Marco Luchetti è andato avanti. S’è spento a Roma il militante missino che il 29 ottobre del 1975 sopravvisse all’odio e al piombo rosso che costò la vita a Mario Zicchieri.
Ha speso tutta la sua vita a testimoniare, a chiedere giustizia per quell’uccisione barbara, inumana. Fu un agguato vile, ai danni di ragazzini con l’unica colpa di voler far politica a destra nel quartiere Prenestino, nella Roma popolare. Luchetti aveva quindici anni, “Cremino” solo sedici quando un commando criminale fece fuoco contro la sede del Movimento Sociale. Erano lì che aspettavano il fabbro, avrebbe dovuto riparare la porta fatta saltare da balordi violenti senza volto. Incontrarono l’odio, la ferocia.
Per la morte di Zicchieri e il ferimento di Lucchetti non ha pagato nessuno. Furono accusati tre brigatisti, tutti finiti assolti in appello. Triste, tristissima condizione che accomuna il delitto politico del ’75 a tanti altri avvenuti in quegli anni di piombo. Morti avvolti in un invincibile telo di indifferenza da parte dello Stato, di disinteresse che in troppi casi – almeno negli effetti finali – s’è rivelato complice degli assassini.
Lucchetti ha sempre chiesto giustizia, ha sempre spiegato quella che è una verità incontestabile: la giustizia, e non la vendetta, è quello che chiedono le vittime, è quello di cui abbisognano le comunità per fare i conti con se stesse e pacificarsi.
I funerali si terranno a Roma, alla Chiesa di Santa Caterina da Siena in via Populonia mentre per la salma è stata allestita la camera ardente, al campus biomedico, che sarà aperta domani, dalle 9 alle 16.