Lo scorso gennaio in provincia di Novara una ragazzina di quattordici anni, Carolina, si tolse la vita gettandosi dal balcone di casa. Era perseguitata da cyber-bulli, si disse. Ora, dopo pochi mesi d’indagine, la Procura dei Minori di Torino, competente per territorio, ha formalmente indagato altri otto giovanissimi (età compresa fra i quindici e i diciassette anni) accusati di reati gravi e odiosi come istigazione al suicidio e detenzione di materiale pedopornografico.
Oltre alle testimonianze di amici, compagni di scuola e familiari, tra gli atti della magistratura ci sono alcuni filmati pubblicati su social network, in particolare Facebook. I due video, secondo quanto si apprende, riprenderebbero Carolina mentre scherza con alcuni ragazzi, forse dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo. I ragazzi la insultano e le rivolgono qualche frase oscena. Uno è realizzato in un bagno e la ragazza, vestita, è seduta sul water. Diffusi su Internet, sarebbero state proprio queste immagini l’inizio dei problemi per la ragazza.
In apparenza poco per giustificare l’accusa di istigazione al suicidio, ma di sicuro la Procura ha in mano altro e comunque sarebbe stato solo l’inizio di un’escalation che avrebbe poi assunto i contorni di una vera persecuzione. Una persecuzione digitale ma tutt’altro che virtuale, in perfetto accordo con i tempi che viviamo. L’associazione Save the Children chiede misure di prevenzione per educare i più giovani ai new media: «La risposta non può che venire sul fronte educativo. Vi sono molte esperienze significative nelle scuole per contrastare questa piaga, ma è necessario diffonderle e rendere permanente l’impegno su questo fronte, coinvolgendo i ragazzi stessi nella sensibilizzazione nei confronti dei loro coetanei e facendo entrare a pieno titolo, nel ciclo scolastico, l’educazione all’uso consapevole e positivo dei nuovi media».
Altri, come il Moige (movimento genitori italiani), ha presentato formale denuncia alla Procura di Roma nei confronti di Facebook per omesso controllo e vigilanza. E si dice pronto a costituirsi parte civile in tutti i prossimi episodi di mancato controllo a danno di minori. Tesi bizzarra, un po’ come se si facesse causa alla Beretta quando un giovane si uccide con la pistola lasciata incustodita dal padre. Anche se c’è da dire che il divieto di iscrivere minori a social network come Fb è facilmente aggirabile e i controlli sono inesistenti.
Al di là della tragica e triste vicenda di Carolina, chiunque usi Facebook o altri social network non può che riconoscere i caratteri tendenzialmente pericolosi di questo medium. Perché se è vero che la Rete è di per sé neutrale, e sono caso mai gli utenti che la possono trasformare in uno strumento di offesa, è altrettanto pacifico che Facebook ha la perversa capacità di tirar fuori il peggio di noi. E la società, il mondo, si stanno sempre più facebookizzando: tutti si sentono in diritto, quando non in dovere, di dire la loro su qualsiasi argomento o persona. E più lo dicono ad alta voce, insultando e starnazzando, più credono di aumentare l’interesse per le loro baggianate.
Chiunque di noi abbia sostenuto una discussione vivace su Fb sa come è facile che il dibattito (politico, calcistico, su qualsiasi altro tema) degeneri molto spesso in rissa verbale, ma non per questo meno violenta. E come interessi poco comprendere il punto di vista dell’altro: l’obiettivo è far prevalere la propria opinione (o bandiera, o partito politico), anche a costo di “alzare la voce” sulla tastiera.
Facebook è un po’ la variante allargata dello “strepito ergo sum” dei talk show televisivi. Solo che nella società 2.0 non bastano più gli urlatori e sparacazzate professionisti, scelti da chi conduce la trasmissione per alzare l’audience: ora ognuno di noi vuole avere il diritto di urlare più forte e sparar più cazzate dell’altro. A maggior ragione se non sappiamo neanche di cosa si stia parlando. Tanto dura tutto l’espace d’une post, cioè molto meno delle famose 24 ore delle vecchie notizie sui giornali. Che il giorno dopo, se non altro, servivano per incartare il pesce.
Ma su qualcuno – soggetti più deboli, minori particolarmente sensibili – la gazzarra virtuale può lasciare ferite non cicatrizzabili. Il caso di Carolina purtroppo ne è una tragica conferma.