forse proprio Germi, che aveva già diretto Moschin nel ruolo del bancario trevigiano Bisigato, marito infelice di una borghese. Ma felice innamorato di un’ex prostituta in Signore & signori (1965). Che nella memoria il Melandri abbia eclissato il Bisigato è conseguenza della “censura del bianco e nero” in tv. Resta che Signore & signori è migliore (e più trasgressivo) di Amici miei e che vinse il Festival di Cannes.
Venendo dal teatro, Moschin sapeva recitare, una qualità non garantita nel mondo del cinema. Eppure è stato spesso confinato in film collettivi, senza un protagonista: oltre ad Amici miei e a Signore & signori, sono nella sua filmografia Gli anni ruggenti di Luigi Zampa, Sette uomini d’oro di Marco Vicario e Stanza 17-17 di Michele Lupo. C’è perfino un momento in cui Moschin è divo, quando cioè è Jean Valjean nei Miserabili, sceneggiato di Sandro Bolchi girato nel 1963 e diffuso nel 1964 dal Programma Nazionale della Rai Tv. Governa, contrastato dalla Nato e dal Mec, il centro-sinistra con le sue illusioni di dare agli operai stipendi da Europa settentrionale, pur essendo l’Italia – come ricorda il governatore della Banca d’Italia, Guido Carli – ben ben meridionale. E il romanzo di Victor Hugo è un classico del socialismo umanitario francese. Eppure milioni di italiani seguono la vicenda dell’evaso Valjean, che s’incrocia tra 1815 e 1833 con quella dell’implacabile ispettore Javert. Essi incarnano la dialettica potere/anti-potere nella Francia di oltre un secolo prima, ma si sa: attraverso il passato, uno spettacolo racconta agli spettatori il loro presente.
L’Italia del 1964 è bianca, cattolica e largamente povera; i più diseredati imparano a leggere e scrivere da un programma tv del tardo pomeriggio, Non è mai troppo tardi. Un cittadino su quattro ha meno di venticinque anni e ogni partito, per incamerare i voti dei maggiorenni (a 21 anni), agita idee che quasi pratica. Si è nel quarantennale della guerra vinta, consegnata alla storia, e nel ventennale della guerra persa nel peggiore dei modi, pur sapendo di aver vinto la pace, visto che gli imperi coloniali mediterranei di britannici e francesi sono un ricordo.
Classe 1929, Moschin è in quel periodo fra i trenta e i quarant’anni. Recita da milite della Repubblica sociale di Tiro al piccione di Giuliano Montaldo; da agente dell’Ovra ne Il conformista di Bernardo Bertolucci; da capo del Partito socialista, Filippo Turati, nel 1924 nel Delitto Matteotti di Florestano Vancini. Nella memoria collettiva di questi ruoli non rimane quasi traccia, mentre i tratti dell’orco di Shrek (2001) sono ricalcati su quelli del Moschin quarantenne di Milano calibro 9 (1972), film che arrivò con successo anche negli Stati Uniti.
Come nei Miserabili, anche in Milano calibro 9 Moschin è un ex recluso, Ugo Piazza. In cerca di un Lino Ventura, ma di minori pretese economiche, la scelta è stata felice. Di Leo non è a un regista di fama (e non lo diverrà), ma era più giovane di Moschin ed era intelligente. Se voleva sfondare, sapeva di dover portare al cinema non solo la gioventù comunista, ma anche quella fascista. Dà quindi un colpo al cerchio e uno alla botte e trova l’amalgama nella misoginia. Unica donna con più di cinque battute nel film è Barbara Bouchet. Lei girerà nel 1978 con Di Leo anche Diamanti sporchi di sangue, rifacimento di Milano calibro 9. In un convegno all’Università di Foggia si Di Leo disse però di “non ricordare quasi nulla” del lavoro con lui.
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Ancora bandito, ancora solo contro tutti, Moschin / Ugo Piazza è un moderno Jean Valjean, appena tollerato da malavitosi sempre più spietati, che la polizia lascia agire sia perché non ha personale sufficiente per contrastarli, sia perché il disordine gonfia la richiesta d’ordine (il 1972 del film è quello del Msi salito al 9,2%). All’epoca parve a destra che Di Leo facesse dell’ideologia; in realtà era consapevole del reale scontro in atto e delle sue conseguenze, al punto di mostrare due esplosioni, una nella stazione centrale di Milano, una nelle immediate adiacenze, otto anni prima del 2 agosto 1980…
I film, innanzitutto, devono portare soldi, altrimenti finiscono subito le carriere di chi li fa. Così Di Leo – che aveva collaborato alle sceneggiature di Per un pugno di dollari e di Per qualche dollaro in più senza esser accreditato – trova un compromesso tra la posizione politica personale (simpatizza per il criminale, vittima della società, come solitario combattente di classe) e gusto forcaiolo, allora come oggi comune nel pubblico. E’ raro trovare un film italiano degli anni ‘70 più trasversale di Milano calibro 9, dove in Ugo Piazza il criminale lascia trasparire il samurai ed entrambi spingono i delinquenti veri e propri l’uno contro l’altro. Come faceva il pistolero-samurai Clint Eastwood in Per un pugno di dollari.