Viktor Orban e le rimostranze austriache sul Brennero riportano indietro le lancette dell’orologio d’Europa. Ma non è detto che debba essere per forza un problema.
Hanno un bel daffare i politici di Vienna a sminuire – a livello europeo – le urla lanciate contro Roma e le minacce di una riedizione della Strafe Expedition per limitare l’approdo di centinaia di migranti. Fanno credere che stiano scherzando, che si tratti di toni accesi dalla campagna elettorale, vogliono far credere a Bruxelles che non ci sia nulla di cui preoccuparsi negli stanzioni eurocratici. L’Ungheria, invece, non fa niente per nascondere la sua posizione. Ora che Orban bacchetta Gentiloni, chiedendo all’Italia di limitare gli accessi ai porti, di smetterla di accogliere indiscriminatamente, non fa che seguire con coerenza le sue posizioni.
La suggestione è quella di Austria e l’Ungheria (ri)unite da un nuovo patto “asburgico”, nel nome della sovranità nazionale. Non è una boutade, non vale la sola assonanza storica.
L’impero austroungarico, l’ultimo autentico d’Europa, è stato (per anni) l’ispirazione sbandierata di chi voleva unire sotto un’unica bandiera a stelline gialle i popoli più diversi. È una semplificazione che vorrebbe tirare in ballo le antiche radici europee del Sacro Romano Impero. Un altro tentativo di piegare la storia alle ragioni della propaganda, come ce ne sono stati tanti e tanti ancora ce ne saranno. La gran confusione è nei termini e nell’interpretazione.
Un impero, per sua natura, ha vocazione politica “universale”: punta a riunire popoli e nazioni sotto un’unica corona. Si basa sui concetti mutuati dal diritto romano di auctoritas e di imperium, sovranità e potere sugli scenari interni e internazionali.
Cosa che è completamente differente, e di gran lunga!, dal cosmopolitismo borghese, apolide e scriteriato contrabbandato per neoghibellinismo dai fans dell’Unione Europea.
Poi metteteci che tutta la storia dell’Ungheria è un’eterna lotta contro l’invasore, una guerra continua: dagli unni (che poi divennero padri della Patria) fino ai sovietici, passando per i turchi ottomani. Non si può chieder loro di star zitti e accettare diktat. Non lo accettarono manco da Mosca nel 1956 difficilmente cederanno alla molle Bruxelles.
In mezzo, coerentemente con la storia, ci finisce l’Italia. Vienna e Budapest la guardano in cagnesco quella Roma che hanno idealizzato in quasi un millennio di storia. Come sempre. Ma Gentiloni non è un guelfo credibile né il governo (per interposta persona) di Renzi ha la statura politica né le ragioni dei Papi che furono. Ma dimostrano che, in un momento storico delicatissimo, hanno poche idee e, per soprammercato, molto confuse.