Si chiama Carlotta e, da 108 anni, se ne sta in via dei Tominz a Trieste per la gioia dei curiosi e dei visitatori del Civico Museo di Storia Naturale del capoluogo del FVG.
Il suo nome scientifico è carcharodon carcharias e, di solito, nessuna persona normale lo chiamerebbe “Carlotta”: uno squalo bianco di oltre 6 metri catturato nel 1909 nelle acque di Cherso dal capitano Antonio Morin, detto Barbarossa, ufficiale della marina mercantile austriaca (fino al 1918 Trieste è un porto asburgico) che lo incrocia nel Golfo del Quarnaro. Qualche colpo di fucileria e una fune che traina l’animale fino allo scalo triestino: i proiettili non lacerano come gli arpioni e l’acqua conserva bene la carcassa (per fortuna nessun altro predatore si è seduto a tavola) arriva integra a destinazione. Il Museo di Scienze Naturali se ne fa carico, lo impaglia accuratamente e lo espone appeso al soffitto dove resta per anni, anche dopo il passaggio di Trieste all’Italia. Poi, due guerre mondiali, gli sconvolgimenti post ’45 sul Confine orientale finché, grazie all’interessamento delle istituzioni locali, recentemente l’animale è stato “restaurato” per la gioia dei visitatori e degli appassionati. “Carlotta” non è uno squalo qualsiasi: con i suoi oltre sei metri di lunghezza, è uno degli squali più grandi mai pescati. E, cosa impensabile per i più, i due esemplari di maggiori dimensioni catturati nel Novecento sono istriano e maltese. Il Mediterraneo, insomma, sarà anche un mare chiuso ma quanto a bellezze e a varietà della fauna non è secondo ai grandi Oceani in cui Hollywood ambienta storie non sempre verosimili.