Anche Trump, come da 16 anni tutti i suoi predecessori, conoscerà la polvere dell’Afghanistan. La sabbia alzata a mulinelli dal vento penetra in bocca e nelle narici, offusca la vista e avvolge l’orizzonte in un’atmosfera sospesa, cinerea e giallastra, allo stesso tempo abbagliante e dalle lunghe ombre scolpite dal ritmo veloce del passaggio delle nubi contro le montagne. Questo luogo, soffocante di giorno, pungente di notte, è il Far West d’Oriente degli americani, la guerra più lunga mai condotta dagli Stati Uniti.
In un anno i talebani, a volte in alleanza con l’Isis, si sono impadroniti di 50 distretti da cui erano stati cacciati nel 2001 dopo l’11 settembre, hanno ucciso una media di 20 soldati afghani al giorno, 6mila dal 2016, più del doppio delle perdite Usa e Nato in 16 anni di conflitto; in attentati suicidi e con bombe artigianali (Ied) dall’inizio dell’anno sono stati ammazzati 1600 civili, la maggior parte nella capitale Kabul.
Ma in fondo è qui che tutto è cominciato quando l’Armata Rossa nel dicembre 1979, dopo la rivoluzione khomeinista in Iran, invase il Paese e gli americani con i soldi sauditi e la logistica del Pakistan appoggiarono la guerra dei mujaheddin contro l’Urss: allora questi erano “i nostri eroi” poi sono diventati i “barbari” jihadisti talebani e dell’Isis che ispirano gli attentatori europei.
Jalaluddin Haqqani, ritenuto oggi uno dei più sanguinari e potenti jihadisti, venne descritto allora come la «bontà impersonificata» da Charlie Wilson, il deputato americano che con l’Operazione Ciclone rifornì di missili Stinger i mujaheddin. Nel 2001, sotto i bombardamenti Usa, Bin Laden e i leader di al-Qaida sfuggirono alla cattura grazie agli uomini del network Haqqani.
I generali pakistani, che lo hanno sempre coccolato, ritengono Jalaluddin e il figlio Sirajuddin tra i loro migliori alleati per riprendere l’influenza sulla Linea Durand, la frontiera popolata dai pashtun: per Islamabad l’Afghanistan è parte vitale della sua “profondità strategica” perché sull’altro fronte c’è l’India. Gli Usa riempirono di medaglie i generali pakistani che contribuirono al crollo del Muro nel’89, ma questi sono anche i maggiori alleati esterni di alcuni gruppi talebani pur essendo il Pakistan un Paese nel mirino degli attentati. Con i suoi servizi segreti (Isi), Islamabad spalleggia da sempre la guerriglia talebana e, nonostante le minacce Usa, continua a manovrare i gruppi islamici radicali facendo leva sulle rivalità locali, mai sopite, tra l’etnia maggioritaria dei pashtun e le altre componenti della società afghana. E i talebani sfruttano le logiche tribali per trasformare il conflitto su base etnica e religiosa (guerra agli sciiti e agli hazara) e minare la stessa compagine governativa di Kabul.
In Afghanistan, teatro impegnativo anche per le forze armate italiane che hanno schierato a Herat 900 soldati, si misurano le contraddizioni e i limiti della strategia Usa. La dottrina americana si basa su due pilastri: il primo è l’uso dei raid aerei e della guerra dei droni al posto delle truppe per contrastare i talebani in Afghanistan e nel Levante arabo al-Qaida e il Califfato; il secondo è armare e addestrare le forze locali per combattere sul terreno. Più si va avanti e più si capisce che i raid americani sono inefficaci mentre le forze armate locali si disfano alla prima seria offensiva, in Afghanistan come in Iraq, dove i jihadisti nel 2014 presero Mosul quasi senza sparare un colpo.
E così Trump, sulla spinta dei suoi generali, dovrà inviare altre truppe in appoggio agli 8.800 soldati Usa già sul terreno insieme ad altri 6.500 degli alleati e della Nato. Basteranno? Il generale Roger Turner, tornando in queste settimane nell’Helmand, dove aveva già combattuto anni fa, ha avuto una cattiva sorpresa. I marine hanno dovuto alleggerire l’assedio al capoluogo Lashkar Gah mentre l’intera provincia è in mano ai talebani che hanno fatto fuori tutti i capi tribali con cui Turner aveva a suo tempo negoziato la difesa della regione, strategica per la guerriglia e il traffico dell’oppio. I talebani non hanno fatto molta fatica a conquistare questa area. Gli americani mettono i soldi per l’esercito afghano rifornendolo di armi e carburante che poi i comandanti rivendono alla guerriglia. La polvere dell’Afghanistan da due secoli offusca le strategie delle superpotenze. (dal Sole24Ore)