Il dibattito culturale avviato con la proposta del Movimento 5Stelle, approvata dal Consiglio regionale pugliese e dal presidente della Giunta Michele Emiliano, sull’istituzione – il 13 febbraio – di una giornata in memoria delle centinaia di migliaia di meridionali uccisi nell’Ottocento durante l’annessione del Mezzogiorno al Nord da parte delle truppe dei Savoia, ha fatto emergere prese di posizione che mostrano una chiusura netta al dibattito culturale, alla ricerca scientifica con posizioni che non tengono conto di quanto l’annessione del Mezzogiorno da parte dei Savoia abbia nuociuto al Sud per le modalità con le quali è stata fatta dal punto di vista politico, economico, sociale e per la grande emorragia di capitale umano che seguì con l’emigrazione di milioni di meridionali nelle Americhe e in Francia.
Sono dati noti e scontati in sede storica. Intendiamoci, l’unità d’Italia sarebbe stata positiva e auspicabile se fosse stata l’esito di una federazione di Stati anziché una guerra di conquista agevolata da potenze straniere (l’Inghilterra). Per no parlare delle stragi di meridionali, delle leggi liberticide (una per tutte, la legge Pica), le confische di beni, terreni, fabbriche, il furto della riserva aurea del Banco di Napoli, ecc. E’ tutto documentato dagli studi di un numero nutrito di storici.
La vicepresidente della International Gramsci society, Lea Durante, prima firmataria di una petizione che chiede di non istituire la giornata della memoria, non sa che Antonio Gramsci criticò le modalità dell’unità d’Italia. In un suo articolo del 1920, scrisse, fra l’altro: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare chiamandoli briganti”. Dopo l’intellettuale sardo, hanno detto la loro vari storici e studiosi lontani da consorterie, di provenienza e orientamenti varii come Carlo Alianello, Nicola Zitara, Di Giovine, Gaetano Marabello, Silvio Vitale, Belmonte, Izzo, Rinaldi, Agnoli, Salera, Di Rienzo, Pellicciari, Pedio, Topa, Lupo, del Boca, Gigi Di Fiore, Pino Aprile, Lino Patruno, Perrone, Giordamo Bruno Guerri, ecc… Le loro opere si trovano nelle migliori librerie (www.controcorrente.eu) e se qualche docente sostiene che la ricerca storico-scientifica non aderisce all’interpretazione di conquista del Sud da parte dei Savoia, non è molto aggiornato… o in mala fede. Lo stesso storico inglese Denis Mack Smith, morto di recente, in alcuni libri su Cavour e Garbaldi ha chiarito molto bene l’operato di questi “padri della patria”. Analoga operazione quella degli inglesi Clark e Duggan.
Non si tratta di discutere di posizioni neoborboniche (favorevoli all’istituzione della giornata del 13 febbraio) o neosavoiarde (coloro che raccolgono le firme contro la giornata della memoria). Quando intervistai Carlo di Borbone, l’ultimo discendente della dinastia, durante una sua visita a Bari con la consorte, tenne a dire che vedeva con interesse lo studio e l’approfondimento della verità storica sul Regno delle Due Sicilie ma che non avrebbe apprezzato un eventuale uso politico. Giusto. Infatti la giornata della memoria è necessaria per ricordare i meridionali trucidati che combatterono per il Sud, e per dare il via a una serie di iniziative culturali sul Sud e l’Unità d’Italia. Il revisionismo è il sale della ricerca e della storia: rileggere fatti storici sulla base di nuovi elementi, di documenti incontrovertibili, è un fatto positivo, di crescita culturale e sociale. Invece, assumere atteggiamenti negazionistici come fanno i neosavoiardi (negare l’evidenza, le prove, i documenti, quello che è successo nell’Ottocento al Sud ecc.) ha lo scopo di confermare una visione della storia falsa o inesatta, di certo fuorviante e sbilanciata a favore dei Savoia. E’ quello che intendono fare docenti, intellettuali e persone che non considero – sia chiaro – “collaborazionisti del Nord” come già vengono definiti ma persone poco disposte al confronto, all’approfondimento.