“Trump lo ha “imposto” a Stoltenberg. Prima di lui avevano già tentato di farlo tutti i Presidenti degli Stati Uniti, da Eisenhover a Obama, ma con scarsissimo successo” risponde il generale Mario Arpino quando gli domandiamo quale sia il motivo per il quale la NATO abbia chiesto ai suoi membri di spostare l’ago della bilancia del PIL sul 2%. Da anni in Italia si parla di aumento degli stanziamenti militari, argomento che pare assumere particolare rilievo politico internazionale a pochi giorni ormai dal summit NATO del 25-27 maggio.
La NATO chiede ai paesi membri di portare le spese difesa al 2% del PIL. Perché?
“In realtà, il 2% è solo uno strumento per invitare gli Stati membri a fare di più. Non è il vero parametro finanziario, e nemmeno operativo, per definire l’incremento della capacità di difesa di ciascuno. Se, ad esempio, questo incremento fosse speso male, sarebbe molto difficile affermare che vengono incrementate operatività ed efficienza. Ciò per dire che, al di sopra di una soglia minima di equità distributiva dello sforzo (burden sharing), il vero parametro per misurare queste due grandezze è la “qualità” della spesa, non la “quantità”. Se, ad esempio, raggiungessimo il 2% solo aumentando gli stipendi ed i benefit per il personale, ma non l’addestramento, la manutenzione dei mezzi e l’acquisto di quelli nuovi, il vantaggio operativo sarebbe pari a zero. Sia per i membri, sia per l’intera Nato”.
E’ un impegno che tutti i Paesi possono assolvere?
“Anche questo è un dato solo teorico, che dice molto poco. Paradossalmente, la cosa andrebbe guardata in termini monetari, più che percentuali. In effetti, i Paesi, anche grandi, che hanno un Pil molto basso, possono trovarsi a pagare un contributo inferiore a quello di Paesi più piccoli, ma con Pil molto alto. In Europa, l’analisi dei dati porta quindi a risultati che a prima vista possono sembrare paradossali. Ad esempio la Grecia, le cui vicende di bilancio sono tragicamente note anche al nostro pubblico, ha già raggiunto il target del 2%, l’Italia è a metà strada e, aspetto peggiorativo, spende all’incirca il 70% delle risorse per il personale. Estonia, Polonia e UK, già rispettano questo target, la Francia, che non rispetta le regole di bilancio Ue, è abbastanza vicina, mentre la ricca Germania, con Pil molto alto, è, come noi o poco meno, piuttosto lontana. Ma sono conti molto difficili da fare, essendo le regole del bilancio Nato e quelle dei singoli Paesi membri assai poco omogenee”.
0,8-2%: in Italia la Difesa come ha reagito alle richieste NATO?
“L’Italia, in un quadro in cui si sta verificando un lieve (se non solo apparente) incremento del bilancio della Difesa, si è trovata a dover fare delle promesse sia alla Ue (Ue Global Strategy), sia, come è sempre accaduto da quando esiste, all’Alleanza. In effetti, un incremento c’è già stato, ma è “drogato” dalla presenza nel bilancio che viene presentato alla Nato delle pensioni provvisorie, della componente Carabinieri dedicata alla sicurezza interna del territorio (quella “combattente” – Msu, missioni all’estero, attività addestrative, paracadutisti del Tuscania, ecc., è circa un quinto della forza totale), di alcuni fondi che, senza passare dal bilancio ordinario, vanno direttamente all’industria per la Difesa. Se ci limitiamo all’esame della componente che va sotto il nome di Funzione Difesa (che è quella che direttamente influenza l’operatività reale), allora potremmo notare che, nella realtà, nel 2017 c’è stato un ulteriore, seppur lieve, allontanamento dall’agognato 2%. Ma l’impegno a risalire, seppur graduale, come tendenza certamente c’è ed è genuino”.
Da anni si parla di aumenti degli stanziamenti militari; perché abbiamo dovuto attendere che fosse Stoltenberg ha “imporli”?
“Non è che li abbia “imposti” Stoltemberg, che non ne avrebbe mai avuto la forza o i poteri. Ha solo svolto diligentemente il rito della richiesta, come hanno sempre fatto tutti i Segretari Generali da quando esiste la Nato. E’ stato Trump a “imporlo” a Stoltemberg. Prima di lui avevano già tentato di farlo tutti i Presidenti degli Stati Uniti, da Eisenhover a Obama, ma con scarsissimo successo. Ora lo ha detto Trump e, chissà perché, tutti corrono. Sebbene attraverso una serie di battute apparentemente scherzose, lo ha “ordinato” anche al nostro bravo, pacato e politicamente corretto Presidente del Consiglio. In effetti, il burden sharing era sempre rimasto pesantemente a sfavore degli Stati Uniti, bisogna pur ammetterlo…”
A pochi giorni dall’inizio dei lavori, quali pensa saranno i punti cardine del summit NATO? L’Italia con quale posizione e con quali, eventuali richieste si presenta?
“Il Segretario Generale Stoltemberg ha già anticipato per grandi linee quali saranno i temi in agenda a Bruxelles tra il 25 e il 27 maggio: contributo della Nato alla lotta antiterrorismo (dibattito fortemente richiesto dalla Polonia), legami transatlantici (questa volta sarà Trump a dover togliere ogni ombra circa la posizione degli Stati Uniti, dopo le strane dichiarazioni di inizio mandato) e partecipazione diretta della Nato alla lotta antiterrorismo (Iraq, Afghanistan, Siria). Anche la Libia e l’immigrazione (clandestina e non, sempre da distinguere) saranno temi di discussione certamente non secondari. L’Italia è coinvolta direttamente, assai più della maggioranza degli altri Stati membri, in ciascuno di questi temi di discussione, e dispone anche di posizioni di forza, sempre che le voglia e riesca a farle valere. Pur senza partecipare direttamente a situazioni di combattimento, come numero di partecipanti in termini di presenza, addestramento e sorveglianza in Afghanistan Iraq, Libano e Mediterraneo è certamente tra gli attori principali, e questo certamente compensa e supera qualsiasi discorso contabile sulle percentuali del Pil. Tuttavia, come sempre in ciascun summit, non è il caso di attendersi grandi novità o strepitosi successi. Nella Nato, vige la regola dell’unanimità del consenso, e sarà giocoforza sfumare le posizioni maggiormente assertive. Solo Trump – tutti sanno che è “politicamente scorretto” – si sentirà esonerato dal farlo”.