Abbiamo fatto 30, facciamo 31. “Shin Godzilla” è infatti il trentunesimo film che ha per soggetto il kaijū, il mostro gigante, e porta la firma di un altro mostro, sacro stavolta, il regista Hideaki Anno, autore dello sconvolgente anime “Neon Genesis Evangelion” (1995-96). Tutti i fan di Anno si aspettavano citazioni come se piovesse, ma stavolta il geniaccio giapponese li ha sorpresi ulteriormente, cambiando tutte le carte in tavola e introducendo un elemento di patriottismo inusuale che ha spiazzato gli spettatori.
“Shin Godzilla” infatti è più un film politico che un kaijū eiga (film di mostri) attraversato da una vena nazionalistica e una riflessione sulla condizione politica attuale del Giappone che sembra voler portare acqua al mulino di quei politici, come l’attuale presidente del consiglio nipponico, Shinzō Abe, che vogliono riformare la costituzione, per la quale il Giappone non ha diritto a una difesa armata, nemmeno in caso di guerra (e, chiaramente, in caso di attacco di un mostro marino radioattivo…).
La trama del film – infatti si snoda più nei meandri della politica giapponese – rappresentati con il consueto montaggio frenetico e le didascalie che Anno predilige per le scene non d’azione – che non nell’attacco del mostro marino in se stesso. Partendo da una struttura simile a una docufiction (il pensiero va immediatamente all’agghiacciante “Threads” della BBC sulla guerra nucleare) “Shin Godzilla” fa una descrizione satirica della burocrazia nipponica e dello stato di minorità sul piano internazionale di Tokyo. Una sclerosi per la quale gli unici anticorpi che il popolo giapponese può tirare fuori in situazioni come quella del film (che peraltro ricalca mutatis mutandis il disastro del terremoto dell’11 marzo 2011, con il conseguente tsunami e l’incidente nucleare a Fukushima) sono disciplina, spirito di sacrificio, dedizione alla patria.
Ai trentenni, Hideaki Anno affida il compito di riprendere in mano i valori tradizionali di una nazione ferita da un cataclisma e resa impotente dalle vecchie generazioni, fin troppo pronte a inchinarsi alla volontà delle potenze straniere e paralizzata da una costituzione imposta al paese dagli USA. La scelta sarà fra lasciar nuclearizzare Tokyo dagli americani – e accettare così un risarcimento da parte delle altre nazioni per ricostruire l’economia giapponese – oppure trovare al proprio interno la forza per abbattere Godzilla e poi risollevare la nazione. I protagonisti sceglieranno la seconda via, sacrificando centinaia di vite nel nome della collettività, come hanno fatto gli operai della centrale nucleare di Fukushima durante l’incidente nucleare del 2011.
Hideaki Anno ricalca dichiaratamente la trama degli episodi 5 e 6 di “Neon Genesis Evangelion” (poi magistralmente riassunti in “Evangelion 1.0” nel 2011. Non l’avete visto? Dovete vederlo), partendo dalla colonna sonora (“Decisive battle” di Shiro Sagisu) con cui sottolinea le scene in cui il gruppo di nerd, sfigati e mezze tacche (gli otaku, tanto amati e tanto odiati dal regista) al servizio del governo giapponese dovrà mettere a punto il piano alternativo al bombardamento nucleare di Tokyo per abbattere Godzilla. Anno affida però stavolta la guida della “battaglia decisiva” a un uomo, e non a una donna, come in NGE, strizzando ulteriormente l’occhio a una visione tradizionalista dei ruoli, dopo il pesantissimo atto d’accusa ai giovani maschi giapponesi – deboli, lagnosi, impotenti, inconcludenti – lanciato con “Evangelion” ormai 22 anni fa.
“Shin Godzilla” – come fa notare Gabriele Niola su “Wired Italia” – diventa un modo per riaprire la questione dei rapporti fra Giappone e Stati Uniti. La rassegnata politica dei vecchi che si adattano a subire un trattamento da colonia limitandosi a mugugnare si contrappone a quella dei giovani, consapevoli dei limiti del Giappone (e degli insegnamenti della storia) ma disposti ad agire con cinismo e spregiudicatezza per il solo interesse della patria. È dunque un film politico, e forse il volontario miscelare computer grafica e vecchi pupazzoni di gommapiuma che abbattono palazzi di cartongesso serve proprio a ricordare che quella del kaijū, il mostro gigante, è solo la scusa per raccontare qualcos’altro: i temi fin troppo spesso tabù del patriottismo, dell’identità nazionale e dell’indipendenza dallo strapotere statunitense.