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Trieste. La mostra su Grilz e il senso di stare “in prima linea”

by Marco Valle
27 Aprile 2017
in Cultura
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Almerigo Grilz

Difficile scrivere di Almerigo. Tanti ricordi privati e innumerevoli frammenti di memoria — in fin dei conti, come ricordava Pound, la tua unica, vera eredità — a fronte di troppe strumentalizzazioni, molte forzature, innumerevoli scemenze.

Oggi, per alcuni, Grilz è un’icona neofascista da santificare, per altri (sulla scia del peggior Vittorini) un “non –uomo” da dimenticare. Per altri ancora, è un nobile alibi per giustificare la loro ignavia, per qualcun’altro è un nome da citare per scaldare fredde platee o (magari) un “prodotto” da commercializzare.

Almerigo, da lassù, se ne fotte altamente, allegramente. Da buon agnostico e autentico “realista politico”, diffidava dai turibolari e dagli esorcisti, non amava l’incenso e detestava i nostalgici, d’ogni colore, fede e latitudine. Lo sanno bene Gian Micalessin e Fausto Biloslavo, i suoi compagni d’avventura dell’Albatross, gli unici ad aver sottratto in questi decenni “Alme” dai laudatores e dagli sbirri mediatici (Ordine giuliano dei giornalisti in primis). Ne va dato merito. Onore a loro.

Almerigo era un uomo complesso. Una notevole intelligenza intrecciata ad una inesauribile curiosità, un’inespressa passione artistica e molta, molta ironia. E tanto coraggio. Al limite dell’incoscienza. Da qui, dopo le delusioni politiche, la scelta di raccontare le guerre dimenticate, i soldati perduti, i popoli straziati. Con la cinepresa e il taccuino. Pagine e pagine piene di dati, schizzi, analisi, idee.

Almerigo era forte e razionale . Eppure, in amore si rivelò fragile, terribilmente fragile. Un ricordo privato. L’ultima volta che ci siamo incontrati, proprio alla vigilia del suo fatale viaggio in Mozambico, notai a casa sua — in via Rossetti a Trieste — una cornice infranta. Era la foto di Laura, il suo grande amore. Tra loro era finita da poco e lui non si rassegnava. Mentre la signora Grilz ci portava il caffè — come al solito, assolutamente imbevibile — ci confidammo. Tra uomini, tra istriani, tra figli di uomini di mare, non era cosa usuale. L’educazione genitoriale, il rispetto reciproco, la dignità ci imponevano il silenzio, la discrezione. Sempre. Ma quando gli amori finiscono fanno male, tanto male; e allora bisogna parlare, raccontare. Incazzarsi. Sfogarsi. Gli amici servono a questo. Purtroppo, quel giorno lontano, non ebbi molta fantasia. Imbarazzato, replicai con le solite banalità: “si chiude una porta, si apre un portone” e altre cazzate. Sorrise maliconico. “Hai ragione, adesso parliamo d’altro”. Almerigo non ebbe tempo per pensare a porte e portoni. Ad altri, nuovi amori. Il 19 maggio 1987 una pallottola africana chiuse ogni possibilità. Ogni futuro. Aveva 34 anni.

Almerigo ci manca. Per tanti motivi. Poteva essere il leader della destra post almirantiana o probabilmente (in tempi berlusconiani) il sindaco di Trieste, oppure un giornalista affermato o, magari, un produttore televisivo di successo e tante, tantissime altre cose. Ma lui decise altrimenti. Del resto ripeteva sempre “meglio crepare in Africa, che finire a Sant’Anna (il cimitero di Trieste)” . Il destino lo ha accontentato. Da trent’anni riposa sotto un grande albero. Gian è andato sin laggiù e ha acceso una candela e inciso una runa sulla spessa corteccia. Bene così.

Almerigo — e credo d’interpretare i sentimenti di tanti ragazzi/e triestini/e — non solo era il segretario dell’Effedigi, il riferimento attivistico e politico ma anche, e soprattutto, il nostro “fratello maggiore”, il viaggiatore che, nei Settanta, ci raccontava i concerti di Londra, le notti di Saint Tropez, le ragazze della Scandinavia, le mostre di Parigi, le disco di Ibiza, i punk di Berlino. Gli LP e i libri, le riviste e gli indirizzi “giusti” di Oslo e Barcellona, di Cannes e Amsterdam. Aria fresca in una città già da allora rattrappita nel localismo, nel provincialismo. Nella noia.

Ecco perchè mi appassiona e mi convince la mostra che domani si apre a Trieste. Negli spazi di Palazzo Costanzi, proprio alle spalle di piazza Unità d’Italia, il grande spazio urbano prospicente quell’”Adriatico amarissimo” che attanaglia e inquieta ogni triestino non terragno,  Piero Comelli e Andrea Vezzà — due coraggiosi ricercatori, autori dell’ottimo saggio “Trieste a Destra”, il racconto a 360 gradi delle vicende del neo e post fascismo giuliano — presentano “I mondi di Almerigo”. Un percorso nel percorso. Tante storie in una storia. Una bella, intensa vicenda che ritroverete nel catalogo che potete (dovete…) ordinare al sito www.spazioinattuale.com .

La data non è casuale. Grilz il 12 aprile avrebbe compiuto 64 anni. Non riesco da immaginarlo anziano. Per me e per tanti amici lui rimane e rimarrà per sempre un ragazzo, un giovane uomo. For ever young. Comelli e Vezzà lo hanno capito. Grazie a loro, Trieste ricorda finalmente quel suo figlio scapestrato quanto geniale.

Al rischio di ripetermi, Almerigo, nella sua troppo breve parabola, fu tante cose e questa esposizione rende, finalmente, giustizia al “mulo” che non volle invecchiare. Al politico innovatore tarpato dai piccoli notabili di partito. All’intellettuale che non ebbe tempo di pubblicare i tanti libri che immaginava, progettava, scriveva. All’artista che non ebbe modo d’esprimersi pienamente. Al “fratello maggiore” che tanto, tanto ci manca. Ciao Alme. Gli anni sono solo dei momenti. We few, we happy few. (da Destra.it)

@barbadilloit

Marco Valle

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Tags: Barbadillogrilzmarco vallemsitrieste

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