![Diego Abatantuono; accanto a Valeria Golino e Claudio Bisio in Puerto Escondido](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/04/195121b_Puerto-Escondito-visore-310x177.jpg)
C’è un periodo, la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, in cui l’industria culturale ha avvertito la necessità di raccontare il disincanto che ha permeato la fine delle utopie e l’ingresso nella società del rischio. Indirettamente quella che chiamiamo società influenza il cinema ed a sua volta ne è influenzata. Indirettamente i registi si ritrovano a realizzare film che si possono considerare autentici saggi di sociologia.
È difficile infatti pensare ad un filo rosso che si dipana e si estende legando i protagonisti, i loro umori, i loro caratteri e le loro vicende che si svolgono nella maestosa tetralogia della fuga, quattro film che hanno inserito e lanciato Gabriele Salvatores nel pantheon del cinema d’autore, ammesso che esista ancora la dicotomia “cinema d’autore” e “cinema popolare”. L’urgenza con cui il filo lega le varie vicende coincide con l’urgenza espressiva che la vita dei protagonisti pretende affinché sia raccontata e prenda forma con precisione. I titoli di testa di “Mediterraneo” sono preceduti da una massima del medico Henri Laborit che riassume in se stessa l’intero carattere della tetralogia, perché più che quattro film autonomi sono quattro parti di una vicenda umana, incentrata sulla ricerca di sé, in cui cambiano ruoli, attori e situazioni ma i significati rimangono i medesimi.
“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare”, un’esortazione, una frase lapidaria che racchiude lo spirito di un tempo che viene da lontano, che è stato scombussolato dall’alta marea del sessantotto e ne ha subito i rigurgiti, restando spiazzato davanti alle rovine di ciò che era considerato fino all’attimo prima cristallizzato e dunque oggetto di un radicale cambiamento. Una fuga data da un vuoto atavico che diventa presenza pressante, incapace di rendere quelle granitiche certezze che sembravano idealmente raggiungibili con una nuova costruzione sociale.
La fuga non è una scorciatoia rispetto al prendersi le necessarie responsabilità, ma diventa lo strumento attraverso cui scoprire una nuova e molteplice identità quando le tempeste strabordanti della società del rischio scuotono e frantumano i confini delle certezze emotive, psicologiche e sociali. Salvatores si è ritrovato a girare film con un importante messaggio sociale, poiché radiografano l’individuo ed il suo percorso di crescita nei sottili fuochi della società del rischio di beckiana memoria. Ecco un breve riepilogo:
Marrakesh Express. Segna la ricomposizione di un gruppo di amici che si era sgretolato con la fine dell’università e l’inizio del reflusso postsessantottino. La ricerca di un loro comune amico è lo spunto per la creazione di nuovi equilibri nonostante l’incertezza.
Mediterraneo. Premio Oscar 1992. Un drappello di soldati si ritrova sperduta su un’isola dell’Egeo in piena seconda guerra mondiale. Isolati dal resto del mondo, scoprono che è possibile frantumare i ruoli e buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Puerto Escondido. Una demolizione della Milano da Bere. Mario, dirigente di banca, è suo malgrado testimone di un omicidio compiuto da un individuo al di sopra di ogni sospetto. Si perderà in Messico, scoprendosi felicemente diverso.
Turnè. Due attori e un triangolo amoroso. Il punto di equilibrio si trova nell’imperfezione dei rapporti.